Chiedilo a ragazze e ragazzi trans – Ep. 5
Scritto da Radio Bullets in data Maggio 21, 2021
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Di Jessica Panizza.
«Andare a fare la spesa, alle poste o in banca, è difficile perché devi confrontarti con tremila sguardi di persone che cercano di capire chi sei, di immaginare perché tu abbia scelto una cosa simile o più semplicemente perché sono sdegnate e non vogliono trovarsi nello stesso posto insieme a te».
Naomi
A raccontarlo a Jessica Panizza nel nuovo episodio di “Chiedilo a l*i” è Naomi, giovane donna trans testimone di quotidiani atti di discriminazione ed esclusione che avvengono ogni giorno in Italia.
Il lavoro? «È veramente difficile − racconta − perché i datori prima di assumerti pensano alle lamentele dei clienti, visto che alcuni potrebbero decidere di non frequentare più quel negozio. E tutto questo perché purtroppo in Italia le ragazze trans sono viste come prostitute».
Lo stigma e il giudizio insegue chi affronta un percorso di transizione fin dentro la vita privata.
«Per noi è difficile trovare un ragazzo che voglia esporsi − spiega Naomi −. Preferisce magari vivere una relazione segreta, senza mai fare una vacanza, un giro al supermercato prima di cucinare insieme perché ha paura del giudizio delle persone».
Nel contesto sociale caratterizzato da paure, discriminazioni, pregiudizi e fobie, raccontato dalle voci di chi ha deciso d’intraprendere un percorso di transizione nel nuovo episodio di “Chiedilo a l*i”, il linguaggio diventa il pungolo di una situazione identitaria che viene negata continuamente da chi si ha attorno.
Manuel
E questo anche per chi è un po’ più fortunato perché non viene avversato dalla famiglia. Manuel, 28 anni, dopo essere stato ricevuto dal “Servizio di adeguamento tra identità fisica e identità psichica” del San Camillo, ha scritto una lettera ai suoi per raccontare la verità.
«Son rimasti scossi, sorpresi, però mio padre mi ha detto che prima o poi se lo sarebbe aspettato da me − dice −. Ma con la mia famiglia è ancora tosta: non riescono a darmi al maschile. Mia madre non ne parla proprio, perché non riesce a metabolizzarlo ancora. Mi sostiene, mi vuol bene − chiarisce − ma non riesce proprio minimamente adesso a pensare di potermi dare al maschile. Questa cosa mi fa stare male e quindi mi sono allontanato dai miei».
Un semplice pronome e una desinenza maschile o femminile possono creare difficoltà relazionali e ulteriori sofferenze, anche se modificare il proprio linguaggio e le proprie abitudini linguistiche può essere difficile.
Il primo a giustificare chi fa fatica è proprio Manuel, che in giovane età sta vivendo un difficile percorso di transizione da solo e che, presentandosi al maschile, trova di fronte a sé un muro di persone che continuano a sbagliare il suo nome. Ma usando pronomi al femminile le persone non fanno altro che negare una verità che a lui è costata 28 anni di chiusura e auto negazione della propria identità.
Per comprendere e smettere di sbagliare, il podcast “Chiedilo a l*i. Dal linguaggio alla discriminazione è un attimo. A caccia di domande giuste sulla identità di genere”, propone un viaggio tra le storie di chi vive in prima persona un percorso di transizione e dà la parola a chi ha il diritto di chiedere maggiore attenzione e sensibilità, perché è il soggetto che vive sulla sua pelle ogni giorno quotidiani atti di discriminazione. Perché al di là delle polemiche sul linguaggio e delle querelle accademiche e linguistiche sullo schwa o su altri sistemi per ovviare al problema linguistico, ci sia sempre la consapevolezza del perché è richiesta a tutt* una maggiore capacità di comprensione e di empatia nei confronti di una realtà che può riguardare chiunque ci è attorno.
E a dire molto di più di quanto possano fare gli esperti, talvolta è una persona molto giovane come quella che su Instagram ha scritto: «Sogno di sentirmi chiamare finalmente con il mio nome dalla mia famiglia, sogno di non dover più sentire quel nome, di non dover più sopportare tutto questo restando in silenzio. Di smettere di guardare tutto ciò come se non mi riguardasse mentre intanto, ogni volta, qualcosa dentro di me si rompe in mille pezzi. Smettere di nascondermi, mentre intanto una parte di me pian piano scompare. Sogno di smettere di annullare me stesso. Sogno di nascere. Sogno di cominciare a esistere anche io. Ti prego 2021, regalami il mio nome».
Nato all’interno dell’aula del laboratorio di Lingua, linguistica e giornalismo tenuto da Angela Zurzolo presso la SSML San Domenico di Roma, al podcast hanno lavorato le studentesse under 21 del corso universitario in Traduzione e mediazione linguistica: Martina Zimpi, Jessica Panizza, Lucrezia Fasano, Alice Petri e Fabiola Perotti.
Si tratta di un approccio nuovo ai temi della linguistica e della sociolinguistica per i giovani, e contemporaneamente anche alla sperimentazione di strumenti propri del giornalismo. È un piccolo esperimento che ha coinvolto gruppi di giovanissimi e giovanissime su temi molto difficili quali, nel caso di “Chiedilo a l*i”, questioni di genere sulle quali vi è ancora adesso un dibattito acceso e aperto e che con il DDL Zan stanno diventando oggetto di polemica ma anche di attenzione. L’approccio scelto autonomamente dalle studentesse ai contenuti è quello del femminismo intersezionale e della sociolinguistica, il metodo è quello giornalistico ma non accademico (non a caso le audio interviste sono state prezioso strumento di apprendimento, confronto e riflessione per il gruppo). Pur trattandosi di primi appunti di chi si è avvicinato alla materia da poco, nel podcast “Chiedilo a l*i” ci sono, ad arricchire e spesso a confermare l’autenticità delle riflessioni delle studentesse: la sociolinguista Vera Gheno, che ha proposto l’uso dello schwa per rendere inclusivo il linguaggio; Alessandro Fusacchia, deputato che ha presentato un ddl per promuovere la parità di genere nei testi scolastici; Arianna Rogialli, consulente in materia di sessuologia ed educazione sessuale; le testimonianze di due giovani che hanno subito episodi di discriminazione; le voci di coloro che hanno partecipato al minisondaggio “Una società paritaria per un giorno”, e altri esperti.
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