Il Charlie Chaplin dell’Afghanistan

Scritto da in data Ottobre 24, 2018

Afghanistan – C’è Charlie Chaplin a Kabul, un ragazzo con la bombetta e il bastone che strappa sorrisi alla gente. Ogni risata è un colpo ai talebani che non amano gli artisti. Esibirsi è sempre un rischio, ma cultura sconfiggerà il male. Siamo andati a uno dei suoi spettacoli a Kabul, con gli studenti che lo hanno guardato rapiti e divertiti. Barbara Schiavulli da Kabul per Radio Bullets

Photo Credits: Faiz Ahmad Sidaq

C’è qualcosa di magico e potente nella risata. Qualcosa di curativo, qualcosa di esplosivo, qualcosa di sincero. E’ qualcosa che ti viene da dentro e non puoi fermarla. Non è facile ridere in Afghanistan da tanto tempo. Non che gli afgani non siano un popolo allegro, ogni occasione è buona per strappare un sorriso. Ma dietro ad ogni volto c’è la guerra, c’è la paura, c’è la continua insicurezza di quello che riserva il domani. C’è la fatica di una vita complicata che non fa eccezioni, che tu sia donna o uomo, bambino o anziano.

Non c’è molto per divertirsi se sei in Afghanistan, soprattutto se sei donna, ma anche gli uomini non è che abbiano molto da fare: Il biliardo, il bowling, il ristorante, i picnic d’estate, i film in televisione, qualche serata con gli amici. C’è un cinema ma solo per uomini, c’è un teatro nazionale, ma è chiuso, non ci sono concerti, i cantanti famosi afgani vanno all’estero o producono all’estero. Ci sono i matrimoni, ci sono delle occasioni familiari. Eppure se si gratta sotto la superficie esiste una società culturale, ci sono artisti a Kabul, ci sono attori, poeti, registi, pittori, scrittori, giornalisti e filosofi. Vivono una vita parallela fuori dai circuiti ufficiali, spuntando di tanto intanto e ricordando che l’Afghanistan non è solo bombe, non è solo talebani, non è solo un paese in guerra da quarant’anni.

Karim Asir è un attore. Ha solo 25 anni ma ha le idee chiare. Se fosse in paese normale adesso solcherebbe i palcoscenici e vivrebbe la fatica di tutti gli attori di crearsi una strada. Essendo un attore afgano non deve solo emergere, deve anche restare vivo. I talebani o i radicali qualsivoglia lo hanno minacciato, qualcuno gli ha tirato una pietra mentre camminava, dice che la sua fortuna è che per ora ancora non lo riconoscono per la strada, ma non nega di avere paura. Si è trovato sul luogo di un attentato mentre assisteva alla performance di suoi amici, fatica a raccontarlo, eppure non molla, così come ogni giovane afgano o afgana che esce dagli schemi di una tradizione che ancora impregna la vita di tutti.

Durante il regime dei talebani (1994 -2001) i suoi sono scappati in Iran, dove Karim è nato ed è andato a scuola: “La mia era una famiglia molto tradizionale, da piccolo non mi piacevano i cartoni, preferivo i video divertenti. Davano gli sketch di Charlie Chaplin e mi divertivo un sacco. Poi sono cresciuto, a scuola avevamo un corso di teatro e l’insegnate ha capito subito che sarei stato un buon attore”. Con la caduta del regime, la famiglia di Karim torna in Afghanistan, aveva 13 anni e nella nuova scuola ha messo su un gruppo di teatro tra i compagni che non sapevano neanche cosa fosse il teatro. Poi è andato all’università a studiare arte, nonostante i suoi non fossero affatto d’accordo, come vorrebbe ogni genitore tradizionale: un figlio che studia deve diventare dottore, ingegnere, avvocato. Ma Karim amava il teatro, amava esibirsi, amava entrare nei personaggi. Un giorno per caso un suo professore lo rimprovera in corridoio e gli dice di non camminare come Charlie Chaplin. Erano trascorsi anni da quando ci pensava e quel rimprovero diventa la sua illuminazione. Ci ha messo un anno per vestire gli abiti del suo personaggio preferito. Ma era perfetto per lui. Charlie Chaplin è entrato lui. “Non mi sono truccato e vestito fino a quando non mi sono sentito pronto. 12 mesi”, poi quando è arrivato al trucco e il suo insegnante gli ha disegnato i baffi, lui è piombato in un silenzio che ancora non si spiega. “Non ero più io, ero Charlie, quando mi disegnano i baffi non riesco più a parlare, divento muto e sono lui”.

Karim Asir, photo Barbara Schiavulli

Charlie Chaplin è conosciuto in tutto il mondo perfino in Afghanistan, la malinconia del suo sorriso, i suoi gesti, la dolcezza ingenua che combatte contro i soprusi è una cosa molto comprensibile per gli afgani, si riconoscono in qualche modo. Ed essendo un personaggio del cinema muto è comprensibile per chiunque. Karim insieme al suo insegnante e ai suoi amici attori hanno messo su un gruppo che si chiama Parwana, fanno spettacoli ovunque che sia in strada, nei parchi, nelle organizzazioni, nelle scuole, hanno messo su degli spettacoli a scopo educativo che riguardano il mantenere una città pulita o come comportarsi e anche se sanno che può essere rischioso, non possono farne a meno. I sorrisi contagiano ed essere in grado di donarli è una droga che ripaga di ogni fatica. “Ridere è importante per tutti, e qui in particolare dove ogni giorno ci sono brutte notizie. Bisogna avere una ragione per sorridere, perché è necessario per vivere, se io riesco anche solo per dieci minuti a far dimenticare alla gente dove si trova, io ho vinto, io ho sconfitto i talebani anche se solo per 10 minuti.

E’ un dono quello di far sorridere, “è bello sapere di essene capace, quando salgo sul palco, mi guardano e vedono Charlie Chaplin, la gente ride, e non chiediamo niente in cambio”.  Oggi abbiamo assistito al suo spettacolo in una scuola piena di ragazzi che ridevano, applaudivano, e poi volevano tutti farsi una foto con lui, ragazzi e ragazze. Sembrava tutto così eccezionalmente normale.

 Photo di Barbara Schiavulli Photo di Faiz Ahmad Sidaq

Nel corso della sua ancora giovane carriera, ha fatto anche altri personaggi, ma Charlie Chaplin gli si è incollato addosso, è una cosa che Karim sente tutta sua e che nessuno può toglierli. Sa che farà anche altre cose, che indosserà altri abiti, ma Charlie è come un gemello che vuole uscire. “Facciamo teatro di strada, siamo stati in 14 province. Certo che è pericoloso, ma questo è il nostro impegno verso la cultura, abbiamo studiato, abbiamo faticato, e non permetteremo a qualche analfabeta di portarci via la nostra passione. La gente deve sapere che la cultura esiste e che può cambiare il mondo”. La prima battaglia l’ha vinta con i suoi. I suoi video hanno avuto due milioni di visualizzazioni, ma i suoi genitori non lo avevano mai visto e non approvavano e forse non capivano che faceva l’attore. Un giorno è andato a casa e li ha convinti a guardare il video, truccato da Charlie Chaplin non l’hanno riconosciuto ma si sono divertiti come matti. Poi gli ha detto “Sono io”. Come sei tu? “Sono il Charlie Chaplin dell’Afghansitan”. E così hanno dovuto accettarlo, non sarà un dottore, non curerà i corpi, ma far ridere qualche ferita dell’anima può anche curarla.

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