Raqqa: dalla distruzione alla ricostruzione

Scritto da in data Gennaio 28, 2025

RAQQA (Siria) – Non si vede troppo, perché molto è stato ricostruito, ma quella che un tempo era una fiorente cittadina che sorge sulle rive del fiume Eufrate nella Siria settentrionale, ha vissuto la distruzione e la ricostruzione come molte città di questa regione del paese.

Nota per la sua importanza storica e posizione strategica, la città è salita agli onori della cronaca mondiale come capitale de facto del califfato autoproclamato dell’ISIS dal 2014 al 2017.

Fu l’epicentro del brutale regime dell’ISIS, teatro di atrocità di cui gli abitanti ancora portano i segni.

L’importanza storica di Raqqa

Raqqa era crocevia di commercio e cultura sotto diversi imperi. Conosciuta in epoca romana come Callinicum, la città raggiunse il suo apice durante il califfato abbaside nell’VIII secolo, quando il califfo Harun al-Rashid la trasformò in una capitale secondaria.

Durante questo periodo, Raqqa divenne un faro dell’arte islamica, della scienza e dell’architettura.

Poi secoli di abbandono e declino relegarono Raqqa a un ruolo di secondo piano fino al XX secolo, quando cominciò a crescere come parte degli sforzi di modernizzazione della Siria.

Nel XXI secolo, Raqqa era un vivace centro agricolo e industriale, fino a quando la guerra civile siriana non la trasformò in un campo di battaglia.

Sotto il controllo dell’ISIS

Nel 2014, Raqqa fu conquistata dall’ISIS, diventando la roccaforte del l’autoproclamato califfato.

Il gruppo impose un regno di terrore su chi ci viveva, applicando rigidamente la legge della Sharia e punendo il dissenso con esecuzioni pubbliche, torture e schiavitù.

Sotto l’ISIS, Raqqa divenne un centro globale per la propaganda jihadista e un punto nevralgico per il coordinamento di operazioni terroristiche internazionali.

L’infrastruttura della città fu trasformata per sostenere la macchina bellica dell’ISIS, e gran parte della popolazione fu sfollata, costretta a fuggire o a sottomettersi.

Questo periodo oscuro terminò nel 2017, quando le Forze Democratiche Siriane (SDF), sostenute dai raid aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti, lanciarono una campagna durata mesi per liberare Raqqa.

Sebbene l’operazione abbia avuto successo, avrebbe lasciato la città in rovina. Si stima che l’80% di Raqqa sia stato distrutto, con migliaia di civili uccisi e molti altri sfollati.

La ricostruzione

Dopo la liberazione, Raqqa si è trovata di fronte al compito monumentale della ricostruzione. Interi quartieri rimangono inabitabili, con macerie e ordigni inesplosi che rappresentano una minaccia costante.

Scuole, ospedali e altre infrastrutture vitali vengono lentamente ricostruite. Organizzazioni internazionali insieme  alle autorità locali hanno collaborato per sminare e ripristinare i servizi essenziali, ma l’entità della distruzione richiede più risorse di quante siano disponibili.

Molti residenti vivono in rifugi improvvisati o in case parzialmente riparate, lottando per ritrovare una parvenza di normalità.

Governo e incertezza politica

Attualmente, Raqqa è sotto l’amministrazione dell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord e dell’Est (AANES), un organismo di governo a guida curda. Sebbene questa amministrazione abbia fatto progressi nel fornire servizi di base e mantenere la sicurezza, è ancora dura.

Senza contare  la caduta del regime di Assad l’8 dicembre scorso, che ha spazzato decenni di dittatura, le preoccupazioni per la nuova amministrazione sostenuta dai turchi, rende incerto il futuro politico della regione curda che sta in questo momento cercando di capire, come tutte le altre minoranze della Siria come organizzare il futuro prossimo.

La Turchia (che sostiene la nuova amministrazione di Damasco) considera le SDF, la principale forza dietro la liberazione di Raqqa, un’organizzazione terroristica a causa dei legami con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).

Questa dinamica geopolitica rende Raqqa vulnerabile a minacce esterne e mina la stabilità a lungo termine.

Difficoltà Economiche

L’economia di Raqqa non si è ancora ripresa dalla devastazione della guerra. Un tempo un polo agricolo regionale, le terre agricole della città rimangono sottoutilizzate a causa dei danni ai sistemi di irrigazione e dei rischi per la sicurezza.

Molti residenti dipendono dagli aiuti umanitari per sopravvivere, mentre la disoccupazione giovanile rimane allarmante.

I mercati hanno riaperto, ma le opportunità economiche sono limitate. Le piccole imprese faticano ad accedere al capitale anche a causa delle sanzioni internazionali sulla Siria, e la mancanza di investimenti ostacola progetti di ricostruzione su larga scala.

Sfide Sociali e Trauma

Gli abitanti di Raqqa portano le cicatrici di anni di guerra e delle brutalità dell’ISIS. Le famiglie che hanno vissuto la violenza devono ora affrontare la sfida di ricostruire le loro vite in una città fratturata.

Inoltre, il reintegro degli sfollati rappresenta una sfida sociale. Con le famiglie che tornano dai campi profughi o da altre parti della Siria, possono sorgere tensioni per le risorse scarse e le diverse esperienze di guerra.

Nella zona opera l’organizzazione italiana Un Ponte Per  che insieme alla Mezzaluna Rossa Curda (Heyva Sor a Kurd – KRC) Doz International, forniscono assistenza sanitaria alle persone in arrivo nell’area tra Manbij, Al Tabqa e Raqqa.

Insieme a loro visitiamo l’ospedale principale, dove medici e infermiere ci accolgono a braccia aperte mentre il pronto soccorso lavora senza sosta.

“Tra i vari pazienti che arrivano, ogni giorno ci arrivano persone dalla diga di Tshireen, (dove i turchi colpiscono non solo chi vive nei dintorni ma chi a va a manifestare contro l’aggressione e il tentativo di conquistare quella zona strategica), abbiamo qui un bambino di 12 anni ferito da una scheggia”.

L’ospedale è basico, ma pulito, ci vorrebbero più medici, ma molti sono sfollati o sono stati costretti a fuggire, ma gli operatori sanitari si rimboccano le maniche del camice e vanno avanti.

In una stanza, una famiglia veglia Azam che cerca di sollevarsi dal letto quando ci vede entrare. E’ stato colpito qualche giorno fa da una scheggia durante un bombardamento turco alla diga ed è in attesa di un intervento.

“Siamo andati a manifestare alla diga, non vogliamo che i turchi ne prendano il controllo, andiamo per difendere la nostra terra, non volevamo che Azam venisse, ma lui ha insistito”, ci racconta il padre, un fabbro di Manbji, sfollato a Kobane e ora a Raqqa.

“Grazie per essere qua, dite alla vostra gente cosa sta succedendo. La guerra non è finita qui e se noi non li fermiamo niente li impedirà di andare avanti”.

Durante il controllo dell’ISIS su Raqqa (2014-2017), gli ospedali della città furono gravemente colpiti e spesso riconvertiti per soddisfare le esigenze del gruppo piuttosto che quelle della popolazione civile.

Il più grande ospedale di Raqqa, l’Ospedale Nazionale dove ci troviamo, divenne una base per le operazioni dell’ISIS. Fu utilizzato come centro di comando, deposito per armi e rifornimenti, e come struttura per curare i combattenti feriti dell’ISIS, spesso dando loro priorità rispetto ai civili.

I civili avevano un accesso limitato o nullo a cure mediche adeguate durante questo periodo, poiché le forniture mediche erano scarse e il personale qualificato era costretto a lavorare per l’ISIS o fuggiva dalla città.

La situazione divenne drammatica per i residenti che avevano bisogno di cure mediche, soprattutto per malattie croniche, cure materne o ferite causate dal conflitto.

Oggi la maggior parte delle cure sanitarie nel Rojava curdo sono gratuite. Iman Fadil, responsabile delle comunicazioni esterne del ministero della Salute del Nord Est, ci spiega accogliendo una delegazione di politici e giornalisti che arriva dall’Italia, che il ministro non è a Raqqa in questo momento perché è alla diga per seguire l’evolversi della situazione.

“Abbiamo 23 ospedali e la situazione cambia a seconda del sostegno anche internazionale che viene dato, ci mancano molte cose, ma la priorità è la mancanza di medici specialisti. La situazione a Raqqa è molto migliorata, ma non siamo ancora in pieno sviluppo, la gente ha lottato contro l’Isis, e dovremmo essere in grado di offrire loro le cure che meritano”.

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