Senegal, l’infanzia perduta dei talibé
Scritto da Angela Gennaro in data Novembre 18, 2024
SALI PORTUDAL – Moussa di ciotole ne ha due. Ali una. Sono sporche e vuote. Avranno cinque anni, nemmeno.
Ciondolano davanti al mercato di Sali Portudal, località turistica del Senegal, a sud di Dakar, e chiedono soldi.
La turista bianca, una toubab, gli recapita sul palmo della mano un pacco di biscottini. Li prende ma un’ombra passa sulla faccia già triste di Ali. Voleva i soldi, doveva avere soldi.
“Moussa, kom!”. E se ne va.
Ma il bimbo non lo segue. È incuriosito e resta un po’ a chiacchierare con le turiste in un misto di wolof, francese e tenerezza.
Poi ciondola via anche lui, e raggiunge il suo amico.
Si siede sulla sua ciotola, sgabello all’occorrenza, e mangia con lui dal piatto comune per terra, sul ciglio della strada, una sbobba marrone e lercia.

Sali Portudal, Senegal, 17 novembre 2024. Radio Bullers:Angela Gennaro
Chi sono i talibé
È difficile, se non impossibile, sapere quanti sono i bambini talibé in Senegal, scrive Amnesty International.
“Non esiste uno studio nazionale che consenta un conteggio complessivo”.
Nel 2018 la ong Global Solidarity Initiative realizza però un report in cui si stima che nella sola capitale senegalese siano almeno 200mila.
E almeno 50mila di loro, il 25%, pratica l’accattonaggio forzato.
A colpo d’occhio, in alcune zone, sono dappertutto.
“Ti mandano per strada per imparare come funziona la vita”, racconta un ex talibè. Quei bambini, oggi grandi, diventano molto seri quando scattano fotografie di infanzia.
“Se potessi cambiare qualcosa nella mia vita quotidiana sarebbe avere vestiti, scarpe e un materasso puliti per dormire. Nelle daara sono i bambini più grandi che dormono sui materassi.
Quelli più piccoli dormono sulle stuoie”, racconta Ibou – il nome è di fantasia – un bambino talibé incontrato dai ricercatori e dalle ricercatrici di Amnesty.
Questi bambini vengono affidati dalle famiglie alle scuole coraniche, le daaras, per la loro educazione religiosa, in genere dai cinque anni in su – ma spesso accade anche a bimbi molto più piccoli. E poi fino a 15, 16 anni.
L’educazione religiosa nelle scuole coraniche è cruciale, ma la povertà gioca un ruolo essenziale. I soldi, semplicemente, non ci sono.
Non per l’iscrizione alla scuola pubblica, ma nemmeno per sfamare quel bambino.
E la maggior parte degli insegnanti coranici fornisce lezioni, alloggio e cibo ai bambini talibé senza costi per i genitori, spiega ancora Amnesty. In teoria li mantiene, ma non è esattamente così.
Perché gli insegnanti coranici – non tutti, molti – costringono i bambini talibé a mendicare per strada e la sera riportare indietro il bottino al marabout.
È da decenni che le strade di Dakar e di altre città del Senegal si riempiono di questa infanzia.
Si svegliano presto, alle 5 del mattino se non prima, per l’apprendimento del Corano, e poi vengono spediti per strada a chiedere soldi: mattino, pomeriggio e sera.
Si avvicinano con le mani a coppetta e chiedono argent, soldi, in francese. A volte un cadeau – che poi è lo stesso.
Alla fine della giornata sono obbligati a portare al maestro una certa cifra, intorno ai 500 franchi CFA – anche se ora dovrebbe toccare quota 1000.
Altrimenti sono botte.
“Dobbiamo pagare dai 400 ai 450 franchi CFA (0,69 euro) al giorno al maestro coranico, ma può succedere che incassiamo di più. In questo caso posso risparmiare il resto per pagarlo il giorno dopo e andare a giocare o riposarmi invece di elemosinare”, si legge in un’altra testimonianza raccolta da Amnesty.
L’arte di arrangiarsi
Il Senegal è il paese dell’arte dell’arrangiarsi, e questo vale a tutte le età. Per questo anche i talibè inventano stratagemmi per concedersi momenti di tregua.
“Quando ero talibé, uno dei miei compagni di classe, Amadou*, che era nella mia stessa daara, balbettava e non parlava bene”, si legge in un’altra testimonianza riportata dalla ong.
“Un giorno, mentre faceva fatica a recitare, il maestro coranico lo colpì sulla testa con la sua tavoletta di legno. Amadou è morto due giorni dopo”… Abdou*, un ex bambino talibé incontrato nei locali di un’associazione.
“Anche mettere catene ai piedi dei bambini talibé fa parte delle pratiche comuni all’interno dei daara”, scrive ancora Amnesty.
Senza dimenticare la violenza sessuale, anche se il numero dei casi è sottostimato alla polizia.
Lontano dalla strada

Sali Portudal, 17 novembre 2024. Radio Bullers/Angela Gennaro
Ad agosto cinque bambini sono morti a causa di un incendio a Tivaouane, nella regione di Thiès a nord di Dakar. Le fiamme, provocate da una candela, hanno ridotto in cenere due delle tre capanne di paglia dove dormivano i talibé.
E il maestro coranico è stato arrestato.
Tra luglio 2016 e maggio 2018 il Senegal “ha implementato due fasi di un progetto ideato per rimuovere i bambini dalle strade di Dakar, mirato ai talibé, o bambini studenti del Corano, che chiedono l’elemosina”, spiega Shona L. Macleod, Department of International Development, King’s College London.
Quasi 10mila bambini sono stati allontanati dalle strade, in un “intervento anti-tratta” rivelatosi “non coordinato e non pianificato”.
Perché la contraddizione tra le due diverse spiegazioni per l’elemosina dei talibé – insegnamento della vita vs sfruttamento e traffico di bambini – “ha portato a ricompense piuttosto che a sanzioni per i responsabili, che sono inquadrati in vari modi come trafficanti di bambini e come legittimi insegnanti del Corano”.
Mancanza di coordinamento e cooperazione
Il programma ha sofferto della mancanza di coordinamento e cooperazione tra strutture statali e tra strutture statali e ONG, nel tentativo di “aderire alle prescrizioni internazionali per porre fine alla tratta di bambini, evitando al contempo l’ira politica dei leader religiosi a livello nazionale”.
“Molti di questi ragazzi sono migrati dai villaggi ai centri urbani per imparare a memoria il Corano sotto la tutela dei sëriñ daaras, o insegnanti coranici, e molti di loro (ma non tutti) trascorrono lunghe ore a chiedere l’elemosina da riportare ai loro sëriñ daara”.
Una narrazione inquadra la pratica come il risultato dell’esclusione di scuole religiose impoverite ma legittime dal sistema educativo nazionale, mentre l’altra ritrae i talibé come vittime del traffico di bambini, sfruttati da uomini malevoli che si atteggiano a insegnanti coranici (Thiam, Citazione2014).
I sëriñ daaras, chiamati anche marabout, “invece di essere puniti o sanzionati, inquadrati come trafficanti nella retorica diventano beneficiari di supporto nella pratica (Thiam, Citation2014)”.
Il progetto “è un esempio dello stato che placa le forze esterne che vedono i talibé come vittime del traffico di bambini, evitando al contempo l’ira dei potenti leader religiosi in Senegal”.
L’allarme internazionale
A febbraio di quest’anno esperti ed esperte indipendenti delle Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme per i “livelli di violenza fisica” contro i bambini in vari contesti, comprese le scuole, in particolare daaras.
Il Comitato “esorta lo Stato a vietare esplicitamente nella legge le punizioni corporali in tutti i contesti, compresi quelli domestici, nelle daara, negli asili nido e nelle strutture protettive sostitutive”.
Con l’abrogazione di tutte le disposizioni che autorizzano l’uso delle punizioni corporali da parte degli adulti, compreso l’articolo 285 del Codice della famiglia senegalese.
Preoccupato per le migliaia di talibé che continuano a vivere in condizioni squallide, privati di cibo e cure mediche adeguate, sottoposti a percosse, abusi sessuali e incarcerazione, il Comitato “esorta il Senegal a garantire che tutti i casi di abusi sui minori, compresi gli abusi sessuali, siano tempestivamente affrontati, segnalati e indagati”.
Creare meccanismi accessibili
Questo implica anche la creazione di meccanismi accessibili, confidenziali e a misura di bambino per facilitare la denuncia obbligatoria della violenza contro i bambini, compresi gli abusi sessuali.
Pur accogliendo con favore le iniziative a sostegno dei bambini in situazioni di strada, il Comitato raccomanda anche che Dakar attui programmi di protezione sociale mirati all’accattonaggio forzato, in particolare alle famiglie che sono più propense a mandare i bambini in daara lontane della loro comunità per motivi economici.
In risposta a queste domande Dakar ha manifestato, durante l’esame del rapporto, il desiderio di continuare a compiere “enormi sforzi per la socializzazione, la protezione e l’educazione dei bambini di strada”.
La delegazione senegalese ha anche annunciato che il governo, al di là della dimensione dell’accattonaggio, lancerà un approccio educativo per aiutare questi bambini che rischiano di essere vittime di sfruttamento.
Radio Bullets è in Senegal alla scoperta del paese e per seguire il lavoro umanitario dell’associazione Progetto Senegal Odv.
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