30 gennaio 2021 – Notiziario

Scritto da in data Gennaio 30, 2021

Ascolta il notiziario

  • Storica condanna di Shell a risarcire due agricoltori nigeriani per i danni da petrolio (copertina).
  • Mali: l’Onu invia investigatori sul luogo della strage di inizio gennaio.
  • Somalia: morti fra i giovani inviati come reclute in Eritrea contro la loro volontà.
  • Camerun: il Vaticano tenta una mediazione nella crisi anglofona.
  • Centrafrica: vertice della Conferenza dei Grandi Laghi per nominare un mediatore.
  • Rwanda: al primo posto in Africa per la gestione della pandemia.

Questo e molto altro nel notiziario Africa di @Radio Bullets, a cura di Giusy Baioni. Musiche di Walter Sguazzin

Nigeria-Olanda

La Corte d’Appello de L’Aia ha ordinato venerdì alla filiale nigeriana del gigante energetico Shell di risarcire due agricoltori nigeriani per i danni causati alla loro terra dalle perdite di petrolio nel 2004 e nel 2005, stabilendo che il gruppo era «responsabile per i danni derivanti dalle fuoriuscite» in due villaggi. La Corte d’Appello ha anche ritenuto Shell Nigeria «responsabile di non aver interrotto le forniture di petrolio il giorno della fuoriuscita» a Goi e ha anche affermato che era responsabilità della società madre garantire che l’oleodotto Oruma fosse dotato di un sistema di rilevamento delle perdite. I querelanti, due dei quali sono morti dall’inizio della battaglia legale iniziata 13 anni fa, chiedevano anche che Shell rimediasse ai danni nei loro villaggi nel Delta del Niger.

https://twitter.com/FoEint/status/1355113870017392642

Il procedimento è stato avviato nel 2008 da quattro agricoltori e dal gruppo ambientalista “Friends of the Earth”, alla ricerca di risarcimenti per il mancato guadagno dovuto a terreni e corsi d’acqua contaminati nella regione, il cuore dell’industria petrolifera della Nigeria. Sebbene solo la controllata della Shell SPDC sia stata ritenuta direttamente responsabile, la sentenza olandese potrebbe aprire la porta a ulteriori casi ambientali contro le compagnie petrolifere. A marzo, un tribunale di Milano emetterà un verdetto in uno dei più grandi processi per corruzione mai realizzati dall’industria petrolifera in Italia, che coinvolge Eni e Shell.

Il verdetto di Shell «supera tutte le aspettative», afferma “Friends of the Earth”. «Questa è una notizia fantastica per l’ambiente e per le persone che vivono nei paesi in via di sviluppo», ha dichiarato il capo dei Paesi Bassi di “Friends of the Earth”, Donald Pols, poiché crea basi legali per «affrontare le multinazionali che fanno loro del male». «Fino a questa mattina le multinazionali olandesi potevano agire impunemente nei paesi in via di sviluppo. Minacciando i diritti delle persone a piedi e ora questo è cambiato. Da questo momento in poi le multinazionali olandesi saranno ritenute responsabili delle loro attività e delle loro azioni nei paesi in via di sviluppo».

Shell ha invece dichiarato che continua a credere che le fuoriuscite siano state causate da sabotaggio. La Corte d’Appello olandese non ha ritenuto direttamente responsabile la società madre di Shell, la Royal Dutch Shell, con sede nei Paesi Bassi, ma le ha ordinato di installare un sistema di rilevamento delle perdite sul gasdotto Oruma, fonte di numerose fuoriuscite nel caso. Le fuoriuscite affrontate dal caso giudiziario si sono verificate tra il 2004 e il 2007, ma l’inquinamento dovuto alle perdite di oleodotti rimane un grave problema nel Delta del Niger.

Mali

Gli investigatori della missione delle Nazioni Unite in Mali, Minusma, sono stati a Bounti lunedì per capire cosa sia davvero accaduto il 3 gennaio, quando una ventina di persone sono state uccise in un raid aereo francese. Diverse ONG chiedono un’indagine indipendente, dal momento che gli eserciti maliano e francese affermano di aver preso di mira i jihadisti, mentre testimoni locali affermano che a essere colpita sia stata una festa di matrimonio.

Una corposa squadra delle Nazioni Unite si è recata nei giorni scorsi nella regione: nove investigatori, tra cui il direttore della divisione per i diritti umani della Minusma, assistiti da due esperti della scienza forense e due fotografi della missione delle Nazioni Unite. La squadra è stata accompagnata da un importante sistema di sicurezza con una cinquantina di soldati e polizia, elicotteri e droni. Gli investigatori hanno fatto un giro di diversi giorni, incontrando i feriti e altri testimoni. Francia e Mali si dicono certi che questo raid, condotto nell’ambito dell’Operazione “Eclipse”, abbia preso di mira membri di gruppi terroristici armati, che sia stato condotto secondo le regole di ingaggio ben precise di Barkhane, che non ci siano né donne né bambini tra le vittime e che mettere in discussione la loro versione è disinformazione. Ma le testimonianze raccolte da AFP, HRW, Tabital Pulakuu, MSF e RFI Fulfuldé parlano di uomini radunati tra di loro per un matrimonio. Si attende ora la pubblicazione del rapporto della missione, per il quale non è stata ancora anticipata una data.

Somalia

Giovani somali reclutati ufficialmente come guardie in Qatar e spediti invece a combattere in Eritrea. La notizia da giorni infiamma il dibattito nel Corno d’Africa, da quando alcune famiglie si sono viste recapitare diecimila dollari in contanti come risarcimento per la morte dei figli, scoprendo solo in quel momento che si trovavano in Eritrea inviati a prestare servizio militare contro la loro volontà. Altre famiglie affermano che i loro figli erano semplicemente scomparsi.

Ciò che appare a tutti gli effetti un reclutamento segreto sta suscitando rabbia in Somalia, un paese povero in cui si cercano con impazienza opportunità di lavorare all’estero. La scorsa settimana sono scoppiate proteste nella capitale Mogadiscio e nelle città di Guriel e Galkayo per le reclute scomparse. Alcuni giovani sono riusciti a telefonare alle famiglie di nascosto, dopo oltre un anno: «Siamo rimasti tutti scioccati quando abbiamo saputo che atterravamo in Eritrea. Pensavamo di essere stati portati in Qatar», ha detto uno di loro, secondo Reuters. «Papà, non c’è vita qui, non ho visto una fetta di pane da quando ho lasciato la Somalia nel 2019, e quando le reclute manifestano o rifiutano gli ordini, un proiettile è la risposta».

Un analista della sicurezza regionale, che ha chiesto di non essere identificato, ha detto a Reuters di aver appreso dalle conversazioni con i funzionari della sicurezza somali che circa 1.000 somali sono stati reclutati e portati in Eritrea in almeno tre gruppi. Un gruppo era tornato in Somalia, il secondo gruppo era irraggiungibile e il terzo era ancora in Eritrea. In Somalia ci si domanda anche se i ragazzi possano esser stati inviati a combattere in Etiopia, poiché esistono diversi report secondo cui le forze eritree hanno preso parte ai combattimenti nel Tigray, cosa che Eritrea ed Etiopia negano.

La Somalia − che un tempo accusava l’Eritrea di sostenere i ribelli islamisti − ora ha rapporti amichevoli con il suo presidente. In Somalia si dovrebbe votare il prossimo 8 febbraio per eleggere il nuovo presidente, ma non ci sono candidature e il presidente in carica, Mohamed Abdullahi Mohamed “Farmajo”, non sembra intenzionato a lasciare il posto. La situazione è nebulosa e ci si aspetta un possibile rinvio del voto.

Gibuti

la Lega per la difesa dei diritti umani denuncia arresti arbitrari in seguito agli attacchi avvenuti due settimane fa a Tadjourah, dove il gruppo armato FRUD ha attaccato le forze di sicurezza uccidendo un gendarme. Da allora almeno cinque persone sono state arrestate perché sospettate di legami con il movimento politico-militare. La Lega per i diritti umani denuncia «una deriva tribale» del regime. Secondo l’organizzazione, queste persone sono state arrestate solo a causa dei loro legami familiari con i combattenti della FRUD. La Lega sospetta almeno un caso di tortura e richiede il rilascio incondizionato di questi civili. Una fonte vicina al gruppo armato spiega che il movimento non devierà dal suo programma. Sul campo resta forte la tensione tra esercito e ribelli. Il 17 sono scoppiati violenti scontri tra le forze di Gibuti e il FRUD nella zona di Giba Giblé. Un’altra scaramuccia ha avuto luogo poi vicino al confine etiope.

Camerun

Il Vaticano prova a mediare nella crisi anglofona in Camerun. Il Segretario di Stato Pietro Parolin ha iniziato giovedì una visita di cinque giorni nel paese che lo porterà in particolare a Bamenda, nel Nord-Ovest. Ieri è stato ricevuto dal Capo dello Stato Paul Biya. Con un messaggio di pace, il numero due della Santa Sede intende dare il suo contributo perché possa iniziare un vero dialogo tra Yaoundé e i separatisti.

Da diversi anni il Vaticano segue da vicino la crisi nelle province anglofone del Camerun. Ma lo stallo degli ultimi mesi e l’aumento delle violenze hanno portato la Santa Sede a impegnarsi direttamente sul campo. Domani il card. Parolin si recherà a Bamenda, capitale della regione del Nord-Ovest. Non è lontano da Bamenda che lo scorso novembre il cardinale Christian Tumi, arcivescovo emerito di Douala, molto impegnato per la pace, è stato rapito per breve tempo dai separatisti dell’Ambazonia.

Centrafrica

Si è tenuto ieri in Angola un vertice della Conferenza internazionale sulla regione dei Grandi Laghi (ICGLR) che riunisce i capi di stato della regione, a cui è stato invitato anche il presidente ciadiano Idriss Déby, per discutere della situazione nella Repubblica Centrafricana, in preda a una ribellione dopo la rielezione di Faustin-Archange Touadéra.

Tra i temi all’ordine del giorno, la nomina di un mediatore. Le trattative sono delicate, perché il presidente Touadéra rifiuta il nome che era stato indicato in precedenza, da lui sospettato di essere troppo vicino all’opposizione. Si sarebbe trattato del presidente della Comunità economica dei Paesi dell’Africa centrale: Denis Sassou-Nguesso, presidente del Congo Brazzaville. Il nome alternativo su cui si è discusso ieri è quello del presidente della commissione della Comunità economica, l’angolano Gilberto Da Piedade, motivo per cui il vertice di ieri si è tenuto in Angola e sotto l’egida della Conferenza dei Paesi dei Grandi Laghi (ICGLR) che l’Angola sta attualmente guidando. Il Ciad non fa parte di questa organizzazione, ma è stato invitato a causa della sua grande influenza sulla sicurezza in Centrafrica. Oltre alla questione del mediatore, i capi di stato hanno discusso anche di un eventuale invio nella Repubblica Centrafricana di rinforzi militari.

Intanto, la giustizia centrafricana ha spiccato ieri un mandato d’arresto internazionale nei confronti di Abakar Sabone, uno dei portavoce della ribellione della coalizione PCC. Già consigliere speciale dell’ex presidente Michel Djotodia ai tempi dell’ex Séléka, è tornato nella Repubblica Centrafricana nel 2019 dopo un lungo esilio in Ciad. Le autorità ora desiderano perseguirlo per «reati commessi tra dicembre 2020 e gennaio 2021». A 55 anni, Abakar Sabone ha una lunga esperienza in varie ribellioni. Attivo al fianco dell’ex presidente François Bozizé durante il colpo di stato del marzo 2003, è stato il suo ultimo ministro del Turismo, prima di unirsi al campo avversario, la Séléka di Michel Djotodia che lo ha nominato suo consigliere speciale. A quel tempo, imperversò sui titoli dei giornali per la sua proposta di dividere la Repubblica Centrafricana. Secondo il mandato di cattura emesso nei suoi confronti, è accusato di incitamento alla disobbedienza e al rifiuto di pagare le tasse.

Nel frattempo, sul terreno la situazione resta tesa e sono migliaia i centrafricani che cercano rifugio nella Repubblica Democratica del Congo. A Ndu, nell’estremo nord della RDC, si contano trentamila profughi provenienti da Bangassou.

Nigeria

La Nigeria ha evacuato dall’Arabia Saudita centinaia di suoi cittadini rimasti bloccati dopo la scadenza dei visti. L’elevata disoccupazione e due recessioni in quattro anni hanno spinto migliaia di nigeriani a cercare lavoro all’estero. Ma la pandemia di coronavirus ha ridotto le opportunità di lavoro in altri paesi e le restrizioni ai viaggi hanno lasciato molti bloccati. Un video che circolava sui social media nelle ultime settimane aveva mostrato i nigeriani che affermavano di essere stati detenuti in un campo in Arabia Saudita per più di tre mesi, mentre altri paesi avevano fatto uscire i loro cittadini, bloccati nella stessa situazione, in due settimane circa. Il governo aveva detto lunedì che stava lavorando con le autorità saudite per rimpatriare 802 nigeriani tramite due voli programmati per giovedì e venerdì.

Burundi

Il presidente del Burundi Évariste Ndayishimiye ha ordinato giovedì di risolvere le divergenze con i media che da tempo sono bloccati e sanzionati. Un segnale che è stato accolto con speranza. La nazione dell’Africa orientale è classificata tra i peggiori paesi al mondo per la libertà di stampa. Il Burundi ha inserito nella lista nera diverse testate giornalistiche locali e straniere. Ha anche costretto i giornalisti indipendenti all’esilio dopo la grave crisi politica nel 2015. «Tutte le divergenze che abbiamo avuto in passato devono essere risolte. Ci sono media che sono stati sanzionati. Chiedo al Consiglio Nazionale delle Comunicazioni di sedersi con questi media e trovare soluzioni a queste controversie in modo da potervi porre fine una volta per tutte. Siamo tutti consapevoli che i media contribuiscono molto alla vita quotidiana dei cittadini’», ha detto Ndayishimiye. Non si tratta solo dei media locali: nel 2019, la BBC si era vista togliere la licenza operativa. The Voice of America era stata esclusa dalla possibilità di trasmettere in kitundi. I media indipendenti del Burundi sono stati tra i più fiorenti della regione fino alla crisi del 2015, quando l’ex presidente Pierre Nkurunziza si candidò per un terzo mandato ferocemente contestato, scatenando la violenza che ha causato almeno 1.200 vittime. Diverse stazioni radiofoniche e televisive furono allora distrutte e circa 100 giornalisti furono costretti a lasciare il paese.

Repubblica Democratica del Congo

Il pastore Daniel Ngoy Mulunda è stato condannato mercoledì a tre anni di carcere per aver minato la sicurezza dello Stato, ha dichiarato l’Associazione per l’accesso alla giustizia (ACAJ), un’organizzazione per i diritti umani nella Repubblica Democratica del Congo. Mulunda, parente dell’ex presidente Joseph Kabila, è stato presidente della commissione elettorale all’inizio del 2010 sotto Kabila. Le sue accuse includevano anche l’incitamento all’odio tribale e la diffusione di false voci. La condanna di Mulunda è un nuovo colpo contro l’entourage dell’ex presidente Kabila.

Il 6 dicembre dello scorso anno, il presidente Félix Tshisekedi ha posto fine alla coalizione di governo che ha formato con il suo predecessore dopo il suo insediamento nel gennaio 2019. Giovedì, Human Rights Watch ha denunciato l’indurimento del presidente congolese Félix Tshisekedi, con un aumento della repressione contro i media e gli attivisti pro-democrazia nei suoi due anni al potere. Tra gennaio e luglio 2020, il gruppo ha affermato di aver documentato 39 casi di minacce, molestie, arresti arbitrari e detenzioni legate alla libertà dei media e proteste pacifiche. Ha anche affermato di aver documentato da luglio altri 65 casi.

Mercoledì l’Assemblea nazionale congolese, dopo settimane di pressioni, ha fatto cadere il primo ministro Sylvestre Ilunga Ilunkamba, vicino a Kabila approvando una mozione di censura contro il suo governo. Solo ieri Ilunga ha accettato di dimettersi.

Sudafrica

Giovedì 28 gennaio, la più alta corte del Sudafrica ha ordinato a Jacob Zuma di andare a testimoniare davanti alla commissione incaricata di indagare sull’appropriazione indebita sotto la sua presidenza. Sono passati mesi da quando Zuma, capo di Stato dal 2009 al 2018, si rifiuta di obbedire, considerato che è trattato come un accusato e non come un testimone. L’ex presidente Jacob Zuma non ha il diritto di rimanere in silenzio, ha rilevato la Corte costituzionale sudafricana. Nella sua sentenza emessa questo giovedì gli ordina di comparire davanti alla commissione anticorruzione. Nella sua sentenza la Corte Costituzionale ha inoltre dichiarato inaccettabile che l’ex capo di Stato ostacoli le indagini di una commissione da lui stesso istituita. Bloccato dagli scandali, Jacob Zuma è stato costretto a dimettersi tre anni fa.

Mozambico

È salito a 21 il bilancio delle vittime del ciclone Eloise in tutta l’Africa meridionale, dopo che Mozambico ed eSwatini hanno riferito rispettivamente di altre cinque e due persone uccise. Eloise si è abbattuta sabato sulla città portuale di Beira e dintorni, un’area che si sta ancora riprendendo dalla devastazione del ciclone Idai nel 2019. Poi si è indebolito a causa di una tempesta tropicale e si è spostato verso l’interno per causare forti piogge e inondazioni in tutta l’Africa meridionale. Case, raccolti e infrastrutture in Mozambico, Zimbabwe, eSwatini − ex Swaziland − e Sudafrica sono stati distrutti, con decine di migliaia di persone sfollate in Mozambico, soprattutto dopo che vaste aree di terra sono state lasciate sott’acqua. Attualmente sono 267mila le persone colpite nella regione e 33.191 quelle evacuate. È probabile che i danni alle colture porteranno a una produzione agricola significativamente ridotta in queste aree.

Unione Africana

Tra una settimana si terrà ad Addis Abeba, presso la sede dell’Unione Africana, un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo africani. All’ordine del giorno, la nomina del capo di stato della RDC Félix Tshisekedi a presidente di turno dell’UA. Ma gli occhi restano puntati sull’elezione del nuovo presidente della Commissione, posizione per la quale in lizza c’è solo l’uscente Moussa Faki Mahamat. I capi di Stato e di governo non faranno il viaggio ad Addis Abeba, come impone la pandemia di coronavirus. Sarà quindi un vertice virtuale. Nel programma delle discussioni, anche la risposta alla pandemia. Questioni di pace e sicurezza, che di solito occupano la maggior parte delle discussioni, non sono all’ordine del giorno stavolta.

Ma la posta in gioco principale resta l’elezione del presidente della Commissione, che necessita dei due terzi dei 55 stati membri. Moussa Faki, che ha ricoperto l’incarico per quattro anni, è per la prima volta nella storia senza nessun concorrente. Il suo entourage assicura che il ciadiano goda del sostegno dei paesi di lingua francese. Non è il caso dei paesi dell’Africa meridionale, che lo accusano di «mancanza di aggressività». Se non ottiene il quorum richiesto, l’AU aprirà il posto ad altri candidati.

Coronavirus

Il Rwanda si è classificato al primo posto in Africa e al sesto a livello mondiale nella gestione della pandemia Covid-19 e nel rendere le informazioni accessibili al pubblico. Il think tank australiano Lowy Institute ha classificato un totale di 98 paesi a livello globale, misurando il loro livello in termini di prestazioni medie nella gestione della pandemia entro 36 settimane dopo aver registrato il loro 100° caso di coronavirus. Il Rwanda ha registrato fino a 183 morti, pari all’1,3% delle persone infette. Il rapporto ha rivelato che popolazioni più piccole, società coese e istituzioni capaci sono fattori importanti per affrontare con successo la pandemia.

Il Togo è stato il secondo paese in Africa al 15° posto a livello globale, seguito dalla Tunisia al 21° posto, il Mozambico al 26°, il Malawi al 27°, lo Zambia al 29° e l’Uganda al 30°.

La Tanzania e il Burundi, insieme alla Cina, sono tra i paesi non classificati a causa della mancanza di dati pubblicamente disponibili sui test.

I primi tre paesi che hanno rappresentato il livello più alto in questa gestione della pandemia sono Nuova Zelanda, Vietnam e Taiwan.

Mentre infuria la battaglia sul pianeta per ottenere i vaccini anti-Covid, l’Unione Africana afferma di essersi assicurata 400 milioni di dosi aggiuntive, portando il numero di dosi pre-acquistate a 670 milioni. Il continente spera di ricevere questi vaccini già ad aprile. Le 400 milioni nuove dosi acquisite saranno fornite dall’India e in particolare dal Serum Institute of India, che produce il vaccino sviluppato dal laboratorio britannico AstraZeneca. 50 milioni di dosi potrebbero arrivare nel continente entro l’inizio di aprile.

L’Algeria riceverà venerdì la prima spedizione del vaccino russo Sputnik V COVID-19 e prevede di iniziare la sua campagna di vaccinazione il giorno successivo. Il vaccino sarà somministrato prima agli operatori sanitari, agli anziani e alle persone con malattie croniche. Altre spedizioni arriveranno dalla Cina, dall’India e da altri paesi.

Intanto in Senegal si è ufficialmente riscontrata la presenza della variante inglese in un paziente risultato positivo. Ad annunciarlo è l’Istituto per la ricerca sanitaria, la sorveglianza epidemiologica e la formazione (Iressef). Casi di questa variante erano già stati confermati nel vicino Gambia.

Madagascar: l’organizzazione “Transparency International Initiative Madagascar” ha appena svelato gli esiti di un sondaggio − dal titolo “Covid-19 e governance: lezioni apprese dalla prima fase della crisi sanitaria in Madagascar” − condotto per quattro mesi su un campione di più di 400 famiglie che hanno ricevuto assistenza sociale durante la pandemia. Più di una persona su quattro denuncia atti di corruzione durante la distribuzione di assistenza sociale legati alla pandemia Covid-19. La relazione mette anche in discussione la rilevanza delle scelte fatte riguardo alla distribuzione di questi fondi. L’analisi della ripartizione del budget del Piano di emergenza multisettoriale (PMDU), il documento di punta del governo adottato nel luglio 2020 al culmine della pandemia, mostra che su un budget totale di 826,09 milioni di dollari il 35% è stato destinato alle infrastrutture. La sanità, invece, è stata finanziata fino al 9,37% del budget complessivo, ed è quindi al quarto posto nella distribuzione.

Economia

Zambia ed Etiopia sono i paesi che più probabilmente seguiranno le orme del Ciad e cercheranno una ristrutturazione del debito nell’ambito di un nuovo quadro comune del G20. Mercoledì il Ciad è diventato il primo paese a richiedere ufficialmente una ristrutturazione del debito nell’ambito del nuovo quadro concordato lo scorso anno dalla Cina e da altri paesi creditori nel Gruppo delle 20 potenze economiche. Anche il Sudan resta una preoccupazione, sebbene possa ottenere la riduzione del debito nell’ambito di un’iniziativa esistente per i paesi poveri fortemente indebitati. I creditori del governo hanno già congelato i pagamenti di interessi sia dell’Etiopia che dello Zambia come parte di un’iniziativa più ampia per aiutare i paesi in via di sviluppo a far fronte alla crisi da coronavirus. Lo Zambia aveva già cercato il sostegno del FMI dopo essere diventato il primo inadempiente sovrano dell’Africa dell’era pandemica l’anno scorso, quando non è riuscito a effettuare un pagamento su uno dei suoi titoli.

Le ricadute economiche della pandemia hanno messo a dura prova le finanze pubbliche di alcuni paesi in via di sviluppo, molti dei quali hanno ricevuto ingenti prestiti dalla Cina negli ultimi anni. Ciò ha spinto i paesi del G20 a concordare un quadro comune a novembre per i paesi più poveri, portando per la prima volta Cina, India e Turchia − che non sono membri del Club di Parigi − in un processo coordinato di ristrutturazione del debito.

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