Afghanistan: Vite nascoste
Scritto da Barbara Schiavulli in data Settembre 21, 2021
Kabul − Nel quartiere hazara di Dashte Barchi a Kabul, il luogo più colpito dai talebani e dall’Isis nella capitale, non sono tempi facili. Gli sciiti sono stati sempre perseguitati e ora che i talebani sono al potere, sanno bene cosa rischiano.
Salima era nella lista di quelli che lo scorso agosto sarebbero dovuti salire su un aereo italiano nei giorni in cui sono state effettuate le evacuazioni dall’Afghanistan. Non ci è riuscita. Ci ha provato tre volte a raggiungere l’aeroporto ma l’ultima, una sera calda come l’inferno, mentre teneva per mano la figlia di 12 anni, sono arrivati i talebani e hanno picchiato a sangue Hamid, il figlio di 23 anni e lo zio che li accompagnava. Sono tornati a casa e affranti hanno deciso che il rischio era troppo alto. «Mia figlia si è talmente spaventata che non è riuscita a parlare per due giorni».
Salima rientrava nelle liste perché era una donna di quelle considerate a rischio, non solo è istruita ma era una poliziotta: un addestramento con la Finanza italiana le aveva permesso di lasciare la caserma dove i colleghi la trattavano come un serva, facendole servire il tè e pulire il posto, ed era diventata addestratrice di altre donne poliziotto.
Già da qualche anno aveva smesso di fare la poliziotta, ma per sua fortuna il figlio di 23 anni, piccolo genio del commercio, aveva aperto un negozio di informatica, film, videogames e nel giro di poco tempo, aveva aperto quattro negozi, assunto dodici persone e gli affari avevano cominciato ad andare molto bene.
«Non essendoci cinema in Afghanistan, la gente i film li vede a casa, oppure gioca con i videogiochi, o ancora ha bisogno degli accessori per il computer. Nessuno di noi ha mai pensato di andarsene da Kabul. Stavamo bene, avevamo una vita dignitosa», spiega Hamid, ma un giorno sono arrivati i talebani nel suo negozio, hanno indicato i film, i videogiochi e delle televisioni a schermo piatto dove lui mostrava i suoi video promozionali e gli hanno detto che erano cose occidentali e doveva liberarsene subito.
«Ho dovuto mandare a casa i miei dipendenti e io ero l’unico a mantenere la famiglia, ora se non posso lavorare non ci resta che cercare di andare via».
«Da quando sono arrivati i talebani, non esco più», racconta Samiera, 44 anni, mentre cucina un prelibato pranzetto che si mangia a terra sulla cerata che poi viene pulita e attentamente ripiegata. «Ho visto della poliziotta uccisa a Ghor e mi sono molto spaventata, ogni donna che è stata poliziotta è ora in pericolo, ma la cosa che mi terrorizza di più è che possano uccidermi davanti ai miei figli. Vorrei trovare un altro lavoro, ma ora le donne non possono lavorare».
Tua figlia ha 12 anni, non potrà frequentare le superiori, Samiera quale pensi sarà il suo futuro? «Avrei voluto tanto che diventasse una dottoressa, ma ora temo che l’unico modo per farla uscire di casa sia darla in moglie. Avrei voluto che si sposasse a 20 anni non prima, ma non ci sono tante alternative: o che si sposi o che se ne vada da qui».
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