16 febbraio 2021 – Notiziario in genere

Scritto da in data Febbraio 16, 2021

Burkina Faso: aggressioni sessuali alle donne che fuggono dalla violenza. Perù: lo Stato risarcirà le vittime di sterilizzazioni forzate. Per le Nazioni Unite, in America Latina il lavoro delle donne regredisce di dieci anni a causa della pandemia di Coronavirus. Malta: mandava il figlio di 7 anni con prostitute, condannato. Stati Uniti: addio a Larry Flynt, il “re del porno” anti-Trump. Kamala Harris: «È tempo di una politica per le donne».

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Burkina Faso

Le violenze estremiste in Burkina Faso legate ad al-Qaida e al gruppo dello Stato Islamico stanno alimentando un aumento delle aggressioni sessuali contro le donne, soprattutto quelle sfollate a causa degli attacchi. A scriverlo è l’Associated Press: molte vengono aggredite mentre cercano di raccogliere gli effetti personali che hanno lasciato. Secondo l’Armed Conflict Location & Event Data Project, l’anno scorso la violenza ha ucciso più di duemila persone e ha provocato oltre un milione di sfollati e sfollate.

Nella regione del centro nord del Burkina Faso, i casi di violenza sessuale sono aumentati nel 2020 da due a dieci nel giro di tre mesi: a confermarlo un report di gruppi umanitari tra cui le Nazioni Unite. Circa l’85% delle sopravvissute erano sfollate interne che vivevano principalmente in campi improvvisati nelle città di Barsalogho e Kaya.

«Non andrò più lontano di quattro chilometri (2,5 miglia) al di fuori di Kaya per coltivare perché temo per la mia sicurezza», racconta all’AP Kotim Sawadogo. La 37enne è fuggita da Dablo ad agosto e fatica a procurarsi il cibo per i suoi quattro figli. Nel settembre 2019, sua nipote è stata violentata dai jihadisti mentre coltivava fuori dal villaggio, racconta. «Non verranno uccise ma saranno violentate, il che è comunque come essere uccise dentro», racconta Fatimata Sawadogo, sfollata l’anno scorso da Dablo a Kaya e che conosce donne che sono state violentate dai jihadisti durante il raccolto. Le donne spesso presumono che gli stupratori siano jihadisti perché portano armi e indossano maschere. A volte, dopo aver aggredito le donne, i jihadisti bruciano il cibo, eppure alcune donne sono così disperate che tornano il giorno dopo per recuperarlo.

I gruppi di aiuto dicono che i jihadisti non sono gli unici responsabili e che c’è stato un aumento della violenza domestica e dello sfruttamento delle donne sfollate da parte delle comunità ospitanti.

America Latina

Perù

«La giustizia peruviana è stata sorda, cieca e muta. È vergognoso che in 25 anni non abbiamo trovato riparazione. Le donne sterilizzate muoiono e si ammalano ogni giorno; le loro ferite non si cicatrizzeranno finché i colpevoli non saranno condannati». Sono queste le parole, riportate da Avvenire in questi giorni, di Maria Elena Carbajal Cepeda. È una donna forzatamente sterilizzata in Perù: i medici, ricostruisce il quotidiano, le legarono le tube a sua insaputa il 18 ottobre 1996, subito dopo aver fatto nascere il suo quarto e ultimo figlio. «Aveva 26 anni e capì che qualcosa non andava solo mesi dopo: dolori incessanti al basso ventre, malessere, squilibrio ormonale. Poi venne la depressione, l’ansia; suo maritò la lasciò, accusandola assurdamente di essersi fatta sterilizzare per poterlo tradire, e dovette crescere i figli da sola».

Ora lo Stato peruviano risarcirà le donne vittime di sterilizzazioni forzate subite durante il governo dell’ex presidente-dittatore Alberto Fujimori, al potere tra il 1990 e il 2000. Le donne sono state incluse nel piano di riparazioni per le vittime del conflitto armato interno tra il 1980 e il 2000. Un risultato raggiunto attraverso il cambiamento, lo spiega il sito del quotidiano locale La Republica, della cosiddetta “Legge sul piano integrale delle riparazioni”, promossa dall’ex deputata Tania Pariona insieme all’organizzazione femminista Studio per la difesa dei diritti della donna (Demus). Così i risarcimenti dello Stato potrebbero essere destinati anche alle vittime di «qualsiasi tipo di violenza sessuale»: e a più di 20 anni dai fatti potranno quindi essere incluse le donne che hanno subito la legatura delle tube senza il loro consenso, durante il governo di Fujimori nell’ambito del cosiddetto “Programma di salute riproduttiva e pianificazione familiare”. I dati del programma vedono oltre 270mila sterilizzazioni eseguite sulle donne peruviane tra il 1996 e il 2000: nella maggior parte dei casi si tratta di indigene o donne con basso reddito. Sono oggi ottomila le donne che compaiono nel Registro delle vittime di sterilizzazioni forzate (Reviesfo), inaugurato nel 2016 dal ministero della Giustizia e dei diritti umani. L’ex presidente Alberto Fujimori, 82 anni, proprio sulle sterilizzazioni sta affrontando un procedimento giudiziario: la data del processo è stata fissata per il primo marzo. Attualmente Fujimori è in carcere per scontare una pena di tredici anni per crimini contro l’umanità e corruzione.

La pandemia nel continente

Wikimedia Commons

La crisi provocata dalla pandemia di Coronavirus in tutto il mondo produce effetti negativi sull’occupazione e le condizioni di lavoro delle donne in America Latina e nei Caraibi: il risultato è quella che è di fatto una regressione di più di dieci anni rispetto ai risultati che erano stati raggiunti fino a ora sul piano della partecipazione al lavoro. Questi i risultati sconfortanti di un report della Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (Cepal). Secondo il “Rapporto speciale Covid-19 n⁰ 9: L’autonomia economica delle donne nella ripresa sostenibile e con uguaglianza”, il tasso di partecipazione al lavoro delle donne registrato l’anno scorso è stato del 46%, a fronte del 69% degli uomini: dato che l’anno prima, nel 2019, era stato rispettivamente del 52% e del 73,6%. Il tasso di disoccupazione femminile avrebbe poi toccato quota 12% nel 2020, percentuale che sale al 22,2% se si ipotizza lo stesso tasso di partecipazione al lavoro delle donne nel 2019. Secondo il report, nell’anno del Covid c’è stata «una clamorosa uscita delle donne dalla forza lavoro che, a causa delle richieste di assistenza nelle proprie case, non ha ripreso la ricerca di un impiego». L’organismo regionale delle Nazioni Unite stima che circa 118 milioni di donne latinoamericane si trovano in povertà, 23 milioni in più rispetto al 2019. «Le donne della regione sono una parte cruciale della prima linea di risposta alla pandemia. Il 73,2% delle persone impiegate nel settore sanitario sono donne, che hanno dovuto affrontare una serie di condizioni di lavoro estreme, come le numerose ore lavorative, che si aggiungono al maggior rischio per il personale sanitario di contrarre il virus», spiega Alicia Isabel Adriana Bárcena, Segretaria esecutiva  della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’America Latina e i Caraibi. «Tutto questo accade in un contesto regionale in cui persiste la discriminazione salariale, dal momento che i guadagni delle donne che lavorano nel settore sanitario sono inferiori del 23,7% rispetto a quelli degli uomini dello stesso settore».

Malta

Pixabay/Mariamichelle | Malta

«Così non diventi gay anche tu». Otto anni di prigione a un pensionato di 65 anni che nel 2016 aveva costretto il figlio, che allora aveva 7 anni, ad avere rapporti con prostitute, compresa la sua convivente. È la decisione del tribunale de La Valletta, a Malta. «Perché non volevo che diventasse gay come altri due componenti della famiglia», spiega lui. Secondo Times of Malta, l’uomo era stato denunciato dalle due donne che si erano rivolte all’agenzia maltese per la protezione dell’infanzia, “Appogg”. Anche la convivente dell’uomo era stata costretta ad avere rapporti con il bambino e aveva denunciato alla polizia che lei stessa era stata avviata alla prostituzione nella zona del porto di Malta.

Stati Uniti

Morto il fondatore di ‘Hustler’

Wikimedia Commons

È morto a Los Angeles il 10 febbraio scorso a 78 anni Larry Flynt, fondatore ed editore della rivista a luci rosse “Hustler”. Paralizzato dalla vita in giù perché vittima di un attentato nel 1978, Flynt è morto per problemi cardiaci. Il “re del porno” era famoso anche per le sue battaglie legali ispirate alla difesa della libertà di espressione, inclusa per lui, quindi, anche la pornografia. Era stato spesso ai ferri corti con la destra religiosa e una volta aveva fatto causa al televangelista Jerry Falwell in un caso arrivato fino alla Corte Suprema. Quattro anni fa, dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, aveva lanciato la sua ultima sfida: aveva offerto 10 milioni di dollari in contanti a chi avesse fornito prove sufficienti per avviare la procedura di impeachment e cacciare il presidente dallo Studio Ovale.

Kamala Harris e le donne

Wikimedia Commons | Kamala Harris

«Durante la pandemia hanno perso il posto di lavoro − o sono in ogni caso uscite dalla forza lavoro − circa due milioni e mezzo di donne, il corrispettivo che serve per riempire 40 stadi di football. Questo esodo femminile di massa dalla forza lavoro del paese è un’emergenza nazionale che richiede una soluzione nazionale». È l’intervento della vicepresidente degli Usa Kamala Harris ripreso da The Washington Post e tradotto e pubblicato da La Stampa in Italia nei giorni scorsi. «La nostra economia non potrà riprendersi del tutto se le donne non vi parteciperanno appieno», afferma Harris. «La perdita del posto di lavoro, la chiusura delle piccole imprese, la mancanza di asili nido hanno creato una tempesta perfetta per le lavoratrici americane… Le lavoratrici colpite più duramente sono quelle con posti di lavoro a bassa retribuzione, che vivono sotto la soglia della povertà fissata a livello federale», scrive Harris. «Nel febbraio 2020 c’erano quasi 5 milioni di imprenditrici. In aprile una su quattro aveva dovuto chiudere la sua azienda», prosegue spostandosi sul fronte delle imprese. «Ovunque, le famiglie si stanno accollando un fardello pesante, perché le case sono diventate aule scolastiche e asili nido, e l’incertezza appesantisce di preoccupazione ogni giornata. Di conseguenza molte donne lavoratrici sono state costrette a ridurre il loro orario di lavoro o a lasciare del tutto il loro posto«. Tutto questo «non è ammissibile», a suo avviso. «In mancanza di un’assistenza all’infanzia accessibile e abbordabile, le madri lavoratrici sono costrette a una scelta immorale. Dobbiamo adoperarci per far sì che tutte le madri che lavorano abbiano il sostegno di cui necessitano. Durante la pandemia e dopo».

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