Soldatini pre-Corona
Scritto da Massimo Sollazzini in data Marzo 8, 2020
Un malanno sconosciuto, una cura da trovare, pochi simili con cui confrontarsi. A vivere questa condizione nel mondo erano già quasi mezzo miliardo di persone, la maggior parte bambini. Ancor prima del Ncov-2019.
di Massimo Sollazzini su Radio Bullets
Certo, non è proprio una bella sensazione quella che prova chi in questi giorni si è sentito diagnosticare il Covid 19. E non solo perché d’improvviso si trova a che fare con una malattia fino a poco fa sconosciuta. C’è pure il carico aggiuntivo di essere un soggetto raro, uno tra i pochi accomunati dal destino, rispetto alla stragrande maggioranza di persone che quel virus non ce l’hanno.
Le patologie rare non sono una novità
Eppure quella della rarità patologica è una condizione tutt’altro che rara. Ancor prima del Coronavirus, in Italia riguarda 2 milioni di persone, 30 su scala europea, 400 a livello mondiale. Solo che ognuno è raro a modo suo, cioè quasi unico. E la maggior parte di loro sono bambini.
I piccoli malati rari sono quelli che condividono la stessa malattia con non più di altri 5 individui ogni 10mila persone. Attenzione: rare non significa poche. Ad oggi nel mondo le patologie censite che hanno questa densità sono circa 8mila: la maggior parte di essere derivano da mutazioni genetiche, ma solo per una su dieci le conoscenze scientifiche sono tali da delineare una efficace terapia. E il 70 per cento dei colpiti sono individui in età pediatrica: bambini, appunto.
Bambini come Adele, che all’età di 10 anni ha patito un’improvvisa crisi epilettica, effetto della mutazione di tre geni. Oppure come Julien, la cui pipi quando ha appena due anni diventa color cavolo rosso, effetto della alcaptonuria. E che solo 16 anni dopo riesce ad assumere un farmaco specifico per questa malattia, grazie alle sperimentazioni rese possibili dalla raccolta fondi avviata dal padre.
La solitudine della malattia
Più che rari, spesso sono soli: i bambini o gli adulti che ne sono colpiti, e i loro familiari, i cosiddetti “caregivers”. Simili solo a pochi altri, sparsi magari a migliaia di chilometri l’uno dall’altro. Vuoi per la tenacia o per le circostanze, non di rado riescono a connettersi: grazie alle associazioni di mutuo aiuto, c’è n’è quasi una per patologia, e magari a internet. In queste situazioni i social network danno il meglio di sé: quando pensiamo agli haters, ed ai post spazzatura, ricordiamoci che facebook o twitter sono anche mezzi per mantenere viva la speranza in chi condivide un fardello a distanza, oppure per facilitarne l’organizzazione della quotidianità: che tra cliniche, carrozzine, medicine e solitudine, è quasi sempre molto pesante.
Da meno di un anno esiste anche un social specifico: si chiama “Share4rare”, è stato creato a Barcellona. In Italia il 2020 ha visto nascere “Malattierare.gov.it”, un portale dedicato per iniziativa di Ministero della Salute e il Centro nazionale istituito presso l’Istituto Superiore della Sanità. E da 10 anni è attiva anche Omar, prima ed unica agenzia giornalistica europea dedicata alle malattie rare.
Insomma, un mondo. Abitato da più di un miliardo e mezzo di persone, se accanto ai malati contiamo i care givers, i medici, gli enti di assistenza.
Ad Osimo, al Centro Diagnostico della Lega del Filo d’Oro, affermano che negli ultimi 10 anni gli accessi con malattie rare sono cresciuti del 17 per cento. La moltiplicazione delle patologie inedite sembra un effetto dei tempi moderni. Ma non del tutto. Pochi giorni fa nei resti di un dinosauro ritrovati in Canada sono stati riconosciuti i segni dell’LCH, una rara forma di tumore che colpisce le ossa dei bambini, e che esisteva già 66 milioni di anni fa.
Delle 8mila rarità censite fa parte anche la mielite flaccida acuta. Ne avevamo parlato qui, in Minori report, un anno e mezzo fa. Un malanno simile a quella che un tempo era la poliomelite, e che nel 2018 aveva conosciuto una preoccupante recrudescenza negli Stati uniti, la terza nel giro di 4 anni, accertata in 237 bambini. L’anno dopo, nel 2019, i casi accertati sono stati meno di 40. Ed è proprio durante lo scorso anno che i ricercatori dell’Università di San Francisco hanno impiegato l’Enterovirus C68, che pare essere causa della Mielite, per avviare una sperimentazione che dovrebbe portare ad un farmaco risolutivo per un malanno che accomuna tutti, il raffreddore.
Un anno e mezzo fa, in chiusura di quella puntata, notavamo come la comunità scientifica non fosse ancora in grado di indicare specifiche misure di prevenzione per quella malattia. Salvo una, semplice e banale al tempo stesso: coprirsi la bozza quando si tossisce o si starnutisce. Limitare il contatto con altri esseri umani quando si è influenzati. Lavarsi spesso e bene le mani.
Un ritornello molto familiare, in queste ultime settimane. Che ci accomuna tutti, mentre cerchiamo di scacciare dalla mente lo spauracchio di quel virus, e il timore di diventare uno dei pochi ad esserne affetti. Anche se via via i pochi sono sempre più. E quelli che con questo status convivevano già, continuano a farlo.
Credits: Musica: Ludovico Einaudi, The snow prelude #15, Chester music – Ricordi. Immagine: Share4rare campaign poster – https://www.share4rare.org/press .
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