Prossima fermata Afghanistan

Scritto da in data Settembre 11, 2021

I talebani hanno preso il potere, i talebani parlano e poi fanno il contrario di quello che dicono. Il governo è fatto di ex detenuti e ricercati. Non ci sono donne, non ci sono hazara, non ci sono politici. Lo sport è stato vietato alle donne. Alle donne è stato vietato lavorare, a meno che siano insegnanti o dottoresse. Alle donne è stato detto come vestirsi. I giornalisti vengono picchiati, torturati, molestati. Gli artisti vengono perseguitati.

La situazione in Afghanistan è calma, tranquilla come quella di un paese che pare stia per essere inghiottito dal buio. La società civile è nascosta, le donne sono forti ma spaventate, i giovani non vogliono nutrire le file dei fondamentalisti islamici. Cancellano le foto, i video musicali e pensano al paese che avrebbero voluto costruire e che è diventato una trappola spesso mortale.

Bisogna andare a raccontare quello che non si vede. Non basta muoversi per le strade, parlare con i talebani, guardarsi intorno, fare dirette sui social, per raccontare un paese. Il giornalismo è competenza, credibilità, onestà e indipendenza.

E soprattutto un diritto di chi legge e un dovere sociale per chi lo pratica. Essere in Afghanistan per chi lo ha seguito per due decenni è necessario perché la Storia si continua a raccontare mentre si compie, e perché la presenza di giornalisti stranieri tiene accesi i riflettori di un posto, che come tanti altri, merita di non essere abbandonato. Tanto meno dimenticato. Vero che è stato sulle pagine dei media mainstream per un mesetto, ormai. Non è ancora abbastanza, non è ancora finita, perché se non si possono salvare altre persone, forse si può tentare di proteggerle o almeno di far sentire la loro voce. E per farlo bisogna essere lì.

In questi anni abbiamo raccontato centinaia di storie, alcune di coraggio, altre di dolore, siamo partiti dalle persone per raccontare un paese che fa parte di noi, perché anche gli italiani hanno dato e lasciato qualcosa, a volte il sangue. Radio Bullets ha fatto la prima intervista al mondo a un presidente afghano, ha raccontato le donne, i generali, gli artisti, i professori, le tassiste e le politiche, le vittime e i carnefici. Perfino il Charlie Chaplin dell’Afghanistan. Ed è ora di tornare a farlo.

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