L’amore di un padre
Scritto da Giuliano Terenzi in data Marzo 19, 2019
In occasione della festa del papà riproponiamo un estratto del podcast “Memorie Olimpiche” (qui il podcast completo)
Per un’esperienza più coinvolgente, invece di leggere ascoltate il podcast
Derek Redmond e l’amore di un padre
La storia di Derek Redmond non è solo uno straordinario e incredibile episodio sportivo ma, soprattutto, una meravigliosa e toccante storia d’amore. No, non ci fu nessuna maglietta con dedica alla fidanzata a fine della corsa, né un aereo con striscione che solca i cieli, né tantomeno una richiesta di matrimonio sul maxischermo. Qui si parla di amore paterno e del profondo ed indissolubile legame che si crea fra padre e figlio. Fra un padre che sostiene continuamente il figlio ed è pronto a sfidare ed affrontare qualsiasi avversità pur di vederlo realizzato e felice. Felice non vincente.
Derek Redmond nasce il 3 settembre del 1965 e da subito si capisce che il ragazzo ha talento e farà strada. Si specializza nei 400m piani e, non ancora ventenne, stabilisce il record britannico nella specialità. Prima di partecipare ai giochi di Seoul, Redmond ha già vinto un argento mondiale e un oro europeo. Durante le batterie di qualificazione, nel riscaldamento, a meno di due minuti dall’inizio della gara, Redmond sente un dolore fortissimo, lancinante che non gli permette di prendere parte alla corsa. Sul tabellone a fine gara il britannico figura quindi in ultima posizione con la dicitura DNF (Did not play). Redmond non riesce ad accettare serenamente quanto successo ma capisce che tornare indietro è impossibile. Affronta ben otto interventi per ricostruire il tendine d’Achille. Tornare a livelli d’eccellenza ed essere di nuovo competitivo è veramente un’impresa ma con tenacia e perseveranza Redmond torna ad indossare le scarpette da corsa: vince l’oro ai mondiali del ‘91 nella staffetta 4x400m e capisce che la sua carriera non è ancora finita e l’anno dopo, a Barcellona, avrà la possibilità di prendersi la sua rivincita. Si qualifica per le semifinali agevolmente: secondo i bookmakers è il favorito e il suo sguardo è quello di chi sa ciò che vuole. Corre in corsia cinque e parte con una buona reazione ma a metà gara sente il muscolo tirare: prima rallenta, poi si ferma e si accascia a terra portandosi le mani sul viso. I suoi avversari tagliano il traguardo e lui è ancora lì, immobile e in lacrime. Un giudice gli si avvicina per aiutarlo ma Redmond si rialza e, pur zoppicando vistosamente, riprende la sua corsa. Questa volta deve finire la gara, non vuole vedere più DNF accanto al suo nome. I 65000 dello stadio si alzano in piedi e cominciano ad applaudire l’atleta britannico e cercano, con quegli applausi, di sostenerlo e di aiutarlo a tagliare il traguardo. Poco dopo aver superato i 300m si vede una persona entrare in pista che corre verso Redmond: è suo padre, quel padre che vent’anni prima lo aveva portato per la prima volta su una pista d’atletica; non ce la fa a vederlo in quelle condizioni e corre per sostenerlo. Gli si avvicina e lo sorregge aiutandolo a sopportare il dolore: Derek piange ma ha accanto a lui la migliore spalla su cui posarsi e insieme, abbracciati, padre e figlio terminano una delle più belle ed emozionanti gare dei giochi olimpici.
Per approfondire: lo speciale sui grandi record alle Olimpiadi
Uno stralcio dell’intervista di Derek Redmond rilasciata alla BBC.
“Il dolore era intenso. Ho realizzato che tutto fosse finito. Mi sono guardato intorno e ho visto che gli altri avevano già tagliato il traguardo. Ma non sono il tipo che si arrende – nemmeno nelle discussioni, come può confermare anche mia moglie – e ho deciso che avrei finito quella gara perché sapevo che sarebbe stata la mia ultima corsa. Tutti i dottori e gli ufficiali venivano verso di me sulla pista cercando di farmi fermare ma non li ascoltavo. Poi, quando mancavano 100m all’arrivo ho sentito qualcun altro che mi si avvicinava, all’inizio non ho realizzato fosse mio padre. Mi ha detto “Derek, sono io. Non sei obbligato a finire”. E io ho risposto “Papà, voglio finire. Riportami in gara”. Lui mi ha risposto “Ok, abbiamo iniziato questa cosa insieme e la finiremo insieme”. Mi ha consigliato di camminare e smettere di correre e mi ripeteva in continuazione “Sei un campione, non hai nulla da dimostrare”. Abbiamo zoppicato abbracciati insieme fino alla linea del traguardo, solo io e mio padre, l’uomo a cui sono più affezionato, quello che ha supportato le mie scelte e la mia carriera nell’atletica da quando avevo sette anni. Non mi sono nemmeno accorto della standing ovation del pubblico, non capivo niente ero solo in lacrime”.
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