Kiamala vita
Scritto da Massimo Sollazzini in data Giugno 15, 2021
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La vice di Biden nel triangolo del Norte
Da qualche giorno a Iowa city, Lidia ha potuto riabbracciare qualcuno che conosce e le vuole bene, la sorella Juana. Lidia ha 16 anni: è arrivata in questa città nel nord est degli Stati uniti dopo tre mesi trascorsi in una specie di centro profughi in Pennsylvania. Lidia proviene dal Guatemala: il lieto fine della sua avventura è quello che sogna più o meno ognuno dei migranti che, quest’anno più che mai, si affollano al confine meridionale degli States. Quattrocentomila tra lo scorso ottobre e febbraio, 180.000 nel solo mese di maggio. È a loro che qualche giorno fa si è rivolta Kamala Harris, vicepresidente degli Stati Uniti, con tre parole molto nette: «do not come», ovvero «non venite».
Nell’immediato la sortita ha provocato uno scontento bipartisan, in America. Da sinistra c’è chi, come Alexandra Ocasio Cortez, le ha ricordato che gli Usa hanno avuto storicamente un ruolo nella destabilizzazione dell’America Latina, e «non possono aiutare a dare fuoco alla casa di qualcuno e poi biasimarlo per la fuga». All’opposto, da destra, le parole sono sembrate ammettere l’inefficacia della politica migratoria adottata fin qui dal nuovo corso Biden, più morbida rispetto a quanto fatto fino all’anno scorso per volere di Trump.
Il dato dei rimpatri forzati dagli States verso il Guatemala, per esempio, è sintomatico: nei primi cinque mesi di quest’anno sono stati 2.025, l’84% in meno nel giro di un anno. Ma è soprattutto il cambio di trattamento serbato a minori non accompagnati, alla frontiera, che sembra aver alzato la pressione. Dall’inizio della pandemia negli Usa è in vigore il cosiddetto “Title 42”, una norma che consente l’espulsione immediata dei migranti per ragioni di sicurezza. Istituita sotto Trump, è stata fin qui reiterata da Biden, con la sola eccezione dei minori: come effetto indotto, un numero crescente di famiglie centroamericane ha scelto di mandare alla ventura i propri figli, da soli, a risalire il Messico su su fino alla frontiera. Sperando che almeno loro riescano a passare, com’è accaduto a Lidia. Nel solo mese di marzo, ci hanno provato in quasi 19.000; a maggio si sono ridotti ad “appena” 10.000, se così si può dire.
Da dove arrivano questi disperati? La stragrande maggioranza arriva da Guatemala, Honduras o El Salvador. Il cosiddetto “triangolo del norte”, che negli ultimi dieci anni ha rimpiazzato come terra di partenza il Messico, passato ora al ruolo di paese di transito. Anzi, di traffico: chi sfida la sorte e la polizia di frontiera lo fa molto spesso affidandosi, soldi in mano, a trafficanti senza scrupolo, in un terreno “fertile” che ha visto assassinare cento persone nel periodo precedente le elezioni amministrative, tenutesi in Messico dieci giorni fa; e che da lungo tempo è in preda al narcotraffico, nelle lande di frontiera come nelle foreste tropicali del Guatemala.
Due violenti uragani nel corso del 2020 hanno messo il carico sulla misura già colma di tutte queste persone, vessate da anni o decenni di povertà, soprusi, violenza. Nel “triangolo del norte” molto spesso si vive di stenti, e devi essere davvero disperato se scegli di mandare allo sbaraglio un figlio minore, a migliaia di chilometri da te.
Ecco perché, almeno a prima vista, non può che sembrare velleitario il “non venite” proferito da Kamala Harris. Che però sottende una strategia: nella sua visita in Messico e Guatemala, la scorsa settimana, la vice di Biden ha annunciato un piano di investimenti per contrastare alla radice questo stato di cose. Sul piatto ci sono quattro miliardi di dollari per lo sviluppo economico dell’area, quasi un miliardo per l’assistenza umanitaria, oltre duecento milioni per mercato del lavoro e contrasto dei gender gaps. Come prima tappa successiva, questa settimana il capo dell’agenzia americana per lo sviluppo internazionale interverrà in ognuno dei tre paesi. Fatti nuovi salutati con favore dal Presidente messicano Lopez Obrador, uscito ridimensionato dalle recenti elezioni di medio termine, e indotto dal caso Colombia a rimandare ulteriormente un programma di riforme fiscali.
In Guatemala c’è chi obietta che quello annunciato è ben lontano dall’essere il piano Marshall di cui ci sarebbe bisogno. Oppure chi, come Jordan Rodas, Procuratore per i diritti umani, denuncia un clima politico simile a quello che vigeva sotto le dittature militari di fine secolo scorso; se stanno così le cose, non sarà facile che gli aiuti americani possano trasformarsi in azioni davvero concrete, piuttosto che in nuovi rivoli di corruzione.
Bene che vada, il piano avrà effetto solo nel corso degli anni. Del resto, per risolvere in fretta gli squilibri di questa come di altre parti del mondo servirebbe una bacchetta magica, che nessuno ha. E forse ha più senso spendere per migliorare le cose nei luoghi di origine dei disperati, che non in centri profughi e muri di frontiera.
Nel dubbio, e nell’attesa, il Governatore del Texas ha appena annunciato che lui il muro se lo costruirà da sé. In Guatemala, la vaccinazione anti-Covid va avanti al ritmo di 5.000 dosi al giorno e qualche giorno fa la capitale ne è rimasta completamente sprovvista. In Honduras e Salvador proprio adesso altre migliaia di persone si preparano a ingrossare la carovana verso nord.
E Lidia, che ha raggiunto la sorella a Iowa city, sogna un domani migliore di quanto vissuto per i suoi 16 anni.
Massimo Sollazzini
Credits
Immagine: “U.S. Mexico border” by Richard Masoner / Cyclelicious – licensed with CC BY-SA 2.0.
Audio Lidia: www.kcrg.com
Sottofondo: “Stray” by Calexico (1998).
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