23 ottobre 2020 – Notiziaro Africa

Scritto da in data Ottobre 23, 2020

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  • Nigeria: le proteste non si placano, il Paese sull’orlo del caos (in copertina)
  • Guinea: situazione postelettorale ad alta tensione
  • Costa d’Avorio: preoccupano le violenze preelettorali, ancora circoscritte
  • Burundi: l’ex presidente Buyoya condannato all’ergastolo in contumacia. Ora è Alto rappresentante dell’Unione Africana
  • Eritrea: il presidente Afewerki dovrà rispondere davanti a un tribunale svedese di crimini contro l’umanità
  • Libia: il cugino di Gheddafi vuole trascinare in giudizio Hillary Clinton

Questo è il notiziario Africa di Giusy Baioni. Musiche di Walter Sguazzin

Nigeria

Resta esplosiva la situazione in Nigeria, tre giorni dopo le repressioni violentissime delle manifestazioni da parte della polizia. È stato già ribattezzato “bloody tuesday” e ha segnato l’esplosione della violenza in particolare a Lagos, la capitale economica del paese più popoloso del continente, una città di 20 milioni di abitanti. Da settimane ormai i giovani manifestano al grido “End SARS”, chiedendo di mettere fine ai reparti speciali antirapina della polizia chiamati “Special Anti-Robbery Squad”, temutissimi per l’estrema violenza, le torture, gli stupri. Dal web la protesta si è spostata nelle strade e a poco è servita la promessa del presidente Muhammadu Buhari di riformare le forze dell’ordine. Le manifestazioni sono proseguite e martedì gli agenti hanno sparato sulla folla, uccidendo almeno 12 persone, secondo Amnesty International.
Secondo Osai Ojigho, Direttrice di Amnesty International Nigeria, la prima cosa da stabilire è la responsabilità individuale di ufficiali e comandanti.
Sono seguiti, mercoledì, saccheggi e incendi in diversi quartieri. Saccheggiati anche due media: TVC, una televisione privata, e il quotidiano The Nation, entrambi di proprietà di Bola Tinubu, ex-governatore di Lagos e fondatore del partito di maggioranza APC. Colpiti anche diversi sportelli di GT Bank, uno dei principali gruppi bancari e finanziari nigeriani.
Non è indenne da violenze nemmeno il turbolento nord: la città di Kano, la seconda per numero di abitanti, ha visto stabili incendiati, chiese attaccate e negozi saccheggiati.
Inspiegabile il silenzio del presidente Buhari, che da oltre 10 giorni non prende posizione pubblicamente sulla situazione. La portavoce della presidenza si è limitata a un appello alla calma, dopo le violenze e i morti, e ha annunciato l’avvio di un’inchiesta.

Guinea

Altra situazione tesa in Guinea, dove si è votato domenica scorsa: la Commissione elettorale ha annunciato mercoledì sera dei nuovi risultati parziali delle presidenziali. Gli esiti complessivi provvisori dovrebbero essere annunciati oggi, ma già nei giorni scorsi si sono registrate violenze nella capitale Conakry e in altre città del Paese.

Ieri si è tenuto un incontro a porte chiuse fra il governo e i corpi diplomatici presenti in Guinea, durante il quale il ministro degli Esteri avrebbe ricordato che gli osservatori della Cédéao, la Comunità degli stati dell’Africa occidentale, si erano felicitati per lo svolgimento regolare del voto.
I problemi sono nati quando Cellou Dalein Diallo, lo sfidante del presidente in carica Alpha Condé, si è autoproclamato vincitore, scatenando le violenze. Il partito di opposizione UFDG ha infatti pubblicato mercoledì i propri risultati, annunciando di aver vinto con oltre l’84% delle preferenze. La sera stessa, il quartier generale di Diallo è stato chiuso dalla polizia, giunta in forze.
Molti quartieri della capitale sono bloccati o posti sotto sorveglianza. Il clima teso non fa presagire nulla di buono per l’annuncio dei risultati provvisori completi, atteso per oggi.

Costa D’Avorio

Altre violenze elettorali si registrano in Costa d’Avorio, nella città di Dabou, a ovest di Abidjan. Qui le tensioni precedono il voto, che vede ricandidato per un terzo mandato il presidente uscente Alassane Ouattara. Si contano almeno nove morti e decine di feriti, oltre a scontri e saccheggi.
Secondo il prefetto di Dabou, degli sconosciuti, armati secondo alcuni di Kalashnikov e ben addestrati, sarebbero arrivati per accendere gli scontri e spingere la diatriba politica sul pericoloso crinale di uno scontro fra gruppi diversi. Si teme un’escalation a meno di dieci giorni dal voto.

Burundi

Imbarazzo nell’Unione Africana dopo la condanna all’ergastolo in contumacia dell’ex presidente burundese Pierre Buyoya, oggi Alto rappresentante dell’organizzazione panafricana per il Mali e il Sahel. Due anni fa, il regime dell’ex presidente Pierre Nkurunziza, deceduto quest’anno, aveva spiccato dei mandati d’arresto internazionali contro Buyoya e altri diciotto ex alti funzionari dello stato, accusati di essere i responsabili dell’uccisione del presidente Melchior Ndadaye, avvenuta in seguito a un colpo di Stato il 21 ottobre 1993. Ndadaye, primo presidente hutu democraticamente eletto, era rimasto in carica poco più di tre mesi ed era stato rovesciato e ucciso da un colpo di Stato guidato dall’allora maggiore Buyoya. Il golpe aveva innescato una guerra civile che aveva provocato oltre 300mila morti.
Questa settimana è stato emanato il verdetto di colpevolezza, con la condanna all’ergastolo. Buyoya ha parlato di sentenza politica.

Eritrea

Mercoledì 21 ottobre in Svezia è stata depositata una denuncia contro il presidente eritreo Isaias Afewerki per crimini contro l’umanità, tortura, rapimento e sparizione forzata. La denuncia riguarda la sparizione avvenuta nel 2001 di un giornalista con doppia cittadinanza eritrea e svedese, Dawit Isaak, il giornalista detenuto da più lungo tempo al mondo.
Un’inchiesta preliminare era stata già avviata in seguito a una prima denuncia sporta nel 2014, ma arenatasi per ragioni diplomatiche. Stavolta le condizioni sono mutate e il sostegno internazionale è forte. Per questo il fratello del giornalista e Björn Tunback, di Reporters sans frontière Svezia, sperano ora di farcela: «Accusiamo il presidente dell’Eritrea, il ministro degli Esteri e dell’Informazione, il consigliere del presidente e i più alti in grado dei servizi segreti. Sono responsabili non solo per Dawit Isaak, ma anche per l’incarcerazione di numerosi altri giornalisti».
La causa è co-firmata da 14 avvocati internazionali, fra i quali spicca la giudice iraniana Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace 2003.

Libia

Ahmed Kadhaf el-Dam, cugino di Muhammar Gheddafi, vorrebbe trascinare in giudizio l’ex segretario di Stato americano Hillary Clinton, da lui ritenuta «la principale responsabile del caos in Libia e della distruzione del sogno dell’unità africana».
In un’intervista esclusiva al settimanale francese Jeune Afrique, Ahmed Kadhaf el-Dam sostiene che ci siano le prove che «la rivoluzione del 2011 fosse in realtà un’invasione programmata dagli Stati Uniti e dalla Nato». L’ex diplomatico, 68 anni, assicura di aver raccolto numerose email, dcumenti ufficiali e «testimonianze di libici che hanno collaborato con la Nato ma hanno poi compreso di aver commesso un errore e sono pronti a collaborare». Tale documentazione sarebbe ora in mano a un pull di avvocati internazionali.
Si tratterebbe di una prima tappa per far riconoscere l’aggressione alla Libia e ottenere compensazioni economiche per le vittime. In un secondo tempo Kadhaf el-Dam punta a trascinare in giudizio il Segretario generale dell’ONU, le istituzioni europee, Nicolas Sarkozy e David Cameron.

Sudan

Il Sudan ha annunciato di aver trasferito il denaro destinato alle vittime degli attentati contro obiettivi statunitensi avvenuti nel 1998 e nel 2000. Al-Qaïda aveva colpito le ambasciate americane in Kenya e in Tanzania e la nave USS Cole, provocando diverse centinaia di morti. Khartoum ha dichiarato mercoledì di aver finalmente trasferito i 335 milioni di dollari previsti come indennizzo alle vittime e ai loro familiari.
Dopo gli attentati, Washington aveva accusato il Sudan di complicità e per questo iscritto il Paese sulla lista nera degli stati sponsor del terrorismo internazionale. Una sanzione che da allora colpisce il Paese, con conseguenze economiche e finanziarie. Lunedì, il presidente Donald Trump aveva dichiarato di essere pronto a cancellare tale sanzione non appena il Sudan avesse versato la somma pattuita come indennizzo alle vittime.
Tale passo giunge come ulteriore segnale di normalizzazione interna ed estera del Sudan e del suo nuovo corso, dopo il rovesciamento del dittatore Omar al Bashir.
E ora già si pensa alla normalizzazione delle relazioni con Israele.

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