Dopo Assad: i curdi reclamano il loro posto
Scritto da Barbara Schiavulli in data Gennaio 29, 2025
QAMISHLI (Siria) – Insieme ai palestinesi, i curdi sono forse l’altro popolo senza terra più conosciuto. Ma diversamente dai palestinesi, la cui causa per la creazione di uno Stato, entra ed esce dai giornali anche se spesso intrisa di propaganda israeliana, i curdi invece, non sono una questione all’ordine del giorno.
E sbagliando, perché sono stati i protagonisti di diverse situazione in cui hanno aiutato a rendere il mondo un posto più sicuro, hanno creato un sistema di co-leadership anche se non ancora perfetto, almeno all’avanguardia, e in non poche occasioni la loro intensa e dolorosa Storia ha da insegnare a chi crede nella democrazia.
Curdi: un popolo diviso in quattro Stati
I curdi sono uno dei più grandi gruppi etnici senza stato al mondo, con una popolazione stimata tra i 30 e i 40 milioni di persone. Nonostante la loro ricca storia culturale e la loro identità distinta, rimangono divisi tra quattro nazioni—Turchia, Iran, Iraq e Siria—dove continuano a subire oppressione, emarginazione e violenza.
Questa divisione, tracciata dai poteri coloniali un secolo fa, ha avuto profonde implicazioni sulle loro aspirazioni di autonomia e autodeterminazione.
Ci troviamo in Siria e da nessuna altra parte la loro condizione è più evidente: i curdi sono stati al centro dei recenti sconvolgimenti del paese. E continuano ad essere sotto attacco, nonostante il regime di Assad caduto ormai quasi due mesi fa.
I curdi fanno risalire le loro origini agli antichi popoli della Mesopotamia, nelle regioni montuose dei Monti Zagros e del Tauro. Noti per le loro tradizioni guerriere e la loro vibrante cultura, storicamente godevano di una semi-autonomia sotto vari imperi, tra cui l’Impero Ottomano e quello Safavide.
La lotta moderna dei curdi ebbe inizio nel periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale. Il Trattato di Sèvres (1920) prometteva la creazione di uno stato curdo indipendente, ma questa speranza venne infranta quando il Trattato di Losanna (1923) formalizzò confini che divisero la popolazione curda tra Turchia, Iran, Iraq e Siria.
Questa divisione segnò l’inizio di un secolo di lotte dei curdi, che divennero minoranze in stati che cercavano di sopprimere la loro identità e negare i loro diritti.
I curdi della Siria
In Siria, la popolazione curda—stimata tra i 2 e i 3 milioni—ha a lungo subito discriminazioni sistemiche.
Sotto il regime di Hafez al-Assad e successivamente di suo figlio Bashar al-Assad, i curdi furono privati della cittadinanza, la loro lingua e cultura vennero soppresse, e le loro regioni volutamente lasciate sottosviluppate.
Politiche come la “Cintura Araba” cercavano di alterare la composizione demografica delle aree a maggioranza curda reinsediando arabi nel nord-est, emarginando ulteriormente la comunità curda.
Tuttavia, la guerra civile siriana ha creato un’opportunità inaspettata per i curdi di affermarsi.
Quando il regime di Assad si è ritirato dalle regioni curde per concentrarsi su altri fronti, i curdi stabilirono un’amministrazione autonoma nota come Rojava nel 2012.
Comprendendo tre cantoni autonomi nel nord della Siria, il Rojava divenne un simbolo della determinazione e dell’ingegnosità curda. Il modello di governo di Rojava—basato su principi di democrazia, uguaglianza di genere e convivenza multietnica—ha attirato l’attenzione internazionale.
Le donne curde, in particolare, sono emerse come icone di resistenza, guidando la lotta contro l’ISIS e sfidando le norme di genere tradizionali nella regione.
Le Forze Democratiche Siriane (SDF), dominate da combattenti curdi, giocarono un ruolo cruciale nella sconfitta dell’ISIS, innescando alleanze temporanee con potenze occidentali come gli Stati Uniti.
Sfide e tradimenti
Nonostante i contributi apportati al paese, i curdi in Siria continuano ad affrontare minacce esistenziali.
La Turchia, temendo una forte presenza curda lungo il proprio confine, continua a lanciare operazioni militari nel nord della Siria, sfollando decine di migliaia di curdi e minando l’autonomia di Rojava.
A livello internazionale, la condizione dei curdi è stata oscurata da alleanze mutevoli e calcoli geopolitici.
Nel 2019, quando gli Stati Uniti si ritirarono improvvisamente dal nord della Siria, i Curdi rimasero vulnerabili all’aggressione turca. Anche il regime di Assad ha cercato di riaffermare il controllo sulle regioni curde.
Identità culturale e politica
Nonostante le sfide, hanno preservato la loro identità culturale e politica. La lingua, la musica e la letteratura curda rimangono vivaci espressioni del loro patrimonio.
L’esperimento di Rojava, sebbene fragile, rappresenta un raro tentativo di costruire una società basata su uguaglianza e pluralismo in Medio Oriente.
Le loro aspirazioni politiche, tuttavia, rimangono un punto di contesa. Mentre alcuni curdi sostengono l’indipendenza completa, altri cercano una maggiore autonomia all’interno degli stati esistenti.
In Siria, il sogno di una regione curda autonoma continua a scontrarsi con la realtà della politica regionale e internazionale. E ora con il cambio di governo a Damasco la situazione si fa più complicata, perché i nuovi protagonisti, i cui leader sono exqaedisti ripuliti da Turchia e Qatar, devono trovare un compromesso con i curdi locali e le altre minoranze.
Le domande si accavallano con gli avvenimenti: il Rojava resterà un’autonomia separata? Che ne sarà di quei combattenti che hanno di fatto, sconfitto lo Stato Islamico, e che sembra non vogliano essere assorbiti in un esercito siriano unico?
Hanno detto a noi che non consegneranno le loro armi come ha chiesto Ahmed Shaara, il presidente de facto del paese a tutte le minoranze e si preoccupano per le insinuazioni di alcuni nel governo provvisorio di matrice religiosa che hanno detto che le donne possono fare tutto, ma l’esercito non è adatto a loro.
La generale dello YPJ
Lasciamo alla comandante generale Rohlat Afrin che comanda le forze YPJ, l’onere della risposta: “La mia risposta a Damasco? Che aspiro a diventare ministra della Difesa di tutta la Siria”, dice alla delegazione politica di italiani e francesi, con un mezzo sorriso che non addolcisce per nulla i lineamenti decisi del suo volto.
“Non c’è motivo di parlare di quello che abbiamo fatto per sconfiggere l’Isis e proteggere tutta l’umanità, ha fatto il giro del mondo, ma molti non sanno che oggi da più di 50 giorni stiamo facendo la stessa cosa per impedire alla Turchia di guadagnare terreno nel nord della Siria.
Ci sono pesanti combattimenti alla diga di Tishrin, i bombardamenti turchi stanno uccidendo decine di civili e combattenti.
La linea del fronte è a soli 10 km dalla diga e se venisse bombardata sarebbe un disastro, centinaia di migliaia di persone senza acqua ed elettricità. I civili, tra cui politici, artisti anche persone normali, vanno spontaneamente alla diga per proteggerla e molti hanno perso la vita. Se cadesse la diga, i turchi avanzerebbero verso Raqqa, Kobane e altre città”.
“La caduta di Assad, l’8 dicembre scorso, ha portato celebrazioni ovunque in Siria, anche qui perché abbiamo sofferto molto per quello che il regime ha fatto ai curdi. Ma tutti i combattimenti nel resto del paese si sono fermati, solo qui continuano e ci pone delle domande sugli obiettivi dei turchi che sostengono fazioni mercenarie che vengono qui per combattere contro di noi e la gente”.
“E non dimentichiamo che quando vige l’instabilità, la zona diventa un terreno fertile per gruppi come l’Isis per insinuarsi di nuovo. Sono stati sconfitti militarmente, ma la mentalità e la loro ideologia è ancora presente”.
Tanti cambiamenti repentini
“Ci sono stati tanti cambiamenti in Siria di recente, nessuno immaginava che in 12 giorni cadesse un regime di 50 anni e che tutto cambiasse nel paese, la situazione ora è molto caotica e i turchi si stanno approfittando di questo caos iniziale per controllare la regione.
“Con il neo governo di Damasco è stato aperto un canale di comunicazione. E’ importante che tengano in considerazione i 13 anni di lotta e martiri che abbiamo dato, e gli obiettivi che abbiamo raggiunto, sappiamo che ci sono potenze regionali che vorrebbero vederci in contrasto con Damasco, ma crediamo che ogni scontro tra di noi non sarebbe negli interessi dei siriani”.
“Le nostre richieste sono semplici: unificare il territorio siriano, creare l’opportunità affinché tutte le comunità e minoranze partecipino al processo politico e alla creazione di una nuova Costituzione siriana che garantisca stessi diritti per tutti i siriani”.
“E’ importante concentrarsi sui diritti delle donne e i giovani, sulla libertà politica. E che le risorse siano condivise fra tutti i siriani. Se la gente e i rappresentati politici del nord est della Siria saranno esclusi dal processo politico, non accetteremo una Costituzione alla quale non abbiamo partecipato”.
“Il Rojava ha adottato il sistema di co-sharing che consiste nel fatto che la leadership della regione è divisa al 50 per cento tra donne e uomini, non abbiamo intenzione di abbandonare questo sistema democratico che abbiamo da anni, quindi è basilare discuterne con l’attuale governo in Damasco”.
Non è dato sapere cosa riserva il futuro per le comunità siriane che si sono risvegliate dall’incubo del regime, tuttavia, i curdi ci insegnano, che dopo aver sopportato un secolo di promesse infrante e tradimenti, il loro spirito rimane intatto.
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