Roma: maledette premonizioni

Scritto da in data Gennaio 11, 2019

La 150° puntata di MONDOROMA/MONDOITALIA si concludeva con una brutta premonizione: “Sarà inevitabile, prepariamoci a verificarlo, a reagire, a fare qualcosa : aumenteranno i senza casa, gli ubriachi, aumenteranno le liti, le reazioni intolleranti e razziste, e purtroppo aumenteranno anche i morti di freddo.” Ebbene ad oggi i senzatetto/nèlegge morti a Roma in diversi quartieri nelle ultime settimane per freddo e alcuni per strada, sono diventati 6 e sono anche aumentate le accuse pubbliche fra associazioni come la Caritas, la Sant’Egidio la CroceRossa e il comune di Roma per la inadeguatezza del servizio di accoglienza e assistenza di chi vive per strada di qualsiasi origine sia. Gianguido Palumbo di Mondita Associazione su Radio Bullets

In tutta Italia non si sta poi tanto tanto meglio di Roma soprattutto se si è un SenzaTettoNeLegge.

E allora vi ripropongo un’altra strana premonizione letteraria che ho scritto in un’altra città dove ho vissuto per 30 anni ( dal 1971 al 2001 ): Venezia. Ma quella strana città non c’entra con la mia “visione” distopica di allora : probabilmente quella sera di febbraio faceva molto freddo e già diciotto anni fa avvertivo qualcosa di anomalo che si avvicinava nel Tempo e nello Spazio.

Venezia 28 gennaio 2001 ore 22.00

“Era obbligatorio camminare, vivere impassibili accanto alle morti, alle macerie, alle vite disperate, alle nascite precarie, all’indifferenza protratta all’infinito. E in mezzo a quella confusione di dati, di esseri, di esistenze e permanenze, c’era anche il posto per riposare, sognare continuamente alcune noiose utopie. Tutti, assolutamente tutti, subivano il fascino del caos, dell’alternanza di bianchi e colorati, di zero e uno, di entusiasmi e miasmi, di positivi e negativi, come calamite instabili, addossate le une alle altre come cavallette marine, prima di essere divorate da orche innocue. Il sole poteva anche sorgere e tramontare in quel paesaggio inutile, tanto anche la Luna faceva strani percorsi nel cielo scuro, appena stellato intermittente, senza Messia. Era proprio l’aria che tirava a far credere di essere sereni, variabili, gioiosamente provvisori sugli arenili, sui picchi, nei boschi circostanti, fra le pinete malate, lungo le steppe ventose, fra dune e dune marroncine, in mezzo al mare cobalto.

Non si capiva più niente: pioveva e l’acqua evaporava subito, appena dopo nevicava per mezz’ora e la neve si trasformava in sabbia rossa al contatto con il suolo; arrivava il vento gelido e il Ghibli a seguire, un po’ di nebbia ,

quanto bastava per confondere e disorientare, e poi un sole torrido che asciugava i vestiti irrigiditi dopo l’umido. Non c’era più il tempo per cambiare abiti, cappelli, ombrelli, e sui corpi cominciavano a crescere le prime piume: le più comode per affrontare l’acqua, il vento, la sabbia, la neve, il caldo, l’umido, il gelo. Tanti uccelli umani sbattevano le gambe e le braccia piumate, e ognuno si sceglieva colori diversi. Non c’era più bisogno della moda, di vestiti attillati o smodati o trasandati: le piume erano tutto e tutti si beavano di esse, lisciandosi e godendo della mutazione in atto.”

Ma io quella sera prima di scrivere, non avevo nè bevuto, nè fumato. Chissà…

Ciao   da Marco e Gianguido.

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