Contro-sorpresa: il fu-Cile resta giù
Scritto da Massimo Sollazzini in data Dicembre 20, 2021
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A un certo punto della domenica mattina, quella di ieri, è sembrato che il nastro si stesse riavvolgendo. In vari punti della capitale e delle zone circostanti, aspiranti votanti lamentavano la mancanza di bus, necessari per recarsi ai seggi. Nell’autunno di due anni fa, proprio le difficoltà nell’utilizzo dei mezzi pubblici e il rincaro nel prezzo dei biglietti avevano dato la stura alle proteste che portarono più di un milione di persone in piazza e, quindi, alla richiesta di una nuova Costituzione. Un copione beffardo per chi chiedeva un nuovo Cile sembrava preludere a un finale in senso inverso. Al primo turno delle elezioni presidenziali, lo scorso 21 novembre, la maggioranza delle preferenze, il 28%, era andata a José Antonio Kast, sorprendente candidato di una destra nostalgica i cui sostenitori in piazza non avevano remore a intonare canti dell’epoca dittatoriale. Il diretto inseguitore, Gabriel Boric, si era assestato a una distanza recuperabile, appena 3 punti, in vista del ballottaggio fissato al 19 dicembre. Ma dopo che la settimana scorsa l’uomo della terza forza, Franco Parisi, aveva scelto di appoggiare Kast, a molti pendolari del voto questa domenica mattina è sembrato che il bus del rinnovamento fosse già diretto al capolinea.
E invece no. Con oltre 4.600.000 mila preferenze, pari al 55% del totale, Boric è diventato il presidente più votato nella storia del Cile, e anche quello più giovane: appena 35 anni. L’esito del voto di ieri, in termini percentuali, ricalca quello del 1988 quando con un referendum i cileni dissero “No” all’ipotesi che i militari, al potere con la forza dal 1973, continuassero a governare. Quello fu il preludio al tramonto di Pinochet: ci vollero altri due anni perché il dittatore lasciasse materialmente il potere. Il voto di ieri riporta in primo piano il lavoro dell’assemblea Costituente, quella eletta la scorsa primavera, e che entro la prossima legislatura dovrà presentare al paese una riscrittura della Costituzione che cancelli gli strascichi dell’epoca dittatoriale.
Nelle scorse settimane, dopo il primo turno delle presidenziali, proprio le sorti della Costituente avevano cominciato ad assumere una luce più fioca; il percorso di riscrittura avrebbe potuto essere quantomeno accidentato con l’elezione di un presidente “nostalgico”. Ma a La Moneda, la “casa bianca” di Santiago del Cile, salirà invece un esponente opposto, alfine vincitore di un percorso elettorale polarizzato come mai prima nel paese ma, al tempo stesso, espressione di un fronteggiamento tra opposti che di questi tempi trova tanta eco anche nel resto del pianeta. Boric è un outsider anomalo: a sostenerlo c’era Apruebo Dignidad, coalizione di sinistra che ha rimescolato le carte tra i partiti tradizionali. È stata questa una delle tante anomalie del primo turno, oltre al 12% di preferenze per un candidato residente negli Stati Uniti, Parisi, e al ritorno in parlamento del Partito Comunista dopo quasi 50 anni sebbene la metà dei seggi del Senato sia appannaggio della destra. Un fattore, quest’ultimo, con cui necessariamente dovrà fare i conti il nuovo presidente dopo aver assunto la carica, il prossimo 11 marzo.
«Il Presidente eletto merita tutto il nostro rispetto e collaborazione costruttiva», ha twittato lo sfidante Kast dopo aver telefonato al vincitore Boric. «Solo con la coesione sociale, ritrovandoci e condividendo una casa comune, potremo dar vita a uno sviluppo vero e solido», ha detto quest’ultimo nelle prime dichiarazioni da presidente eletto, arrivato a più del 60% delle preferenze in alcune aree della capitale, ma anche in lande remote come Atacama. Nei dintorni del Cile, nel Brasile di Bolsonaro come nel Perù di Castillo, si guardava con apprensione all’esito di questo voto per opposte ragioni. Nondimeno, per il resto del mondo questo potrebbe essere un segnale importante. Di certo, almeno per il momento, il fu-Cile resterà a terra.
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