Los pequenos gigantes
Scritto da Giuliano Terenzi in data Aprile 19, 2020
Los Pequenos Gigantes, ovvero The Little Giants, è il nome con il quale viene soprannominata la squadra di baseball degli “Industriales de Monterrey”. A guardarla bene, probabilmente, non fa una grande impressione: più che una squadra giovanile sembra un gruppo di dodicenni sottopeso; bambini poveri e malmessi di una cittadina industriale a due ore, direzione sud, dal confine con il Texas.
Per un’esperienza più coinvolgente, invece di leggere ascoltate il podcast
La nascita de “Los Pequenos Gigantes”
Si allenano, per lo più, a piedi scalzi su improbabili campi di terra, tra fango, vetri e pietre e usano palle e guanti fatti in casa. Eppure, questi “piccoli giganti” per due anni vincono il campionato della loro area e vengono, incredibilmente, ammessi alle Little League World Series, la prestigiosa competizione di baseball giovanile d’America. Le squadre qualificate vengono divise in quattro gironi su base regionale e Monterrey viene assegnata al gruppo sud degli Stati Uniti. La vincente di ognuno dei quattro gironi avrebbe affrontato la semifinale e la finale per il titolo di campione delle Little World Series.
La squadra è composta da 14 ragazzini e lo staff è completato dal parroco della cittadina, tale Padre Esteban e, ovviamente, dal manager e allenatore, Cesar Faz che, appassionato di baseball, ha sempre sognato di giocare nella Major League senza, però, mai riuscirci, riducendosi a lavorare come addetto alla clubhouse dei St. Louis Cardinals. Finita quell’esperienza, Faz ritorna in Messico, a Monterrey e, per l’appunto, mette su una squadra di bambini che non hanno mai giocato seriamente a baseball. Per convincere ed essere sicuro che i ragazzi di Monterrey lo seguano in questo suo progetto racconta loro non solo di essere stato il coach dei St. Louis Cardinals ma anche di essere stato un buon lanciatore professionista. I ragazzi si lasciano coinvolgere e la leggenda dei “piccoli giganti” comincia a prendere forma.
Il viaggio negli Stati Uniti
L’avventura dei “Los Pequenos Gigantes” inizia nel mese di luglio e durerà per le quattro settimane successive. Affrontano la prima partita dopo un viaggio in autobus con qualche spicciolo in tasca e un solo cambio di vestiti; arrivano a Reynosa per poi attraversare il confine a piedi nei pressi del ponte sul Rio Grande verso McAllen, in Texas, dove vincono, inaspettatamente, la loro prima partita per 9 a 2 contro una squadra di Città del Messico. Da lì in poi non si fermano più. Quella che doveva essere una gita di tre giorni negli Stati Uniti, uno per giocare la partita e due per fare i turisti, diventa una vera e propria cavalcata vincente.
Con le vittorie, però, cominciano anche i problemi. Eh sì, perché, nel frattempo, andando avanti partita dopo partita, vittoria dopo vittoria, i visti per rimanere negli Stati Uniti sono scaduti, mai nessuno avrebbe potuto immaginare di passare così tanti giorni lontano da casa. Per risolvere la questione interviene addirittura l’ambasciatore americano in Messico che permette alla squadra messicana di restare nel Paese e di continuare il torneo. Per lo stesso motivo, la squadra è a corto di soldi e i ragazzi sono costretti a ridurre i pasti a due al giorno, tranne quando vengono invitati e sostenuti da qualche brava persona che gli da la possibilità di consumare un pasto in ristorante e, magari, gli “allunga” anche qualche dollaro dopo una vittoria.
I nostri 14 piccoli giganti non si fermano di fronte a nulla: vincono in Texas, Mississippi, Kentucky aggiudicandosi il titolo di campioni della Southern Region a Louisville. A questo punto, come da regolamento, per giocare la fase finale del torneo a Williamsport, i funzionari della Little League gli forniscono delle nuove divise con la scritta “South” sul petto, quale emblema del titolo regionale appena conquistato; il fatto è che a nessuno di loro vanno bene: i ragazzi di Monterrey sono veramente troppo piccoli rispetto alla media delle altre squadre, le taglie sono troppo grandi!
Le fasi finali del torneo
Riuscite ad immaginarveli con quelle divise di due taglie più grandi che li rendono, se non ridicoli, quantomeno improbabili, battere in semifinale Bridgeport, la squadra dello stato del Connecticut, per 2 a 1 e volare in finale? Beh dovreste, perché è esattamente quello che accade. Ormai solo la partita con la rappresentativa della California, La Mesa, li separa dall’impresa di vincere il prestigioso torneo; impresa tutt’altro che facile visto che anche la squadra di La Mesa si presenta da imbattuta e ha appena sconfitto senza nessuna difficoltà la rappresentativa del Michigan, Escanaba, con un grande Joe McKirahan, stella mancina di La Mesa, considerato il miglior talento del torneo.
Ma anche i nostri Pequenos Gigantes hanno la loro stella: si chiama Angel Macias, numero 8, alto 1,52 per 40 kg, ambidestro – ed è una rarità – che il giorno della finale decide di lanciare solo con la mano destra. Una scelta quanto mai azzeccata visto che, il 23 agosto del 1957, Macias realizza quello che rimane l’unico “perfect game” in una finale della Little League World Series: il messicano elimina tutti i 18 battitori avversari in rapida successione mettendone 11 in strikeout. Così, grazie alla magia dei lanci di Angel Macias, mentre a Monterrey in Messico trasmettono la partita alla radio, “Los Pequenos Gigantes” sconfiggono La Mesa, California, 4-0, davanti a 10.000 persone, diventando così la prima squadra al di fuori degli Stati Uniti a vincere la Little League World Series.
La ciliegina sulla torta
Una prodezza nella prodezza: il “perfect game” che è il termine con il quale si definisce una partita di almeno nove inning (sei per la Little League) in cui un lanciatore ottiene la vittoria senza concedere battute valide né basi ball e senza che lui, o i propri compagni, commettano errori di campo: praticamente, nessuno dei battitori avversari deve mai raggiungere la prima base, per cui l’attacco avversario rimane a zero sia nel punteggio, sia nel numero di battute valide. Tutto sommato, potrebbe sembrare non così inconsueto, eppure, considerate che, nonostante nel baseball moderno ogni squadra giochi oltre 160 partite all’anno, dall’inizio del XX secolo ad oggi si sono verificati soltanto 21 casi di perfect game!
Sarebbe passato quasi un mese prima del ritorno a casa per i piccoli giganti, visto che a questo punto decidono di fare i turisti sul serio: prima New York City, poi Washington DC per incontrare, alla Casa Bianca, nientemeno che il presidente Eisenhower, fino alle celebrazioni a Città del Messico prima di tornare a Monterrey dove vengono accolti trionfalmente da migliaia di persone nelle strade.
Angel Macias – L’eroe della giornata
A ogni giocatore viene anche assegnata una borsa di studio per il liceo e il college dal governo messicano, anche se, solo due componenti della squadra ne beneficiano. L’eroe di quella giornata indimenticabile, Angel Macias, anni dopo, viene ingaggiato dai Los Angeles Angels ed invitato al loro primo spring training all’età di 16 anni. Macias gioca brevemente per gli Angels nelle minor leagues prima di iniziare la carriera nella Mexican League che dura dodici anni. Se gli chiedete di ricordare il periodo di Monterrey vi risponde:
“Si aprirono tutte le porte e ovunque andassimo qualcuno ci ricordava o voleva un autografo. La gente sapeva i nostri nomi, e il mio nome era Angel Macias, bambino campione”.
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