Sulla mia pelle

Scritto da in data Febbraio 2, 2019

L’ultima volta vi abbiamo raccontato il Nicaragua come cronaca giornalistica, oggi ve lo raccontiamo con la voce Josuè che ha vissuto la violenza della repressione sulla propria pelle. A cura di  Stefania Cingia per Radio Bullets

Due settimane fa vi ho riassunto la storia del Nicaragua e ho tentato di descrivere cosa stava succedendo e perché il paese sia sull’orlo di una guerra civile. Ma com’è ascoltare la storia di uno dei protagonisti delle manifestazioni, una persona che fa parte degli Autoconvocados, e che ci racconta cosa significa vivere nella paura tanto da dover essere costretto a fuggire?

Grazie a un’amica ho contattato Josué, nicaraguense, che ha accettato la richiesta di raccontarci la sua storia.

“Grazie a tutte e tutti, sono molto contento di essere qui e ringrazio per l’opportunità di poter parlare sulla realtà della crisi socio-politica che sta avvenendo in Nicaragua. Vorrei fare un piccolo riassunto di questi nove mesi di lotta e di crisi del mio paese.

La crisi inizia dopo una serie di eventi, quando il 3 aprile la riserva Indio-Maíz comincia a bruciare, una riserva con una percentuale altissima di biodiversità di piante e di animali. Il governo non compie alcuna azione per evitare l’allargarsi dell’incendio e dopo 10 giorni, il 13 aprile, i giovani si rendono conto che stiamo perdendo migliaia di ettari di foresta e il governo del Nicaragua brilla invece per la assenza. Da lì nasce il termine “Autoconvocados”, gli autoconvocati, come ci siamo chiamati noi giovani che stiamo lavorando e stiamo lottando perché si cambi il sistema politico e democratico e si diano le basi perché esista una vera democrazia. Abbiamo utilizzato le reti sociale per autoconvocarci per iniziare delle marce e delle manifestazioni, per chiedere delle azioni concrete; in questo caso, per chiedere risposte concrete per la riserva Indio-Maíz. Questo è l’inizio di tutta la crisi sociale e politica del nostro paese e da qui nasce il termine con cui siamo conosciuti, gli Autoconvocati.

In quei giorni, chi naviga sulle reti sociali vede che qualcosa sta succedendo nel nostro paese, ma soprattutto capisce che il governo non sta facendo nulla. E così inizia la protesta.

Il 16 aprile succede un altro fatto che è come un detonatore, perché vengono applicate delle modifiche arbitrarie all’INSS, Instituto Nicaraguense de Seguridad Social: viene alzata l’età della pensione di cinque anni, da 60 anni a 65. Si applica anche una diminuzione del 5% della pensione, e, infine, si chiede a chi sta già percependo la pensione che doni il 5% della propria busta. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La gente ha cominciato a dire che era troppo, che non era possibile continuare così con le pensioni.

Le proteste continuano a crescere fino al 18 aprile, quando viene convocata una manifestazione a León di anziani pensionati, che sono stati repressi e picchiati da gruppi di giovani vicini al governo. Nello stesso modo, a Managua, gruppi di giovani autoconvocati sfilano nella strada Camino de Oriente, che è una delle vie di ingresso alla città. Si inizia la marcia e di nuovo la forza della repressione del governo, in questo caso della gioventù sandinista, inizia a picchiare i giovani che stanno manifestando pacificamente per la cancellazione della riforma delle pensioni sociali. I giovani dei gruppi sandinisti picchiano i giornalisti e rubano loro le attrezzature. I canali di comunicazione come 100%Noticias e altri canali indipendenti vengono tolti dalla diretta e i notiziari delle tv via cavo non vanno in onda. Questo perché non si voleva far sapere cosa stava succedendo in quel momento al Camino de Oriente. I giovani si spostano quindi all’Università Centro Americana, e di nuovo la forza delle repressione del governo arriva e picchia chi stava nell’università.

Il 19 aprile c’è stato il primo morto per mano della polizia, ma anche i poliziotti sono morti per colpa del fuoco incrociato che avviene in quei giorni di protesta. Da qui, ci sono una serie di eventi: il 20 aprile muore un ragazzo di 15 anni, Alvaro Corrao, e altri 20 giovani vengono assassinati. Il 21 di aprile moure Ángel Gahona, un giornalista che stava filmando la protesta quando un poliziotto gli spara in diretta.

In diverse parti del paese si realizzano le barricate, chiusura delle strade e ostacoli al transito, per fare pressione sul governo, perché capisse che non era più una protesta contro l’INSS, ma che quello che chiedevamo era un cambio di governo. Volevamo che il sistema politico e democratico tornasse quello che era prima, non vogliamo che sia viziato come adesso, dove il potere giuridico, esecutivo ed elettorale stanno nelle mani di una sola persona che è il presidente.

In quei giorni ci sono diverse barricate in tutto il paese e il 16 maggio inizia il dialogo nazionale, cioè fare in modo che il governo se ne vada in modo pacifico, però non è stato così. C’è stata una marcia il 30 maggio che è stata molto pesante per noi, perché è stata una delle più grandi della storia del Nicaragua, e alla fine della marcia siamo stati attaccati dalla polizia e dai gruppi di repressione del governo. Sono morti 18 compagni, assassinati con proiettili di H47 che furono sparati direttamente dalla polizia.

L’escalation di violenza prosegue fino al 15 luglio, quando ci fu “l’operazione pulizia”, organizzata direttamente dal governo in cui gruppi di polizia e di paramilitari lavorarono insieme per togliere le barricate, portando armi pesanti come gli H47, pistole, e altro, contro un popolo che solo aveva fuochi artificiali artigianali utilizzati perché la polizia non entrasse.

Questo era quello che succedeva in tutto il Nicaragua: la polizia e i gruppi paramilitari pulirono le barricate però le pulirono come se fosse una guerra: attaccarono e uccisero, e assassinarono tantissime persone.

Dopo è arrivato il governo, dichiarando che tutte le persone che stavano contro il governo erano terroriste, erano assassini, erano persone che non amano il proprio paese. Si proclama la legge dell’antiterrorismo, che ora è come una legge per accusare tutte le persone che stanno contro il governo. Abbiamo più di 600 prigionieri politici e tra loro molti miei amici. Più di 30.000 rifugiati in altri paesi perché sono perseguitati politici, come me, e non possiamo tornare perché bene che ci va ci mettono in prigione e ci torturano perché quello che vogliono in realtà e che scompariamo.

Anche questo fa parte della repressione del governo che fa sì che le persone contro il governo e contro la corruzione di questi anni, ci obbligano a lasciare il paese, molti molti di loro partono solo con la camicia o quello che hanno addosso. Alcuni hanno fortuna e sono vivi, altri no. Così è l’esilio.

Questo è quello che sta succedendo con la repressione, che fuggi dal tuo paese per salvarti la tua vita.

Ora siamo in un’altra fase, in cui si prendono di mira i giornalisti, si discriminano, si criminalizzano. Hanno chiuso mezzi di informazione indipendente come 100%Noticias, che è stato chiuso e il direttore Miguel Mora e la caporedattrice Lucía Pineda sono prigionieri in questo momento, non li lasciano incontrare le proprie famiglie. Se non ci fosse stato un messaggio WhatsApp mandato a una trasmissione in cui Lucía diceva che era prigioniera, non avremmo saputo niente di lei. Loro due sono giornalisti all’avanguardia ed erano veramente oggettivi nel raccontare le situazioni.

Hanno chiuso tante organizzazioni non governative, tra loro il CENIDH, il Centro Nicaraguense dei Diritti Umani, e hanno penalizzato la sua direttrice, dicendo che stava appoggiando i terroristi con le armi.

Hanno chiuso Cinco di Carlo Fernando Chamorro, hanno distrutto gli uffici del periodico Confidencial e di Esta Semana, di Chamorro anche questi, e si sta dando la caccia ai giornalisti indipendenti: molti di questi sono fuggiti dal paese per questo. Anche il periodico La Prensa, che è il giornale più venduto del Nicaragua, sta soffrendo la censura. Il 18 gennaio è uscito con la prima pagina in bianco come simbolo del fatto che stanno lasciando i giornali senza inchiostro perché non hanno permesso che tutto il materiale che serve per la stampa sia preso dalle dogane. Questo per evitare che proseguano con il racconto di quello che sta succedendo.

Dal 19 aprile a oggi abbiamo vissuto nove mesi di repressione, persecuzione, incarceramento ingiusto, assassinii, bambini morti, come quelli bruciati dai gruppi paramilitari insieme alla loro famiglia nel quartiere Carlo Marx di Managua.

Questo è quello che è successo e sta succedendo in Nicaragua, questo è quello che viviamo. Secondo i dati, sono stati persi 350.000 posti di lavoro nel turismo e nel commercio, 143.000 persone soffrono la povertà, più di mille feriti e, secondo i dati del governo, 340 persone golpiste morte, ma sono più di 500, comprese quelle scomparse.

Questa è la cruda realtà che abbiamo vissuto in questi mesi. Io e i miei compagni abbiamo tentato di appoggiare la causa, ma per sicurezza abbiamo dovuto scappare dal paese.

Per saperne di più

Nicaragua: sull’orlo della guerra civile

Venezuela: Economia all’angolo

El Salvador: Suicidio Femminicida


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