Di sinistra non conviene
Scritto da Radio Bullets in data Luglio 11, 2019
di Paola Mirenda
Il 7 luglio 2019 Jonathan è stato aggredito all’uscita del lavoro. Erano in due, lo hanno seguito per un po’. Poi gli sono andati addosso. Uno dei due ha tirato fuori un coltello, ma non per ucciderlo, no. Solo per mettergli paura, per dirgli di smetterla di fare quel che fa. Ora sulla faccia Jonathan ha un lungo graffio ma ha preferito non andare alla polizia: “Pensi che davvero loro mi difenderebbero?”, chiede in una intervista.
Jonathan è israeliano. Lavora come grafico in un giornale che è considerato di sinistra. “Stronzo di sinistra” è uno degli insulti che gli hanno rivolto i due che lo hanno aggredito. Jonathan è anche ebreo di nascita, ma non c’è un sentimento antiebraico dietro la sua aggressione. Jonathan è anche – e principalmente – anarchico. E sì, c’è un motivo politico dietro la sua aggressione.
Di anarchia e solidarietà
Jonathan Pollak ha 37 anni, è nato in Israele da una famiglia molto conosciuta della capitale, lavora al quotidiano Haaretz e nel 2003 è stato il cofondatore di Anarchists against Wall, anarchici contro il muro, organizzazione di solidarietà al popolo palestinese composta da decine di israeliani. Il termine “ebreo”, che fa riferimento alla religione di appartenenza, sta loro stretto in quanto anarchici e non lo usano volentieri.
Jonathan è stato più volte arrestato per la sua partecipazione ad azioni in sostegno ai palestinesi: nel giugno di quest’anno ha rifiutato di partecipare al processo a suo carico per aver difeso, nel febbraio del 2018, dei contadini minacciati dall’esercito israeliano. A denunciarlo era stato un movimento di estrema destra, Ad Kan, che ha condotto una pesante campagna contro di lui. In quest’occasione in rete sono comparse minacce nei suoi confronti, con Ad Kan che invitava a scoprire dove Jonathan abitasse e lavorasse. Ci sono riusciti, e il risultato è nell’aggressione di luglio.
Estrema destra
Ad Kan non è nuovo alle denunce contro gli attivisti: diverse volte se l’è presa anche con un’altra organizzazione, formata da israeliani e palestinesi, il cui nome è Ta’ayush, che in arabo vuol dire “vivere insieme”. I membri di Ad Kan si infiltrano nelle organizzazioni considerate di sinistra e filmano di nascosto i loro membri per poi presentare esposti nei loro confronti alle autorità: il movimento Breaking the Silence, composto da ex militari che si propongono di documentare le azioni dell’esercito israeliano contro i palestinesi, denuncia la scoperta di ben quattro “talpe” nei propri membri. Talpe che hanno avuto modo di filmare e denunciare come “spionaggio” le attività del movimento, anche se poi l’organizzazione è stata assolta per insussistenza del fatto.
Le organizzazioni e i movimenti fondati o composti da israeliani di origine ebraica preoccupano maggiormente il governo israeliano, perché pongono questioni che non possono essere liquidate come “antisemite” o “antiebraiche”, ma devono essere affrontate politicamente.
I “refusnik”
Grande risonanza ha avuto negli anni, nella stampa estera, il movimento dei “refusnik”, i giovani israeliani che si rifiutano di fare il servizio militare obbligatorio per non dover combattere contro i palestinesi. Il movimento, nelle sue molteplici declinazioni – compresa quella del “rifiuto selettivo” – è attivo dagli anni Settanta e nel 2014 ha visto per la prima volta anche la partecipazione di agenti dei servizi di intelligence. Rifiutare il servizio militare comporta l’arresto, ma questo non ha spaventato le centinaia di persone che finora hanno aderito alla campagna per motivi etici.
Non si tratta solo di movimenti di “sinistra”: anche da destra fioccano le critiche alla politica del governo israeliano, e in particolare da gruppi religiosi considerati (a volte a torto) “ultraortodossi”. Nel film-documentario “The Rabbi’s Intifada” viene raccontata, con interesse e ironia, la storia del movimento ebraico Neturei Karta, da sempre in lotta (per motivi religiosi, non politici) con lo Stato di Israele, di cui contestano l’esistenza, e delle loro battaglie a favore dei diritti dei palestinesi. Simile per posizione nei confronti dello Stato di Israele, ma diverso per impostazione, è Satmar, il più grande movimento chassidico ultra ortodosso negli Usa, noto (anche) per aver sostenuto che le donne non devono andare all’università perché “lo vieta la Torah”.
Sempre negli Stati Uniti – ma da un’altra posizione politica – è attiva la rete Jewish voice for peace, che con diversi nomi opera anche in altre nazioni, difendendo l’esistenza di Israele ma non le politiche del governo contro i palestinesi .
In Italia opera la rete “Ebrei contro l’occupazione” e numerose sono le prese di posizione contro il governo israeliano (pensiamo a Moni Ovadia e alla sua adesione alla campagna “Splai- Spazi liberi dall’apartheid israeliana”) .
La campagna per il boicottaggio
Quest’ultima campagna fa riferimento a quello che attualmente è il più forte movimento contro il governo israeliano, e cioè il Bds (Boicotta, disinvesti, sanziona) a cui sono legati sia gli Anarchici contro il muro sia diversi gruppi di solidarietà. L’ultima campagna in ordine di tempo è quella contro la società HP, considerata corresponsabile delle violazioni di diritti umani nei confronti della popolazione palestinese. Tra il 2015 e il 2018 ci sono state centinaia di adesioni alla campagna Bds da parte di singoli, di amministrazioni comunali, di aziende, di università come racconta bene questo grafico interattivo realizzato da Visualizing Palestine.
Nel contempo sono state molte anche le prese di posizione contro il boicottaggio, con la motivazione che possa nascondere sentimenti antisemiti. Forse proprio per questo come portavoce della campagna è stato scelto l’israeliano Ronnie Barkan, già attivista di Anarchists against Wall e ora residente a Berlino, dove la campagna contro il Bds si sta facendo sempre più accesa. Nel maggio del 2019 il Bundestag ha approvato, quasi all’unanimità, una mozione di condanna verso il movimento. Il direttore del Museo Ebraico di Berlino Peter Schäfer, che aveva retwittato un articolo del quotidiano Taz in cui veniva riportata la lettera di 240 intellettuali ebrei a sostegno del Bds, è stato pesantemente criticato fino a decidere di dimettersi dall’incarico. Alla fine di giugno 2019 la Bank für Sozialwirtschaft tedesca chiudeva il conto di Jewis for Peace, motivandolo con il sostegno dell’organizzazione ebraica al Bds e quindi con la presenza di “elementi di antisemitismo”. Due settimane dopo a Tel Aviv Jonathan Pollak veniva aggredito. Il cerchio, per adesso, si chiude qui.
Nella foto di copertina, il lungomare tra Tel Aviv e Jaffa, ottobre 2012
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