E se gli Stati Uniti entrassero in guerra?

Scritto da in data Giugno 18, 2025

Gli Stati Uniti stanno spostando nuove truppe nella regione, accelerando il dispiegamento della portaerei USS Nimitz e del suo gruppo d’attacco, originariamente previsto per un’altra zona strategica: il Mar Cinese Meridionale. Un cambiamento di rotta che rivela molto più di quanto le dichiarazioni ufficiali lascino intendere.

La decisione è arrivata dopo il pesantissimo attacco a sorpresa condotto da Israele contro infrastrutture militari e nucleari iraniane. Un’operazione unilaterale – secondo la Casa Bianca – che ha colto di sorpresa anche gli alleati americani. Anche se poi è stata smentita.

Teheran ha risposto con centinaia di missili e droni lanciati verso Israele, provocando decine di morti e una nuova ondata di paura nella popolazione.

Ma se finora gli scontri sono rimasti in una dimensione – per quanto feroce – “bilaterale”, gli sviluppi delle ultime ore fanno temere il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. E con esso, un’escalation potenzialmente devastante.

Il rischio di un’escalation globale

Secondo diversi analisti sentiti da Newsweek, l’Iran sta valutando con crescente serietà la possibilità di un intervento americano diretto.

E non si tratta solo di una “variabile esterna”: Teheran considera un eventuale ingresso di Washington nel conflitto non come una minaccia per il regime, ma come una minaccia esistenziale per l’intero Stato.

In questo scenario – avverte Hamidreza Azizi del German Institute for International and Security Affairs – “tutti gli accordi salterebbero”. E si entrerebbe in una fase completamente nuova.

Una fase che Newsweek ha provato ad anticipare, ipotizzando tre scenari chiave nel caso in cui gli Stati Uniti decidessero di intervenire direttamente.

1. Attacchi contro basi e asset americani

Il primo fronte sarebbe inevitabilmente militare. Gli USA dispongono di oltre 40.000 soldati dislocati in almeno 19 località strategiche in Medio Oriente – dalle basi permanenti in Bahrein, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita e Iraq fino a installazioni più leggere in Egitto, Giordania e negli Emirati.

Ad oggi, Teheran ha evitato il confronto diretto, limitandosi ad alcuni attacchi dimostrativi – come l’invio di droni su basi statunitensi in Iraq – considerati da Azizi “più un avvertimento che un’aggressione”.

Ma se gli USA dovessero entrare in guerra, l’Iran potrebbe reagire su larga scala: missili contro basi militari, cyberattacchi, azioni mirate contro ambasciate e infrastrutture. Lo stesso Pentagono riconosce che le forze americane sono vulnerabili su più fronti.

2. La minaccia dello Stretto di Hormuz

Il secondo scenario riguarda uno dei nervi scoperti dell’economia globale: lo Stretto di Hormuz. Da qui transita circa il 20% del petrolio mondiale. L’Iran, che affaccia direttamente su questo corridoio marittimo strategico, ha già minacciato – attraverso il parlamentare Esmail Kosari – di prenderne il controllo e bloccarne il traffico.

Una mossa che metterebbe in ginocchio i mercati energetici e causerebbe una crisi globale dei trasporti e dei rifornimenti. A peggiorare la situazione, i segnali di “interferenze elettroniche” già registrati nel Golfo da parte del UK Maritime Trade Operations, che segnalano problemi ai sistemi di posizionamento delle navi. Una guerra economica, in piena regola.

Secondo Jakob Larsen del consiglio marittimo internazionale BIMCO, “l’Iran è in grado di attaccare le navi commerciali in tempo reale, più rapidamente di quanto una nave possa completare il passaggio attraverso lo Stretto”. E non è solo una minaccia: è un’opzione militare reale, studiata da anni.

3. L’ombra dell’“Asse della Resistenza”

Il terzo e forse più inquietante scenario riguarda la cosiddetta “Axis of Resistance” – l’insieme di milizie, forze paramilitari e cellule dormienti alleate dell’Iran sparse in Medio Oriente e nel mondo.

Secondo Khosro Sayeh Isfahani, analista del National Union for Democracy in Iran, se la linea rossa dovesse essere superata, Teheran potrebbe attivare una risposta multi-frontale: attacchi coordinati da parte di Hezbollah in Libano, degli Houthi in Yemen, delle milizie sciite in Iraq e Siria, fino all’utilizzo di agenti dell’intelligence e cellule dormienti per operazioni all’estero – comprese azioni terroristiche e rapimenti di cittadini statunitensi.

Secondo Lara Tandy, esperta di rischio geopolitico e cyber-sicurezza, l’interruzione del fragile cessate-il-fuoco con gli Houthi sarebbe uno dei primi effetti collaterali.

E potrebbe portare a una nuova offensiva nel Mar Rosso, in particolare nello stretto di Bab el-Mandeb, altro punto strategico che collega lo Yemen all’Africa e al Canale di Suez. In pratica: un doppio strangolamento delle vie marittime globali.

Dietro la retorica, un rischio concreto

Donald Trump – che intanto ha parlato di “vera fine del conflitto” – è visto da Teheran come un bluffatore. Le dichiarazioni ufficiali americane, dicono da Teheran, suonano più come mosse propagandistiche che reali segnali di de-escalation.

Ed è proprio questo cinismo reciproco che rende il momento particolarmente pericoloso: ciascuna delle parti si muove ormai come se l’altra stesse già mentendo.

Una guerra tra Iran e Israele è già abbastanza tragica. Ma un conflitto che coinvolga direttamente gli Stati Uniti potrebbe trasformarsi in una guerra asimmetrica e globale, combattuta nei cieli, nei mari, nel cyberspazio e – forse – anche tra la gente comune.

E allora la domanda diventa urgente: quanto siamo davvero lontani dal punto di non ritorno? E se nessuno sembra in grado (o disposto) a frenare l’escalation, chi deciderà dove si fermerà la prossima bomba visto che ormai il diritto internazionale non ferma più nessuno?

Medioriente sull’orlo del baratro?

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