Sull’orlo della guerra civile

Scritto da in data Gennaio 20, 2019

Dopo dodici anni di governo – o di regime? – la popolazione del Nicaragua manifesta nelle strade chiedendo le dimissioni di Ortega ed elezioni anticipate. La risposta del governo? Non è delle più pacifiche, tanto che la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ha dichiarato che il governo del Nicaragua deve essere accusato di crimini contro l’umanità.

A cura di Stefania Cingia per Radio Bullets.

Oggi sarò lunga, ma ne varrà la pena.

Quando non sai da dove cominciare, c’è una sola cosa da fare: partire dal principio. E visto che questo è anche il primo podcast dell’anno, non c’è occasione migliore.

Il suo nome porta all’interno la parola “agua”, acqua in spagnolo, e secondo alcuni il significato è proprio “circondato da acqua”. Secondo altri, il suo nome sarebbe l’unione di agua e di Nicarao, nome di un capo locale ai tempi delle scoperte spagnole.

Stiamo parlando del Nicaragua, il più grande paese del Centro America e repubblica democratica rappresentativa. Lo sottolineo perché poi ci torniamo.

Nel XVI secolo il Nicaragua subisce la colonizzazione spagnola, in seguito nel 1821 passa sotto il controllo dell’Impero Messicano. Nel 1838 raggiunge l’indipendenza, nel 1912 viene occupato dagli americani e nel 1933 raggiunge la libertà grazie alla rivoluzione nazionalista guidata dal generale Augusto Sandino (sandiniano è un aggettivo che torna spesso quando si studia il Nicaragua). Dal 1936 al 1979 vive la dittatura di Somoza, rovesciata dalla guerra civile del Fronte sandinista di liberazione nazionale. Gli americani ci mettono lo zampino sostenendo la guerriglia anticomunista fino al 1988. Alle elezioni del 1990 si afferma una coalizione antisandinista. Nel 2006 il potere torna al Fronte sandinista con Daniel Ortega, tutt’ora presidente del Nicaragua. L’abbiamo chiamata repubblica democratica rappresentativa, tuttavia Ortega ha attuato una politica di rafforzamento dei poteri del capo dello stato, modificando la Costituzione del 1987 ed eliminando il vincolo che limitava i due mandati presidenziali consecutivi di cinque anni ciascuno. Così facendo ha dato una svolta conservativa al suo regime.

Non voglio dilungarmi oltre, ma il riassunto storico è importante per capire la situazione gravissima che vive oggi il Nicaragua. E la situazione attuale è che a giugno 2018 la polizia e gruppi paramilitari hanno incendiato la casa della famiglia Pavón a Managua con le persone dentro, tra cui due bambini piccoli, uno di soli cinque mesi, perché hanno dato un posto dove dormire agli studenti universitari che manifestavano. Il video (qui il link https://100noticias.com.ni/videos/740-evidencias-contundentes-prueban-que-policias-paramilitares-quemaron-familia/) è esplicativo.

Cosa è successo e perché oggi il Nicaragua è sull’orlo di una guerra civile?

Tutto è iniziato lo scorso aprile, a seguito di tre fatti che hanno smosso la coscienza dei giovani nicaraguensi.

Il Nicaragua è il paese meno interconnesso dell’America Centrale e la forbice tra chi può accedere a Internet e chi no è la più ampia della regione. Nel 2008 la compagnia telefonica nicaraguense ENITEL ha cominciato a offrire la connessione via telefono nella capitale Managua. Nel 2014 c’è stato il boom delle reti sociali, quando il governo capì che era importante agganciare i giovani a Internet. A seguito di questa consapevolezza, il governo cominciò la così detta “strategia di comunicazione virtuale nei parchi”: il wi-li libero e gratuito fu installato nei parchi di Managua e poi nei maggiori parchi delle città. Fu un successo, perché la tecnologia era accessibile a tutti, soprattutto ai giovani che avevano il telefono cellulare, ma non avevano abbastanza denaro per installare Internet in casa.

Ma questa strategia, forse non completamente innocente perché comunque distraeva i giovani dal partecipare a qualsiasi protesta sociale, fu un boomerang allucinante per il governo. Un anno prima, nel 2013, attraverso la prima mobilitazione virtuale, i giovani universitari si erano organizzati per manifestare nelle strade a fianco di un gruppo di anziani e anziane che non avevano potuto ritirare la pensione settimanale. Con l’hashtag #OcupaINSS, dove INSS sta per Instituto Nicaraguense de Seguridad Social, la protesta pacifica cresceva. Già allora il governo decise di soffocarla con la violenza e la protesta venne etichettata come “una cospirazione della destra”. I giovani smisero di protestare e tornarono a casa.

Lasciamo gli anziani (ci torniamo tra pochissimo) e andiamo al 3 aprile 2018 quando un incendio enorme minaccia la Riserva Biológica Indio-Maíz. La moglie del presidente Ortega, la vicepresidente Murillo (un governo di famiglia, insomma) minimizzò l’incendio e il governo non si mosse fino al 6 aprile. Si mossero però i giovani, di nuovo incontrandosi virtualmente sulle reti sociali con l’hashtag #SOSIndioMaíz, e realmente nell’atrio dell’Università Centro Americana (UCA). Il governo intanto si attardava a richiedere l’aiuto internazionale, rifiutava i pompieri offerti dal vicino Costa Rica, militarizzava la zona e impediva ai giornalisti e agli ambientalisti di entrare nella riserva. Arrivò perfino a minacciare la Fundación del Río, organizzazione nazionale che per prima ha dato l’allarme, di toglierle la personalità giuridica per renderle impossibile operare. I protestanti continuavano a crescere di numero, e non si incontravano più solo all’università, ma cominciarono a sfilare per le strade di Managua chiedendo a gran voce notizie sull’incendio. Ma la natura è grande e la provvidenza di più, e il 13 aprile un diluvio spense le fiamme. Il governo disse che si era perso fortunatamente solo il 2% della riserva, gli scienziati affermarono invece che quella era la peggiore catastrofe ecologica del paese.

Dalla rete, che fa da collante alle ragioni delle proteste, agli anziani, all’incendio e di nuovo agli anziani. Lunedì 16 aprile 2018 il presidente della INSS annunciava la riforma delle pensioni per evitare il collasso finanziario dell’ente. La crisi delle pensioni non era data solo dall’invecchiamento della popolazione, ma soprattutto dalla corruzione del governo. Siccome la previdenza non avrebbe potuto andare oltre al pagamento delle pensioni alla fine del 2018, il governo avrebbe alzato le tasse ai lavoratori, agli impiegati, ai pensionati si sarebbe abbassata la pensione del 5% e ai nuovi pensionati del 10%.

Il 18 aprile i giovani tornarono nelle piazze e nelle strade di Managua e di León e da allora la polizia e i gruppi paramilitari reprimono con la violenza ogni tentativo di opposizione. I nicaraguensi chiedono le dimissioni immediate di Ortega, il cui mandato scade nel 2021, ed elezioni anticipate. Il presidente rifiuta e la Chiesa cattolica, molto influente nella regione, si è proposta come mediatrice, ma senza risultato. Talmente è forte il credo religioso che i manifestanti marciano scandendo i versetti della Bibbia.

La repressione violenta lasciò almeno 109 morti, più di 1400 feriti e 690 detenuti tra il 18 aprile e il 30 maggio. La maggior parte delle morti in questi 42 giorni sono state causate da armi da fuoco usate durante le cariche della polizia e dei gruppi paramilitari.

Come è uscita questa notizia dal Nicaragua? A maggio la Commissione Interamericana dei Diritti Umani della Organizzazione degli Stati Americani (OEA) decideva di visitare il Nicaragua per redigere un rapporto sulla situazione del paese e dare le prime raccomandazioni concrete allo stato. Il rapporto diviene pubblico (allego il report completo http://www.oas.org/es/cidh/informes/pdfs/Nicaragua2018-es.pdf), e il gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (sigla GIEI) che lo ha scritto conclude che il governo di Ortega debba essere giudicato per “crimini contro l’umanità”.

Il 19 dicembre 2018 in un comunicato stampa, la Commissione Interamericana dei Diritti Umani avverte che lo Stato del Nicaragua sospende la presenza degli esperti nel paese a partire da quella data. In pratica, il governo ha lasciato alla commissione 24 ore per lasciare il Nicaragua.

Oggi il Nicaragua vive in uno stato di crisi, con centinaia di persone che stanno fuggendo verso i paesi limitrofi, i giornali vengono chiusi e i giornalisti arrestati, il Papa lancia appelli, ma chi governa il paese non ha orecchie per sentire.

Ci risentiamo qui, su El Regreso de América Latina, per aggiornamenti sulla situazione del Nicaragua e altri approfondimenti su questa parte di continente che spesso viene dimenticato.

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