Globalizzazione e produzione industriale
Scritto da Pasquale Angius in data Giugno 21, 2021
La globalizzazione ha modificato anche le modalità di organizzazione della produzione industriale, che si è anch’essa globalizzata.
Nuove modalità di produzione industriale
In questa puntata ci occupiamo di un argomento di cui si sente molto parlare sui mass media ma che forse non è ben chiaro nelle sue dinamiche: la globalizzazione e le nuove modalità con cui viene organizzata la produzione industriale.
Partiamo da una notizia. Alla fine del 2019 una delle più autorevoli testate che si occupano di temi economici, il britannico The Economist, dedicava una copertina a una lumaca che trasportava una conchiglia a forma di mondo con il titolo “Slowbalisation”, un neologismo, un po’ raccapricciante, coniato unendo la parola slow che in inglese significa lento e globalisation che significa globalizzazione. Secondo The Economist la globalizzazione stava rallentando quel grande processo di allargamento degli spazi e riduzione delle distanze iniziato verso la fine degli anni Ottanta e aveva cambiato in pochi decenni il volto del nostro pianeta e dell’economia internazionale, prima sotto i colpi della crisi del 2008, poi a causa delle guerre sui dazi tra Stati Uniti e Cina, stava subendo una brusca frenata.
L’ultima globalizzazione
Come tutti ormai sappiamo nell’ultimo decennio del Novecento avviene una nuova fase di globalizzazione, nuova perché di globalizzazioni ne erano già avvenute nella storia. Dopo la scoperta dell’America nel 1492 inizia l’era delle grandi scoperte geografiche e della globalizzazione dei commerci. Nella seconda metà dell’Ottocento, nuove invenzioni tecnologiche nei trasporti − prima le ferrovie, poi le navi a vapore, poi l’automobile e l’aeroplano − e l’espansione coloniale delle potenze europee avviano una ulteriore fase di globalizzazione.
L’ultima globalizzazione, quella iniziata negli anni Novanta del Novecento, viene innescata da una serie concomitante di fattori. Innanzitutto, ragioni politiche. Con la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, finisce la Guerra Fredda e la divisione del mondo in blocchi ideologico-militari contrapposti. L’ideologia neoliberista che si afferma prima nei paesi anglosassoni, Stati Uniti e Regno Unito, si diffonde in tutto il mondo e diventa il paradigma ideologico-culturale dominante e i neoliberisti spingono per una riduzione delle barriere al commercio. Si riducono i dazi doganali ma anche le barriere non tariffarie agli scambi, come le quote o i contingenti, si allentano i controlli sui movimenti di capitale e sulle transazioni finanziarie, si semplificano le procedure per i movimenti delle persone e, in alcune aree come l’Unione Europea, si eliminano le frontiere e si liberalizzano i movimenti di merci, capitali e persone.
Ci sono poi le grandi innovazioni tecnologiche che favoriscono la globalizzazione: internet, i telefoni cellulari, i social, tutte innovazioni che semplificano le comunicazioni anche a grandi distanze, le rendono molto meno costose di prima e consentono di trasferire, in pochissimi secondi, informazioni, dati, immagini, video e quant’altro in ogni angolo del pianeta.
Il mondo diventa più piccolo e sempre più interconnesso a qualunque livello.
Le catene globali del valore
Ma la riduzione di tutta una serie di barriere agli scambi internazionali determina anche una riorganizzazione complessiva della produzione manifatturiera e la nascita di quelle che sono state chiamate “le catene globali del valore”. Cerchiamo di spiegare di cosa si tratta in maniera semplice.
Fino agli anni Ottanta, la gran parte delle aziende avevano come riferimento principalmente il mercato nazionale, quindi producevano per il mercato interno. C’erano poi aziende, generalmente di dimensione media e grande, che esportavano una parte dei loro beni in altri paesi, ma la produzione veniva fatta all’interno dei confini nazionali. Ovviamente ci si approvvigionava sui mercati esteri di materie prime che servivano per la produzione, ma ciò che veniva esportato erano generalmente prodotti finiti, per esempio automobili, lavatrici, frigoriferi e via di seguito.
In ogni caso la percentuale di importazioni sul totale dei consumi in ogni paese era piuttosto limitata. Prendiamo i dati di una delle economie più aperte agli scambi internazionali, quella statunitense: sino all’inizio degli anni Ottanta soltanto il 10% dei beni consumati nel paese erano importati, il resto veniva prodotto negli Stati Uniti.
Cosa succede a partire dagli anni Novanta? Come abbiamo detto si eliminano o si riducono tutta una serie di vincoli agli scambi e quindi agli spostamenti di merci, capitale e lavoro. Ma ciò significa che si riducono in maniera consistente i costi degli scambi commerciali a livello internazionale. Questo fatto comporta una riorganizzazione della produzione, perché le aziende trovano conveniente frammentare la produzione a livello globale con l’obiettivo di aumentare la produttività e quindi i profitti. Soffermiamoci un attimo su questo concetto che va compreso bene. Perché suddividere la produzione in tante piccole fasi, distribuite in diversi paesi, utilizzando centinaia o migliaia di fornitori, dovrebbe far crescere la produttività e i profitti? Pensiamo, per fare un esempio, all’iPhone della Apple: per produrlo intervengono circa 700 fornitori sparsi in 50 paesi diversi. Per quale motivo questo tipo di organizzazione della produzione, lungo quelle che vengono chiamate catene globali del valore, dovrebbe far crescere produttività e profitti della Apple?
Adam Smith e David Ricardo
Per comprendere bene questo passaggio essenziale dobbiamo fare un passettino indietro e andare a due concetti che furono esplicitati da due economisti: Adam Smith e David Ricardo. Il primo, vissuto nella seconda metà del Settecento, quando in Inghilterra iniziava la rivoluzione industriale scrisse un testo, intitolato “Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni”, nel quale in un celebre passo parla della “manifattura degli spilli” e dimostra come la divisione del lavoro aumenti la produttività. Supponiamo che un singolo individuo decida di produrre uno spillo da solo. Costui dovrà innanzitutto estrarre il minerale dalla miniera, poi dovrà separarlo dalle scorie, poi forgiarlo, dividerlo in piccole verghe, allungare queste verghe in fili e poi trasformare questi fili metallici in spilli. Dovrà anche costruirsi tutti gli attrezzi per effettuare ogni fase della produzione. Per quanto laboriosa possa essere, questa persona ci impiegherà, supponiamo, un anno per completare tutte queste lavorazioni e arrivare infine a produrre il suo spillo. Ma a quel punto il prezzo di vendita dello spillo dovrà essere pari almeno al costo di mantenimento di quell’individuo per un anno. Supponiamo invece che ci sia un imprenditore, un fabbricante di spilli, che suddivida ogni fase di produzione tra lavoratori diversi. Alcuni si specializzeranno nell’estrazione del minerale, altri nella sua lavorazione, altri ancora produrranno il filo metallico, un altro lo taglia, un altro lo appuntisce, un altro ancora schiaccia la cima per realizzare poi la capocchia, altri si occuperanno di costruire la capocchia e altri ancora di confezionare gli spilli in appositi contenitori per la vendita. Se la produzione viene suddivisa in tante piccole operazioni, e ogni lavoratore si specializza soltanto in una fase di produzione, diventerà molto abile e veloce in quella fase e il risultato sarà che la quantità di spilli prodotti aumenterà. Quindi, se diversi lavoratori si organizzano e si specializzano la produzione di spilli in un anno aumenterà notevolmente e quindi il loro prezzo potrà ridursi. La divisione del lavoro e la specializzazione aumentano la produttività e riducono i costi di produzione. Questo è il primo concetto da tenere a mente, è una nozione facile e intuitiva, lo era un po’ meno ai tempi di Adam Smith, è un concetto che tutti noi conosciamo perché viviamo in una società complessa dove ognuno di noi non è costretto a imparare a costruirsi tutto ciò di cui ha bisogno ma si specializza in un determinato lavoro.
Il secondo concetto è quello del “vantaggio comparato” elaborato da David Ricardo, un altro economista inglese vissuto nella prima metà dell’Ottocento. Cerchiamo di semplificare per quanto possibile il ragionamento. Qual è il criterio in base al quale un territorio o un paese si specializza nella produzione di determinati beni? Qui entrano in gioco due concetti, quello di “vantaggio assoluto” e quello di “vantaggio comparato” o relativo. Un qualsiasi paese troverà più conveniente importare quei beni che riesce a ottenere a un prezzo minore da un altro paese. Quindi ogni paese dovrebbe specializzarsi innanzitutto in quei beni nei quali ha un “vantaggio assoluto”. Facciamo un esempio semplice. L’Arabia Saudita ha enormi giacimenti di petrolio, di buona qualità e di facile estrazione. L’Italia ha giacimenti di petrolio, nella Val Padana, in Basilicata e in mare, ma si tratta di giacimenti piccoli, con costi di estrazione abbastanza elevati. In un caso del genere l’Arabia Saudita avrà un “vantaggio assoluto” nella produzione di petrolio rispetto all’Italia e quindi si specializzerà in quella produzione.
Se invece un paese è abbastanza efficiente e può produrre molti beni in maniera abbastanza efficiente può concentrarsi nella produzione di quei beni sui quali ha un “vantaggio comparato” o relativo rispetto agli altri paesi, cioè quei beni in cui eccelle anche solo relativamente rispetto agli altri. Ma da cosa sono influenzati i costi di produzione e quindi anche i vantaggi relativi? Da un’infinità di fattori, elenchiamone alcuni: disponibilità di risorse naturali, condizioni climatiche, condizione dei terreni, disponibilità di forza lavoro, livello dei salari, affitti, normative, livello tecnologico, reti di trasporto disponibili e altro.
Cina e Stati Uniti
Facciamo anche qui un esempio. Prendiamo la Cina e gli Stati Uniti. Entrambi i paesi, per quelle che sono le dimensioni e la complessità dei loro sistemi economici, saranno in grado di produrre sia magliette di cotone che aerei. Ma la produzione di magliette di cotone richiede impiego di molta manodopera e in Cina la manodopera costa molto meno che negli Stati Uniti. La produzione di aerei richiede poca manodopera ma altamente specializzata e molti investimenti in tecnologia e macchinari sofisticati. Negli Stati Uniti è più facile trovare manodopera specializzata, tecnologie avanzate e capitali. A parità di altre condizioni gli Stati Uniti avranno un vantaggio comparato specializzandosi nella produzione di aerei, dove possono essere più efficienti e la Cina avrà un vantaggio comparato specializzandosi nella produzione di magliette di cotone dove risulterà più efficiente.
Ma il vantaggio comparato della Cina nella produzione di magliette di cotone potrebbe derivare anche dalla disponibilità della materia prima. La Cina è in effetti il primo produttore mondiale di cotone, seguito dall’India, un paese confinante. Quindi la Cina avrà probabilmente un costo della materia prima più basso rispetto a quello americano. Ma in Cina potrebbero esserci anche norme ambientali, per esempio nello smaltimento dei rifiuti di produzione, più lasche rispetto a quelle americane. Quindi il vantaggio comparato della Cina nella produzione di magliette di cotone può derivare oltre che dalla disponibilità di molta manodopera a un costo basso, anche dalla disponibilità di materie prime a costi inferiori o a un contesto normativo in ambito ambientale che rende quelle produzioni meno costose.
Quindi cosa è successo negli ultimi tre decenni? L’organizzazione della produzione dei beni manifatturieri si è frammentata lungo quelle che sono state chiamate “catene globali del valore” che funzionano all’incirca in questo modo. C’è solitamente un’azienda leader che produce supponiamo automobili o qualunque altro bene e va alla ricerca per ogni singolo componente e per ogni fase della produzione, del miglior fornitore a livello internazionale. Il miglior fornitore sarà colui che in quel componente o in quella fase di produzione avrà un “vantaggio comparato” rispetto agli altri fornitori. La scelta viene fatta innanzitutto in base alla convenienza economica e in base al grado di specializzazione e competenza raggiunto da ogni fornitore. Le varie fasi produttive vengono localizzate, quindi, dove esiste un “vantaggio comparato”. Le catene di produzione diventano molto lunghe e frammentate e a ogni passaggio si aggiungono frammenti di valore.
Queste catene globali del valore sono ormai diventate la modalità con cui si organizza la produzione manifatturiera un po’ in tutto il pianeta. Per dare una dimensione del fenomeno si pensi che tra il 55% e il 60% gli scambi commerciali mondiali non riguardano prodotti finiti bensì cosiddetti “beni intermedi”, cioè componenti che servono per produrre altri beni.
Un altro dato per capire l’importanza di questo nuovo modo di organizzare la produzione manifatturiera è il seguente: si calcola che circa i due terzi delle aziende italiane, come anche degli altri paesi più sviluppati, facciano parte di queste “catene globali del valore”.
Ma riprendiamo l’esempio che facevamo prima su produzione di aerei e produzione di magliette di cotone. Quel che avviene oggi con le catene globali del valore è che la specializzazione produttiva, e quindi anche i vantaggi comparati, non si distribuiscono più soltanto per prodotti, ma all’interno della catena produttiva di un determinato bene si frammentano anche per singolo componente o fase di produzione.
Spieghiamoci meglio. Cosa è accaduto negli ultimi tre decenni? Se un produttore americano di abbigliamento vuole realizzare una nuova collezione di magliette di cotone firmate da uno stilista molto in voga tra i giovani, come organizzerà la sua produzione? Probabilmente la fase di ideazione stilistica, il marchio, la distribuzione commerciale del prodotto finito avverranno negli Stati Uniti, ma la produzione fisica delle magliette sarà più conveniente spostarla in Cina per le ragioni che abbiamo esplicitato prima, ma anche perché oggi i costi dei trasporti si sono notevolmente ridotti e anche i costi per il trasferimento di dati, disposizioni, controlli sulla qualità di produzione, soluzioni organizzative e manageriali possono essere fatte da remoto utilizzando le nuove tecnologie. Fino a 30 anni fa tutta una serie di operazioni potevano essere fatte soltanto spostando materiali e persone da un paese all’altro. Oggi se occorre spedire un nuovo disegno da stampare su una maglietta di cotone lo si fa in pochi secondi via internet; se si vuole verificare e controllare dagli Stati Uniti come è stata organizzata una linea di produzione in Cina, con un sistema di telecamere si può controllare dalla California o da qualunque altro posto cosa succede in quello stabilimento, e si potrebbero fare mille altri esempi.
Ma la stessa cosa accade anche nella produzione di aerei. Come dicevamo prima, gli Stati Uniti hanno un vantaggio comparato o relativo in quella produzione ma dal momento che produrre un aereo richiede l’utilizzo di migliaia di componenti, per ogni singolo componente si andrà a cercare in ogni angolo del mondo, e quindi anche in Cina, il produttore più efficiente. Quindi accadrà che alcune centinaia di componenti o alcune fasi di assemblaggio vengano fatte in Cina perché in quel paese si trovano i fornitori che avranno un “vantaggio comparato” in quella singola fase di produzione.
Nella prossima puntata approfondiremo meglio come funzionano le “catene globali del valore” e quali sono anche i risvolti, non soltanto economici ma anche sociali, di questa nuova modalità di organizzazione della produzione manifatturiera.
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