28 ottobre – Notiziario in genere

Scritto da in data Ottobre 28, 2019

Le storie di Cicek, Bradie, Tiffany, Elizabeth e Angela nel webnotiziario in Genere di Radio Bullets, a cura di Lena Maggiaro e con la voce al microfono di Barbara Schiavulli.

Soundtrack: Jaheim – Put That Woman First / Whitney Houston – Exhale (Shoop Shoop) 

La combattente curda

La prima storia parla di Cicek Kobane, la combattente curda nelle mani delle milizie filo-Erdogan. L’esponente delle Ypg è stata ferita e catturata dopo il cessate il fuoco ad Ain al-Issa. In rete il video gira il video degli stessi mercenari al servizio della Turchia che minacciano di giustiziarla.

La confederazione di donne Kongreya Star ha condannato con forza la cattura della combattente YPJ Çiçek Kobanê e chiede la sua immediata liberazione. Nei video diffusi dai suoi sequestratori islamisti viene annunciata la sua esecuzione. Il Coordinamento Rojava della confederazione di donne curda Kongreya Star si è rivolto all’opinione pubblica con una dichiarazione sulla cattura della combattente da parte di islamisti in Siria del nord. “Si presume che la combattente nel villaggio di Mişrefa presso Ain Issa, il 21 ottobre ferita, sia caduta nella prigionia della milizia jihadista Ahrar al-Sham / Battaglione Darat Izza (Dar Taizzah) che al fianco del partner NATO Turchia e del suo cosiddetto “Esercito Nazionale Siriano“ prende parte all’invasione del Rojava in violazione del legalità internazionale”, si legge su Rete Kurdistan Italia. Sui social media sono comparsi video della cattura di Çiçek Kobanê nei quali viene annunciata l’esecuzione della combattente. Il Kongreya Star chiede un’immediata presa di posizione del governo turco.

“È noto che la guerra di occupazione dello Stato turco e delle sue milizie è rivolta contro tutti i popoli della Siria del nord e dell’est”, si legge nella dichiarazione. “Nonostante il cessate il fuoco deciso, continuano gli attacchi. Insieme a questi violenti attacchi, in nome della ‘Operazione Fonte di Pace’ vengono commessi crimini di guerra rivolti contro civili e bambini. Inoltre lo Stato turco nei suoi brutali attacchi usa armi chimiche come il fosforo, commette crimini contro l’umanità e viola qualsiasi norma del diritto internazionale”.

Çiçek Kobanê, si legge ancora, ferita a una gamba, sarebbe prigioniera di milizie legate alla Turchia. “Che in Rojava vengono commesse violazioni dei diritti umani e crimini di guerra da parte di alleati islamisti della Turchia, si è saputo anche recentemente con lo scempio fatto del cadavere della combattente YPJ Amara Rênas e l’esecuzione della segretaria generale del Partito del Futuro della Siria, Hevrîn Xelef”. La richiesta è che la combattente YPJ Çiçek Kobanê venga immediatamente liberata e che il governo di Erdoğan si pronunci sulla sua situazione.

Violenza e armi

Angela, Elizabeth, Tiffany, Brandie. In comune hanno il fatto che vengono tutte dalla Lousiana, negli Usa, e che Amnesty International pubblica un servizio raccontando le loro storie e il loro coraggio. Tutte, infatti, hanno subito anni di abusi fisici, emotivi e sessuali. Alcune sono sopravvissute alle armi. Tante non hanno ricevuto dal “sistema” l’aiuto di cui avevano bisogno.

Il nuovo rapporto di Amnesty International, Fragmented and Unequal, mostra come il sistema giudiziario in Louisiana stia di fatto fallendo nelle risposte necessarie da dare alle donne sopravvissute alla violenza domestica. La risposta delle istituzioni, dice Amnesty, è spesso inadeguata e discriminatoria.

La storia di Angela

Angela, sopravvissuta alle armi da fuoco e alla violenza domestica, e i suoi due figli a Baton Rouge, racconta: “Nel mio caso, è iniziato come un abuso verbale. Conoscevo il mio compagno da 20 anni ed era una brava persona. Ha iniziato a cambiare nel 2015. Dopo la morte di sua madre, ha acquistato diverse pistole, un machete e un fucile da caccia. È diventato più combattivo, non solo con me ma con gli altri e attraverso i social media. Non sono riuscita a fare nulla”, racconta lei.

Le aggressioni fisiche iniziano una sera di novembre. “Stavamo conversando e a un certo punto la tensione è salita e gli ho chiesto di andarsene. Mi sono avvicinata alla porta, l’ho aperta e ho detto che ne avremmo parlato un’altra volta. Mi ha afferrato per il cappuccio della mia felpa, mi ha buttato fuori dalla porta, si è messo sopra di me e ha iniziato a soffocarmi. Sono riuscita a chiamare nostro figlio maggiore: solo allora lui si è staccato e se n’è andato”. L’escalation continua: “Ci eravamo lasciati, ma stavamo ricominciando a risolvere le cose. Quella mattina stavamo litigando. Ero nella vasca da bagno, è entrato e mi ha sparato. Ricordo solo gli ultimi due spari”. “Guarda cosa mi hai fatto fare Angie”, le dice lui. “Mi hai fatto sparare”. Angie, che ha quattro figli passa 3 settimane in ospedale. “Durante quel periodo circa 400 persone sono venute a trovarmi”, dice lei. “È stato allora che mi sono resa conto di avere un messaggio che volevo condividere”. Da qui, Angela – che è rimasta paralizzata – ha cominciato a lavorare per parlare di violenza armata e violenza domestica, di controllo delle armi e di salute mentale.

La storia di Elizabeth

“Il suo comportamento è cambiato rapidamente”, racconta lei. “So che avrei dovuto riconoscerlo, ma quando ti trovi in ​​una situazione così è difficile. Un giorno mia figlia mi ha chiamato piangendo, dicendo che il mio ex aveva minacciato di colpirla in testa con un martello. Ho chiamato la polizia e l’hanno rimosso da casa: ha ricevuto un ordine restrittivo il giorno dopo”, dice Elizabeth. ”Dopo un mese, sono andato dal giudice e gli ho chiesto di annullare l’ordine perché non potevo immaginare che quest’uomo ci facesse del male”.

Elizabeth, gun and domestic violence survivor. Her daughter, in the poster behind her, was killed by Elizabeth’s ex-partner/ Amnesty International

Poi, il 13 gennaio, “tutta la mia vita è cambiata”. Quando il mio ex è entrato in casa, mia figlia era sveglia. Ho sentito una discussione. Sono entrato nella zona giorno per cercare di calmarla. Aveva gli occhi spalancati per la paura: poteva vederlo avvicinarsi con una pistola. Quando mi sono voltata, ho sentito i colpi. Sono riuscita a comporre il 911. Non riuscivo a parlare mi aveva sparato al viso, ma hanno rintracciato la chiamata a casa”. Quando arriva la polizia, Elizabeth sente un poliziotto dire: “Oh, questo è solo un caso di violenza domestica”. A un metro da lei, che lottava per la vita, e da sua foglia, morta. I proiettili hanno fatto a pezzi la faccia di Elizabeth, che è stata ricostruita. Lei, in foto, oggi sorride.

La storia di Tiffany

“Ho incontrato il mio molestatore quando avevo 14 anni”, racconta Tiffany. “All’inizio non erano abusi fisici, erano emotivi. Mi metteva in imbarazzo o mi faceva sentire inferiore di fronte alle altre persone”. Il passaggio dagli insulti è stato molto veloce. “Quando ero incinta di sette mesi, mi ha picchiata fino a quando non mi sono ritrovata sul pavimento, raggomitolato in una palla”. E ancora, mentre Tiffany è in ospedale per partorire, lui incassa l’assegno della madre di lei per acquistare farmaci da rivendere. “Eravamo indietro con l’affitto e il proprietario di casa ha preso tutto quello che avevo e lo ha messo sul marciapiede”. Alla fine, la decisione: “non sarei tornata indietro”, dice lei. Ma lui riesce a rintracciarla. “Mi ha fatto credere di essere l’unica persona che mi avrebbe mai amato”. E ricomincia.

Quando Tiffany è incinta, al settimo mese, del suo sesto figlio, lo sparo. “Ho visto un grande lampo di luce e la mia mascella ha oscillato. Ho visto la mia camicia. Era rossa. I dottori mi hanno detto che l’unica ragione per cui il colpo non mi ha uccisa era perché nella pistola c’era un proiettile del calibro sbagliato. Come se non bastasse, la polizia “ha minacciato di arrestarmi se non avessi rivelato chi mi aveva sparato. Ho dato il nome del mio violentatore, ma in seguito ho ritrattato la mia dichiarazione perché ero spaventata e ho detto al procuratore che mi ero sparata da sola. Hanno lasciato cadere tutte le accuse contro di lui, ma alla fine è andato in prigione per tre anni a causa di una violazione della libertà vigilata da un precedente reato”.

La storia di Bradie

“Ci siamo sposati a 18 anni, abbiamo avuto tre figli e siamo rimasti insieme per quasi 15 anni. Non mi rendevo conto di cosa fosse un matrimonio violento. Dopo aver divorziato, ha sempre saputo dove fossi. Una volta un mio collega mi ha mandato un sms e mi ha detto: “È in fondo alla strada, seduto nel suo veicolo aziendale”. La polizia mi ha scortata nel mio ufficio”: Contro l’ex di Bradie scatta un ordine protettivo. Un paio di settimane dopo, mette la gamba mozzata di un maiale nella borsa per pannolini dei nostri figli. Insieme a una nota che diceva che i bambini la volevano come souvenir. Era andato a caccia e aveva tagliato la gamba al maiale. C’era del sangue dappertutto. “Nonostante l’ordine protettivo mi ha perseguitata e molestata”, racconta lei. “Ero ancora troppo spaventata per chiamare la polizia. Ha fatto irruzione in casa mia e ha minacciato di uccidersi, di uccidere altre persone. Ero in una nuova relazione e questo ha peggiorato le cose 10 volte. Quei pochi anni sono stati un inferno. Non sapevo di poter rinnovare il mio ordine di protezione, quindi è scaduto.

Dopo essersi risposato e aver divorziato due volte, l’ex si fidanza di nuovo. Anche la nuova fidanzata chiede un ordine protettivo perché stava abusando di lei e temeva per la sua vita. “Mi ha chiesto di andare all’udienza per testimoniare gli abusi passati. Usare la mia voce per rompere il silenzio contro la violenza domestica è stato difficile, ma vale la pena riavere la mia vita!”, racconta oggi Bradie. Si rendono disponibili per testimoniare anche la seconda e la terza moglie. Ora Bradie ha la custodia esclusiva dei figli e un ordine di protezione permanente per tutta la famiglia. “Da allora, ho co-fondato VOICES of Acadiana. La nostra missione è quella di sostenere le vittime di violenza domestica lavorando attivamente al cambiamento dei sistemi, educando e sensibilizzando l’opinione pubblica sulla violenza domestica e sul peso che portano le sopravvissute per interrompere il ciclo dell’abuso”.

In copertina Cicek Kobane/Rete Kurdistan

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