19 maggio 2024 – Notiziario Mondo

Scritto da in data Maggio 19, 2025

  • Gaza: diplomazia a suon di bombe, ma Netanyahu accetta l’entrata limitata degli aiuti.
  • Al confine della vergogna: la protesta dei parlamentari italiani, in collegamento Angela Gennaro da Rafah.
  • Corea del Sud: primo confronto televisivo elettorale, tra speranze di riforma e ferite aperte.
  • La Romania sceglie l’Europa: Nicusor Dan batte l’estrema destra al ballottaggio presidenziale

Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli

Israele e Palestina

Il premier israeliano Netanyahu ha dichiarato che il team negoziale in Qatar sta “esplorando ogni opportunità” per un accordo che preveda cessate il fuoco e rilascio degli ostaggi, ma sul tavolo restano le condizioni dure: espulsione dei leader di Hamas e smilitarizzazione della Striscia.

Una fonte israeliana ha però ridimensionato tutto: “Un accordo per la fine della guerra non è realistico, a meno che non cambi qualcosa di radicale.” Né Israele è pronto a cedere sulle sue condizioni, né Hamas sembra disposto ad accettarle.

Secondo fonti palestinesi, Hamas avrebbe proposto una tregua di due mesi in cambio della liberazione della metà degli ostaggi, vivi e morti. Ma sul fronte israeliano cresce la frattura interna: mentre il ministro di estrema destra Ben-Gvir rifiuta qualsiasi tregua senza “sconfitta totale di Hamas”, la madre di un ostaggio accusa Netanyahu di sabotare un accordo completo per interessi politici.

Nel frattempo, il governo israeliano ha approvato una proposta di legge che impedirebbe a “paesi sostenitori del terrorismo” — leggasi: il Qatar — di mediare nei negoziati. Un autogol diplomatico, visto che proprio il Qatar è tra i pochi canali ancora aperti.

‍♂️Circa 500 persone hanno marciato da Sderot al confine con Gaza per chiedere la fine dell’offensiva. E mentre una parte d’Israele si mobilita per la pace, alcuni parlamentari dichiarano in TV che “nessuno si scandalizza più se 100 abitanti di Gaza muoiono in una notte”. Parole che, fino a poco tempo fa, sembravano impensabili. Ora segnano il baratro.

L’IDF ha lanciato una nuova offensiva su larga scala a Gaza, nel nord e nel sud. Fonti mediche parlano di almeno 130 palestinesi uccisi in 24 ore. Tra cui altri cinque giornalisti.

Tutti gli ospedali nel nord di Gaza sono inagibili. ️ Il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha parlato chiaro:
“Allarmato dall’escalation. Serve un cessate il fuoco permanente. Subito.”

 

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ordinato domenica sera l’immediata ripresa degli aiuti umanitari “di base” nella Striscia di Gaza, prendendo una decisione altamente impopolare tra i suoi circoli di destra, in un contesto di crescente pressione da parte degli Stati Uniti per porre fine al blocco durato mesi.

La decisione è stata approvata durante una riunione del gabinetto di sicurezza su raccomandazione di funzionari militari, i quali avrebbero avvertito che le scorte alimentari appartenenti alle Nazioni Unite e ai gruppi umanitari erano completamente esaurite, creando una grave crisi umanitaria.

Non si è tenuta alcuna votazione tra i ministri, alcuni dei quali si sono apertamente opposti a questa iniziativa.

L’Ufficio del Primo Ministro ha affermato che Israele “consentirà l’ingresso di una quantità minima di cibo per la popolazione, al fine di impedire lo sviluppo di una crisi alimentare nella Striscia di Gaza”, poiché tale crisi “metterebbe a repentaglio il proseguimento delle operazioni per sconfiggere Hamas”.

Secondo una mappa trapelata, Israele vorrebbe dividere Gaza in tre zone, impedendo ai civili di attraversarle, nel caso in cui i negoziati fallissero. È l’ombra di una riorganizzazione forzata della Striscia.

Il ministro della Difesa israeliano ha dichiarato che Mohammed Sinwar, fratello del leader di Hamas Yahya Sinwar, sarebbe stato ucciso in un tunnel a Khan Yunis, ma manca la conferma ufficiale.

Gli Stati Uniti, tramite l’inviato Steve Witkoff, hanno detto che Israele si è impegnato ad aumentare l’ingresso di aiuti umanitari. Ma con mezzo milione di sfollati, di cui 63mila solo negli ultimi tre giorni, la macchina del soccorso è lontana dal poter affrontare l’emergenza.

ISRAELE
Due razzi lanciati da Gaza: uno è stato intercettato, l’altro è caduto in campo aperto.

LIBANO
Un drone israeliano ha colpito un checkpoint nel sud del Paese: ferito un soldato libanese.

YEMEN / HOUTHI
Missile lanciato dai ribelli Houthi dallo Yemen: le IDF lo hanno intercettato nel centro di Israele.

EGITTO: Domenica, 11 parlamentari italiani, tre eurodeputati e diverse ONG hanno manifestato al valico di Rafah, tra Egitto e Gaza, chiedendo un cessate il fuoco immediato e l’apertura dei corridoi umanitari.

Cartelli espliciti:
“Fermiamo il genocidio ora”
“Smettiamo di armare Israele”
“Basta con l’occupazione illegale”

Cecilia Strada, europarlamentare italiana, ha dichiarato all’AFP:
“L’Europa non sta facendo abbastanza. Non fa nulla per fermare il massacro.”
E ha rilanciato: servono un embargo totale sulle armi da e per Israele e il blocco del commercio con gli insediamenti illegali.

 In segno di solidarietà con i bambini di Gaza, i manifestanti hanno deposto a terra giocattoli.
L’ONU parla di un rischio crescente di fame, malattie e morte per i più piccoli.
Dall’inizio della guerra, almeno 15.000 bambini sono stati uccisi.

“Sentiamo le bombe in questo momento,” ha detto dal confine Walter Massa, presidente di ARCI.
Dietro il filo spinato, a pochi metri da loro, la Striscia brucia.
Il bilancio? Dal 18 marzo, quando Israele ha ripreso l’offensiva, sono 3.193 i morti in più, portando il totale a oltre 53.000 vittime secondo il ministero della Sanità di Gaza.

Carovana solidale a Rafah: Non ci fermeremo

Arabia Saudita e Iran

Il primo volo diretto dall’Arabia Saudita a Teheran dopo oltre un decennio è atterrato sabato sera all’aeroporto Imam Khomeini. A operarlo è stata la compagnia saudita Flynas.

L’aereo ha trasportato pellegrini iraniani diretti alla Mecca per l’Hajj, uno degli appuntamenti spirituali più importanti dell’Islam.

Il collegamento rientra negli accordi tra Riyadh e Teheran per facilitare il trasferimento dei fedeli dall’Iran, in particolare da Teheran e Mashhad, verso i luoghi sacri dell’Arabia Saudita, in occasione del pellegrinaggio del 2025.

L’Hajj diventa così non solo un rito religioso, ma anche un corridoio diplomatico.
Tra tensioni geopolitiche, guerre per procura e rivalità regionali, forse un aereo pieno di pellegrini ci ricorda che la fede – almeno per un attimo – può riaprire il dialogo dove la politica tace.

Somalia

Domenica, un attentatore suicida ha colpito un campo militare a Mogadiscio, capitale della Somalia, uccidendo almeno 13 giovani reclute e ferendone oltre 20.

L’attacco ha preso di mira una fila di ragazzi in attesa di registrarsi per entrare nelle forze armate. Testimoni raccontano scene di panico e devastazione:
“C’erano corpi ovunque. Tutti correvano in ogni direzione,” ha detto Abdulkadir Hassan Mohamed, un autista di tuk-tuk che si trovava nei pressi.

Un soldato di guardia, identificato come Hussein, ha confermato che l’attentatore si era travestito da recluta. Tra le vittime ci sono anche cinque civili di passaggio.

Al momento, nessun gruppo ha rivendicato l’attentato, ma gli occhi sono puntati su al-Shabaab, il gruppo estremista affiliato ad al-Qaeda, che da oltre un decennio insanguina la Somalia con attacchi a obiettivi militari e governativi.
Nel luglio 2023, un attacco simile contro l’Accademia militare Jaalle Siyaad aveva ucciso 25 soldati.

L’attentato di Mogadiscio è un ennesimo tassello nel silenzioso massacro quotidiano che colpisce uno dei Paesi più fragili del mondo.
Al-Shabaab non combatte un esercito: colpisce speranza, futuro, volontà di riscatto.

E finché la Somalia resterà una guerra dimenticata, continueranno ad arrivare solo numeri. Ma dietro quei numeri ci sono vite interrotte, sogni spezzati, madri che non avranno risposte.

Portogallo

In Portogallo, le elezioni generali si sono concluse con la vittoria della coalizione di centrodestra Alleanza Democratica, che ottiene il 32,7% dei voti e 89 seggi su 230. Ma, ancora una volta, non basta per governare da soli.

Il Partito Socialista e il partito di estrema destra Chega seguono appaiati, con 58 deputati ciascuno. Per Chega si tratta di un risultato storico: con il 22,6%, rafforza la propria presenza in Parlamento e si avvicina pericolosamente al ruolo di principale forza di opposizione.

Avanzano anche i liberali di Iniciativa Liberal e i progressisti di Livre. Male invece le sinistre tradizionali: il Blocco di Sinistra rischia l’estinzione politica, mentre comunisti e verdi resistono a fatica.

L’affluenza è in leggera ripresa, con un’astensione al 35,6%.

Il Portogallo svolta a destra, ma non trova una direzione. La promessa del premier Luís Montenegro di non allearsi con l’estrema destra lascia il Paese in un limbo: governare sarà difficile, forse impossibile, senza infrangere tabù politici.

Intanto Chega sale, e con lui sale anche la pressione sul fragile equilibrio democratico.

Europa

I leader di Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia hanno avuto ieri sera un colloquio telefonico con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, alla vigilia della sua attesa chiamata con Vladimir Putin.

Sul tavolo, la guerra in Ucraina e la possibilità — sempre più fragile — di una tregua.

Secondo Downing Street, i capi di Stato e di governo hanno sottolineato il costo umano catastrofico del conflitto e ribadito la necessità di un cessate il fuoco incondizionato. Dopo il fallimento dei colloqui tra Kiev e Mosca avvenuti venerdì in Turchia, i quattro leader europei hanno discusso anche della possibilità di nuove sanzioni se il Cremlino continuerà a sottrarsi al negoziato.

Romania

Nicusor Dan, candidato indipendente e filo-europeo, ha vinto il secondo turno delle presidenziali in Romania, battendo nettamente George Simion, leader dell’estrema destra di AUR. Con oltre il 54% dei voti, Dan ha ribaltato i risultati del primo turno, dove era arrivato distaccato.

Fondamentale l’affluenza: il 64% degli elettori ha votato, con una partecipazione record anche dall’estero. Migliaia di persone hanno festeggiato per le strade di Bucarest sventolando bandiere europee.

Simion, dato per favorito, ha riconosciuto il risultato ma ha sollevato dubbi su presunti brogli, soprattutto tra i voti arrivati dalla Moldavia.

Il nuovo presidente guiderà il Paese per i prossimi cinque anni, in un momento cruciale per la tenuta democratica e la collocazione internazionale della Romania.

La Romania ha scelto l’Occidente, ma non senza tremare. La vittoria di Dan è una frenata all’estrema destra, ma il messaggio è chiaro: una larga fetta del Paese si sente esclusa, arrabbiata, in cerca di identità.

La domanda ora è se l’Europa saprà parlare anche a loro, prima che sia troppo tardi.

Polonia

Sarà un duello all’ultimo voto quello tra Rafal Trzaskowski e Karol Nawrocki, i due candidati in testa al primo turno delle presidenziali in Polonia.

Lo rivelano gli exit poll diffusi tre ore dopo la chiusura dei seggi. Trzaskowski, sindaco liberale di Varsavia e alleato del premier Donald Tusk, è dato al 31,1%; Nawrocki, storico conservatore senza esperienza politica, lo segue a stretto giro con il 29,1%. Il secondo turno è previsto per il 1° giugno.

Trzaskowski incarna l’ala europeista e progressista del Paese: secolarismo, diritti LGBTQ+, riforma della giustizia e sostegno all’Unione Europea.

Nawrocki invece è sostenuto dal partito ultraconservatore Diritto e Giustizia ed è stato recentemente accolto da Donald Trump alla Casa Bianca.

La sua campagna ha incluso retorica anti-ucraina e l’enfasi su valori tradizionali come Dio, Onore e Patria.

I candidati dell’estrema destra ottengono risultati significativi: il libertario Sławomir Mentzen sfiora il 15%, mentre Grzegorz Braun si ferma al 6,3%.

Sebbene il premier e il parlamento detengano il potere esecutivo, il presidente polacco ha poteri significativi in materia di politica estera, sicurezza e diritto di veto. Una vittoria di Trzaskowski romperebbe l’attuale stallo istituzionale e aprirebbe a una coabitazione più armonica con il governo di Tusk.

La Polonia si guarda allo specchio e non sa se riconoscersi. Da un lato l’Europa liberale, dall’altro un nazionalismo che affonda le radici nella storia e nella paura del futuro.

 In mezzo, un Paese spaccato in due. Il ballottaggio non sarà solo una sfida tra due uomini: sarà una scelta tra due visioni incompatibili di ciò che la Polonia vuole diventare.

Ucraina

Domenica, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha incontrato il vicepresidente USA J.D. Vance. È la prima volta che i due si vedono dopo il duro scontro avvenuto alla Casa Bianca lo scorso febbraio. Il clima resta teso, e non solo sul piano diplomatico.

Mentre i due leader si parlavano, Kiev veniva colpita da un’ondata record di droni russi, una delle più massicce dall’inizio della guerra.

Mosca ha scelto il linguaggio delle bombe per rispondere al fallimento dei colloqui di pace, che non hanno prodotto alcun passo avanti verso un cessate il fuoco.

Stati Uniti

Sabato sera, la nave scuola Cuauhtémoc della Marina messicana si è schiantata contro il ponte di Brooklyn durante un viaggio ufficiale negli Stati Uniti.

L’incidente ha causato la morte di due membri dell’equipaggio e il ferimento di almeno 22 persone, di cui tre in condizioni gravi, secondo quanto dichiarato dalle autorità americane e messicane.

Il sindaco di New York, Eric Adams, ha spiegato che la nave – lunga 90 metri e con a bordo 277 persone – ha perso potenza mentre navigava nell’East River, finendo per urtare violentemente il ponte.

La Cuauhtémoc, costruita in Spagna nel 1982, è un simbolo della marina messicana e si trovava a New York come parte di un tour mondiale per celebrare il prossimo 250° anniversario degli Stati Uniti (Sail4th 250, previsto nel 2026).

Quella nella Grande Mela era solo la terza tappa di un lungo viaggio che avrebbe toccato anche Giamaica, Portogallo e Islanda.

Sabato, un’esplosione ha devastato una clinica della fertilità a Palm Springs, in California, uccidendo l’attentatore e ferendo almeno quattro persone.
Secondo l’FBI, si tratta di un atto di terrorismo deliberato.

Il sospetto attentatore, morto nell’esplosione, avrebbe cercato di filmare o trasmettere in diretta l’attacco. Prima dell’attentato, aveva pubblicato online scritti deliranti in cui esprimeva l’idea che “il mondo non dovrebbe essere popolato”.
Una retorica nichilista che, secondo gli investigatori, aiuta a delineare un movente anti-natalista, e a confermare la natura intenzionale e mirata dell’attacco.

L’attacco ha causato il crollo del tetto, l’incendio di un’auto e danni a edifici e negozi nel raggio di diversi isolati. Fortunatamente, la clinica era chiusa per il weekend e nessun paziente era presente al momento dell’esplosione.

Il medico responsabile della struttura, Dr Maher Abdallah, ha confermato che l’ufficio è stato distrutto, ma che il laboratorio IVF e gli embrioni conservati si trovavano in un’altra sede e sono al sicuro.

Testimoni parlano di una scena surreale: detriti sparsi sulla strada, un’auto in fiamme, vetri rotti e gente ferita.
Un passante ha visto un corpo dilaniato sul posto. “Gente urlava, c’era sangue, vetri ovunque,” ha raccontato Steven Chacon, che si trovava davanti all’ospedale di fronte alla clinica.

La vice sindaca di Palm Springs, Naomi Soto, ha definito la clinica “un luogo di speranza”, dove le persone cercano di creare una famiglia.
Anche la presidente messicana Claudia Sheinbaum ha espresso cordoglio.

Il Trump Team ha condannato l’attacco. La procuratrice generale Pam Bondi ha dichiarato:
“La violenza contro una clinica della fertilità è imperdonabile. Le donne e le madri sono il cuore pulsante dell’America.”

Brasile

Ieri si sono tenute le elezioni municipali a Buenos Aires per rinnovare metà dell’assemblea legislativa locale: 30 seggi su 60.

Un voto che, pur avendo un peso amministrativo limitato, è considerato da tutti i partiti un termometro politico in vista delle elezioni nazionali del prossimo ottobre, e soprattutto un primo test dopo un anno e mezzo di governo di Javier Milei.

I riflettori sono puntati su tre candidati principali:

  • Leandro Santoro, del Movimento Nazionale Alfonsinista, sostenuto da una coalizione di centro-sinistra vicina anche a Cristina Fernández de Kirchner.
  • Manuel Adorni, portavoce presidenziale e candidato del partito di Milei, La Libertà Avanza, che ha scelto di correre da solo rompendo con gli ex alleati di centro-destra.
  • Silvia Lospennato, capolista per Proposta Repubblicana (Pro), partito dell’ex presidente Mauricio Macri e del sindaco uscente Jorge Macri.

Secondo i sondaggi pubblicati prima del voto, Adorni e Santoro erano testa a testa intorno al 25%, mentre Lospennato arrancava con il 13%. Proiezioni più recenti vedrebbero in leggero vantaggio il candidato di centro-sinistra.

A Buenos Aires non si vota solo per dei consiglieri municipali: si misura l’effetto Milei.

Il presidente ultraliberista, arrivato al potere come un uragano anti-sistema, comincia a fare i conti con la realtà e con i primi segnali di usura politica.
L’alleanza a destra si è spaccata e potrebbe regalare al centro-sinistra un risultato inaspettato.

Se Buenos Aires manda un messaggio chiaro, potrebbe essere il primo vero scossone per il governo più iconoclasta che l’Argentina abbia visto da decenni.

Corea del Sud

In Corea del Sud si torna al voto, ma questa volta non è una normale tornata elettorale.

È un’elezione anticipata, straordinaria, dopo la destituzione traumatica dell’ex presidente Yoon Suk-yeol, rimosso lo scorso aprile per aver dichiarato, senza fondamento, la legge marziale e cercato di fermare l’opposizione politica con la forza.
Un gesto che ha scosso il Paese e che ha messo a nudo la fragilità delle istituzioni democratiche.

E ora, con le elezioni fissate per il 3 giugno, due volti si sfidano per raccogliere i cocci e indicare una nuova direzione:
Da una parte Lee Jae-myung, esponente del Partito Democratico, favorito nei sondaggi e portabandiera di un programma che unisce pragmatismo e cambiamento.
Dall’altra Kim Moon-soo, volto conservatore, che punta tutto sulla crescita economica e sul rilancio delle imprese.

Durante il primo confronto televisivo, andato in onda domenica, Lee ha sorpreso per il suo approccio deciso ma equilibrato:
ha detto chiaramente che la Corea del Sud non dovrebbe farsi trascinare nei conflitti tra Cina e Taiwan, né schierarsi ciecamente con gli Stati Uniti.

Insomma, niente guerre per procura, ma alleanze pragmatiche: mantenere rapporti solidi con Washington e Tokyo, certo, ma anche gestire con intelligenza i legami con Pechino e Mosca.

Ma Lee ha parlato anche di futuro: vuole una Corea che investa in intelligenza artificiale “sovrana”, in energie rinnovabili, che protegga i lavoratori e riduca l’orario settimanale a quattro giorni e mezzo.

E sul piano istituzionale, propone una riforma radicale: presidenza a due mandati da quattro anni, sistema elettorale a doppio turno e – soprattutto – limitare il potere del presidente di dichiarare la legge marziale, per evitare che si ripeta quanto accaduto con Yoon.

Dall’altra parte, Kim Moon-soo resta ancorato alla tradizione conservatrice: meno tasse, meno regole, più spazio al mercato. Ha promesso una nuova agenzia per tagliare la burocrazia e un massiccio investimento in ricerca e sviluppo.

Ma in tutto questo, lo sfondo è cupo:
l’economia coreana è in recessione, la fiducia istituzionale è a terra, e il trauma del tentato golpe presidenziale è ancora troppo fresco.

 E quindi, il 3 giugno i sudcoreani non sceglieranno solo un presidente. Sceglieranno che tipo di democrazia vogliono essere. Una che torna a respirare, o una che vive col fiato sospeso.

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