Quel “foda-se”, ritornello della politica brasiliana odierna

Scritto da in data Marzo 7, 2020

La politica brasiliana sembra sempre più legata al concetto espresso dal generale Augusto Heleno: “foda-se”, ossia, “si fottano”. L’Amazzonia, gli indigeni, gli oppositori e adesso, persino il Congresso.
Cosa è successo nel primo anno di presidenza di Jair Messias Bolsonaro e cosa ci aspetta?

Di secondo nome fa Messias. Tra le sue dichiarazioni troviamo “l’errore della dittatura è stato torturare e non uccidere gli oppositori” e “troppo brutta da non meritare di essere violentata”, ma anche “gli afro-brasiliani non servono neanche a procreare”. Se è vero che, come dice il Manifesto della comunicazione non ostile, “si è ciò che si comunica” e che le parole che scelgo raccontano la persona che sono, della persona che le ha pronunciate già possiamo intuire che è un violento, razzista e misogino. Il suo secondo nome, quasi fosse un segno del destino, colloca questa persona nell’ala ultra-cattolica, conservatrice, anti abortista e omofoba. Avete capito di chi si tratta?

Brasile, anno domini 2020. Lo so, fa molto Medioevo, ma l’aria che si respira in questo paese non va troppo lontano da quel periodo storico. Le frasi sentite poco fa potrebbero essere le solite quattro chiacchiere da bar, preoccupanti in ogni caso, se non fosse che chi le ha pronunciate è il presidente del Brasile Jair Messias Bolsonaro.

Un anno e tre mesi dopo, questo è il risultato della sua presidenza: il 29% dei brasiliani considera la sua gestione positiva, ha licenziato quattro ministri, ha litigato con alcuni leader stranieri, con altri ha dovuto fare marcia indietro, il suo idolo Donald Trump ha minacciato una guerra dei dazi pure con lui. Ha litigato con il partito Social Liberale con cui era stato eletto per una diversa visione della gestione del finanziamento pubblico, cosa che lo ha portato a fondare un nuovo partito, l’Alleanza per il Brasile: è il nono schieramento che cambia nell’arco della sua carriera politica, ma il primo che fonda. Per far partire il nuovo partito ha bisogno di 500.000 firme: l’incarico di portare a casa questo successo è stato dato al figlio Flávio Bolsonaro, indagato per riciclaggio di denaro nel sistema della rachadinha, ossia uno schema di corruzione per cui collaboratori fantasma devono dare buona parte del loro salario ai deputati che li hanno assunti.

Ma ciò che rende tristemente famoso Bolsonaro negli ultimi tempi sono due faccende, chiamiamole così.

La prima, l’Amazzonia

La sua immagine internazionale è associata al distruttore dell’ecosistema. E anche qui, le parole di odio si sprecano. Qui il link di un sito dove sono state raccolte le frasi di Bolsonaro verso gli indios. Poche settimana fa il presidente del Brasile dichiarava che solo ora gli indigeni stanno lentamente acquisendo la “vera natura” di esseri umani. Sei mesi fa aveva detto che “L’Amazzonia è nostra”…di chi, esattamente, mi chiedo?

Sua e dei suoi amici molto potenti, tra cui le lobby del settore minerario interne al Brasile, ma con agganci internazionali. Il suo sogno, che è già una proposta di legge, la 191/20, è aprire le terre indigene alle attività minerarie, agricole e alla costruzione di centrali idroelettriche. Un’esplorazione mineraria senza freni né confini nelle terre amazzoniche. La posizione ufficiale di Bolsonaro e di Bento Alburqueque, il ministro delle Miniere e dell’Energia che ha elaborato la proposta insieme al presidente, è che questa misura andrebbe a vantaggio degli indigeni delle foreste perché la mancanza di regole dei governi precedenti ha favorito l’estrazione mineraria illegale e ha causato incertezza giuridica. Le popolazioni indigene, che stanno cercando di far sentire la propria voce, definiscono “genocidio, etnocidio ed ecocidio” la politica senza scrupoli di Bolsonaro.

La distruzione di un intero ecosistema metterebbe a rischio di desertificazione aree immense della foresta più grande del pianeta. E significherebbe la fine anche delle comunità indigene che vivono più lontane dal contatto con altre popolazioni, e che sarebbero più impreparate non solo a far valere i propri diritti costituzionali, ma soprattutto a sopravvivere al di fuori delle proprie terre d’origine. Sradicare gli indigeni dai luoghi natii e imporre loro di vivere di royalties, mentre le ruspe distruggono la foresta, non è esattamente quello che ci si aspetta da uno che dice di avere a cuore la questione Amazzonia, come ha dichiarato Bolsonaro. La questione è ben diversa, perché le comunità indigene non avranno il diritto di porre alcun veto sui progetti autorizzati dal Congresso sui loro territori. L’obiettivo del governo è quello di abbattere il sistema di protezione voluto dalla Costituzione e, come era avvenuto durante la dittatura, costringere gli indigeni ad accettare un unico modello economico e sociale in una logica di assimilazione culturale che mette in discussione il loro diritto alla differenza. Insomma, gli indigeni “foda-se”.

 

https://www.youtube.com/watch?v=ykPSmE7QzYQ

La seconda faccenda, il Congresso.

Il Congresso Nazionale del Brasile è l’organo costituzionale che esercita, in ambito federale, le funzioni del potere legislativo; si compone di due camere, il Senato federale e la Camera dei deputati. È l’argine democratico per le derive deliranti di Bolsonaro. Fino a oggi, perché quel “foda-se” potrebbe travolgere anche il congresso.

Augusto Heleno, generale e autoritario rappresentante dell’ala militare del governo, si è sfogato contro il Congresso invitando i parlamentari a “fode-se”, ossia a fottersi, sottolineando come “non possiamo accettare che questi tizi (i parlamentari) ci ricattino tutto il tempo”. Non sapeva di essere registrato. Heleno parlava a riguardo delle trattative in corso con il Congresso per la gestione del bilancio dell’anno in corso. Il generale ha suggerito a Bolsonaro di convocare il popolo in strada contro il Congresso.

E Bolsonaro cosa fa? Fa girare un video su WhatsApp che in poco più di un minuto ripercorre le gloriose gesta del presidente per l’amore del suo popolo e della sua terra. Di fronte a tanta dedizione, il popolo brasiliano dovrebbe, o potrebbe, esprimergli riconoscenza scendendo in piazza accanto all’estrema destra in questa nuova marcia per la chiusura del Congresso. Ah-ah, avete capito bene: la chiusura del Congresso, del Parlamento. La manifestazione sarà il 15 marzo.

Bolsonaro ha dato sostegno alla manifestazione, sposando l’idea di chiudere il Congresso, che tanto gli mette i bastoni tra le ruote quando si tratta del suo progetto di devastazione ambientale e sociale del paese, tra cui quel sogno-proposta di legge di sfruttamento dell’Amazzonia.

Da Lula a Rousseff a de Mello, il decano Supremo del Tribunale Federale, da Green Peace agli attivisti ambientali agli indigeni, da più parti la sensazione è che Bolsonaro abbia passato il limite. Il presidente può tanto, ma non può tutto. E il rischio di impeachment, già invocato da più parti, per Bolsonaro è sempre più vicino.

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