Egitto: la liberazione di Zaki e l’inverno dei diritti umani
Scritto da Laura Ghiandoni in data Dicembre 9, 2021
Quasi 2 anni, 22 mesi di detenzione, 669 giorni di cella per aver pubblicato le proprie idee su Facebook.
Post a difesa dei diritti umani nel suo paese, che − secondo il governo egiziano di Abdel Fattah al-Sisi − rappresenterebbero propaganda sovversiva, minaccia alla sicurezza nazionale, diffusione di notizie false «volte a rovesciare il regime».
L’udienza del 7 dicembre − durata solo quattro minuti − ha restituito a Patrick Zaki, giovane studente dell’Alma Mater di Bologna, alcuni giorni di libertà dal carcere di Mansoura, situato nella parte settentrionale del paese, vicino al Delta del Nilo, dove lo stesso Zaki è nato. La sentenza, seppur positiva, non ha concesso al trentenne l’assoluzione perché i crimini di cui è imputato verranno valutati nella prossima udienza, fissata per il primo febbraio 2022. Intanto si accende la speranza della famiglia del ricercatore e dei tanti sostenitori italiani che finora hanno lottato per chiederne la liberazione.
Il caso
Patrick Zaki è stato arrestato dai servizi segreti egiziani il 7 febbraio 2020, dopo aver collaborato con l’organizzazione per i diritti umani “Egyptian Initiative for Personal Rights” (Eipr) pubblicando alcuni post su Facebook e alcuni articoli. L’arresto è avvenuto quando è rientrato in patria per visitare la famiglia.
Una storia in cui l’Italia ha avuto un ruolo di primo piano tanto che George Zaki, il padre del ragazzo, ha ringraziato gli stessi diplomatici italiani presenti all’udienza per il lavoro svolto. Una vicenda che, sebbene abbia suscitato un piccolo slancio democratico nel nostro paese, è scivolata come una goccia d’acqua nel deserto egiziano dei diritti. Terra arida di risposte anche per il ricercatore scomparso e ucciso, Giulio Regeni, e per altri 60.000 prigionieri politici oggi nelle carceri egiziane.
La repressione della dissidenza
Nel paese delle piramidi è di fresca memoria l’alzata di capo anti-democratica del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi il quale, parlando al vertice dei paesi del gruppo di Visegrad a Budapest solo due mesi fa, ha lanciato un monito all’Europa indicando che l’Egitto non si piegherà ad alcun “diktat” circa il rispetto dei diritti umani.
Del resto lo scarso interesse è evidente nell’ultimo report dell’organizzazione Amnesty International che racconta gli ultimi due anni di governo come un impietoso susseguirsi di arresti preventivi: giornalisti, attivisti, blogger incarcerati, torturati e fatti sparire.
Secondo il rapporto, migliaia di persone sono tutt’ora detenute in condizioni inumane, senza medicine e a rischio della propria vita. Alcune donne sarebbero state perseguite dal governo per «reati contro la morale» solo per essersi vestite all’occidentale. In alcuni casi è stata impugnata l’accusa di terrorismo, senza nessun tipo di verifica.
Negli ultimi anni l’escalation di repressione è continuata, trainata dal governo in risposta alla libertà diffusa dall’utilizzo dei social. Il governo ha ridotto drasticamente le libertà sia d’espressione che di riunione, incarcerando dirigenti e blogger, sindacalisti e politici. Sono seguiti agli arresti e alle sparizioni incidenti evitabili legati alle pessime condizioni delle carceri che hanno portato alla morte di 35 persone.
Tra i nomi degli attivisti per cui si continua a lottare, oggi in carcere, figurano il direttore dell’Istituto de Il Cairo per gli studi sui diritti umani Bahey el-Din Hassan, il giornalista imvestigativo Hossam Bahgat, Zyad el-Elaimy, Abdelmoniem Abouelfotoh, Ramy Shaath, Alaa Abdelfattah e il difensore dei diritti umani Mohamed el-Baqer. Anche il politico Zyad el-Elaimy, ex parlamentare e dirigente di un partito d’opposizione, è stato incarcerato solo per aver rilasciato un’intervista sul tema dei diritti umani. Come lui molti altri che, dopo la primavera araba, non hanno mai visto lo sbocciare dei diritti umani ma solo il perdurare di un eterno inverno.
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