Entrare in Venezuela

Scritto da in data Gennaio 27, 2019

CARACAS – Appena l’aereo atterra e lo sportello si apre sul finger, la prima aria venezuelana che si respira è umida e calda. La pelle si distende, le gambe si sgranchiscono, il calore abbraccia, la gente sbarca con i propri pensieri. Il signore che ha trascorso 10 ore accanto a me, sta tornando dopo aver passato alcuni mesi nella sua terra di origine, la Sicilia e aver detto addio alla mamma che avrebbe tanto voluto tornare in quel paese che ha accolto una marea di italiani negli anni 50 quando la guerra, come sempre succede, spingeva la gente a cercare fortuna altrove.

E poi gli anni passano in un soffio e il Venezuela che ognuna delle persone emigrate che incontro, sente di aver contribuito a costruire, oggi fa inumidire gli occhi di chi lo conosce. Anche per Salvatore che non ne può più di quello che sta accadendo.

E’ gentile come sono i venezuelani, con un giubbotto di pelle nera e le mani indurite dal lavoro, non sa veramente perché sto andando in Venezuela, non lo voglio dire fino a che sono dentro, perché oggi è diventato difficile per un giornalista entrare in un paese dove qualcuno ancora vuole che si dica che va tutto bene, che si sta esagerando, che gli americani stanno orchestrando tutto questo casino. Ma il Venezuela non va guardato per quello che sembra o per quello che avremmo voluto restando incastrati nella maglie delle ideologie politiche che hanno fili che sembrano sbarre e non lasciano vedere le cose per quello che sono.

Per raccontare un posto diverso, forse bisognerebbe lasciare a casa quello che si pensa o si crede e descrivere solo quello che si vede, quello che si sente, quello che accade. Quando accendo il telefonino e mi attacco come una sanguisuga al wifi dell’aeroporto, trovo decine di messaggini di whatsapp, alcuni sono preoccupanti, non hanno fatto entrare diversi colleghi, anche alcuni operatori umanitari: quelli che non convincono il ragazzetto del controllo passaporto, dopo 10 ore di aereo, se ne torna a casa.
Non resta che inscenare una storia e con il cuore che batte a mille, credere che sia vera. Il poliziotto sfoglia il mio passaporto e trova il visto afgano e io che ci ho pensato per ore in cielo, ho già preparato una ragione incontestabile del mio motivo di essere stata in Afghanistan.

Qui il podcast con il notiziario di oggi.

Non devo sembrare una giornalista o una operatrice umanitaria o una persona sospetta. E quando mi dice “Benvenuta in Venezuela”, e mi riconsegna il passaporto, il cuore riprende a battermi. Il grosso è fatto, ora non resta che raccontare e cercare di capire giorno per giorno, non solo quello che sta accadendo ma come sia stato possibile arrivare a questo punto. Un paese sdraiato, dove si muore senza cure, dove il mangiare costa troppo, dove lo stipendio medio è di due dollari e uno yogurt ne costa uno. Perché effettivamente è una storia difficile da spiegare, come lo sono tutte quando ci sono tante cose tutte insieme, politica, diritti, giustizia, libertà, dittatura, destra, sinistra, elezioni, presidenti. E quando ci sono tanti interessi e quando quello che dici può essere contestato perché sembra che la verità non sia così importante, ma piuttosto quello che si crede o si vuol far credere.

Da dove cominciare allora a spiegare il Venezuela senza cadere nelle trappole che sono state accuratamente piazzate da chi vuole che si segua un sentiero piuttosto che un altro? Ci si affida alla gente, agli esperti, anche alle sensazioni se necessario. Salgo sulla macchina della persona che è venuta a prendermi, mi sorride e invidio l’accoglienza della gente, sembra che siano davvero felici di vederti anche se fino ad un minuto prima non ti conoscevano. Ti baciano e abbracciano in un modo così spontaneo che io non sono abituata dopo 20 anni di Medio Oriente, quindi sembro un po’ scema, rigida come uno stoccafisso nel deserto.

E così avete due presidenti, esordisco. “E già – mi risponde Luis simpaticamente – siamo un paese ricco, abbiamo anche due parlamenti, così uno può scegliere, mi chiedo solo se adesso si possano avere anche due donne”. Comincia con una battuta il mio viaggio in Venezuela conscia che serve tutta l’ironia che trovo per guardare quel bambino con la maglia sbrindellata che rovista in un cassonetto, o quella signora anziana che quasi non si regge in piedi a neanche metà di una lunga fila di persone al bancomat dove al massimo si ritirano 2 dollari in valuta locale. Anche al supermercato c’è un massimale giornaliero.

Sono in una casa gigantesca, con una vista meravigliosa, ha perfino una postazione bar, ma l’arredamento è incastrato negli anni 90 come se il tempo si fosse fermato a quando andava ancora tutto bene, quando il Venezuela era un posto pericoloso, lo è sempre stato per la criminalità, ma pieno di donne bellissime, feste, musica, dove si girava coi suv, dove i poveri tutti sapevano che stavano nel barrio e i ricchi avevano tutto quello che volevano. Maledetto petrolio che distrugge tutti i paesi e popoli che ci galleggiano sopra.

E allora che cosa sta succedendo qui? Dittatura o montatura? Sinistra in declino o imperialisti all’arrembaggio? Esagerati o propagandisti?

Per cominciare a dipanare la matassa fatta di sfilo spinato dove ferirsi è un attimo, bisogna aspettare il prossimo episodio, entrare nella bellissima casa di Luis Vincente Leòn, un noto economista e direttore di Data analisi, la più grande compagnia di sondaggi del paese, che vorrei che freddamente ci spiegasse il paese oggi. Ma Luis è tutto tranne che un freddo analista, mi bacia ancora prima di conoscermi e mi spalanca il suo studio pieno di gusto ed energia. Ma questa è la prossima storia.

Barbara Schiavulli da Caracas per Radio Bullets

 

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Opinioni dei Lettori
  1. Flavia Di Pasquale   On   Gennaio 27, 2019 at 3:12 pm

    Barbara grazie e come diciamo in Venezuela “Dios te bendiga y proteja”
    Flavia Ali PE

  2. Peggy Boada   On   Gennaio 27, 2019 at 5:15 pm

    Sei bravissima Barbara! Dío ti benedica di cuore. Appena torni dal mio paese ci mangiamo unos tequeños!!! Hahahaha
    Molto fiera di te!

  3. Evila   On   Gennaio 27, 2019 at 6:54 pm

    Non vedo l’ora di leggere il prossimo articolo. Grazie Barbara, sei i nostri occhi e il nostro cuore. Dios te bendiga y proteja. Evila

  4. Isabella Bolech   On   Gennaio 28, 2019 at 11:28 am

    Brava. Mente aperta, con la capacità di lasciare stravolgere gli schemi mentali. Comunque take care.

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