Sudan, il colpo di stato non cancella la speranza

Scritto da in data Ottobre 29, 2021

La speranza di vivere in un Paese democratico non si cancella con un colpo di stato. A Khartoum, capitale del Sudan, continuano le manifestazioni dopo che lunedì 25 ottobre le forze armate hanno rotto il patto di alleanza di governo di transizione avviato nel 2019 e hanno arrestato il primo ministro Abdallah Hamdok.

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Abdalla Hamdok, Primo ministro sudanese – Foto di Ola A Alsheikh

L’arresto di premier e ministri

Il politico è stato posto agli arresti quando si è rifiutato di leggere un comunicato redatto dai militari per i cittadini e solo due giorni dopo è stato rilasciato e condotto – sempre sotto stretta sorveglianza –  a casa con la moglie. L’arresto è stato il primo di una serie che le forze armate hanno compiuto verso i dirigenti civili. Ad oggi sono stati arrestati molti membri del governo, e una parte dei politici legati alla coalizione delle Forze per la libertà e il cambiamento (Ffc).

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Abdel Fattah al-Burhan – Wikimedia Commons – Foto Kremlin.ru

Il presidente del Consiglio Sovrano del Sudan a capo dell’azione, Abdel Fattah al-Burhan, leader dei golpisti, subito dopo ha annunciato lo scioglimento del consiglio e del governo di transizione e ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale. Il generale avrebbe inizialmente giustificato la mossa come una “ragionevole” reazione ai dissidi interni al governo in quanto «stavano minacciando la pace e la stabilità sociale» e confermato che l’accordo di conciliazione siglato con i civili sarebbe rimasto il punto di riferimento per condurre il popolo sudanese alle elezioni democratiche nel 2023.

Le azioni del nuovo regime non sembrano confermare l’intento democratico del leader. Secondo indiscrezioni di fonti locali, nelle settimane prima del golpe ci sarebbe stata l’ingerenza politica di alcuni gruppi armati affiliati al fronte rivoluzionario del Sudan. Il Justice and equality movement detto Jem, e il movimento di liberazione del Sudan, l’Slm-MM di Minni Minnawi, avrebbero preso posizione nel già delicato equilibrio governativo portando ad una divisione interna alla coalizione delle Forze per la libertà e il cambiamento (Ffc). 

Una prospettiva meno pacifica che spiegherebbe la repressione in corso, gli innumerevoli arresti degli oppositori e il gravissimo attacco ai manifestanti. Il 26 ottobre scorso l’esercito ha sparato sulla folla di attivisti. Fino a oggi sono 7 le vittime e 140 i feriti accertati dal ministro della salute, «combattenti per la patria» morti sotto il fuoco dei militari.

I sudanesi vogliono il governo di transizione

Anche il blocco della comunicazione avvenuto subito dopo l’avvio del golpe non farebbe pensare a intenti pacifisti per il futuro del Paese. I cittadini sudanesi hanno registrato interruzioni alla rete internet, insieme al primo tentativo di isolare il Paese bloccando porti, strade e transennando l’aeroporto. Un blocco delle comunicazioni che esiste, ma che proprio per la stoica dissolutezza degli aggressori, sembra obbligare i cittadini a gridare più forte la propria contrarietà alla nuova reggenza militare.

Secondo fonti locali gli attivisti stanno organizzando per sabato 30 ottobre una manifestazione che esprime in termini chiari e univoci il desiderio del popolo di tornare al governo di transizione. Manifestazione che viene già ostacolata dal governo con arresti preventivi. Nella critica situazione attuale sono molti i possibili sviluppi del futuro del Paese e molti gli attori che intervenendo potrebbero virare le sorti politiche della nazione.
Il Sudan da circa tre anni sta portando avanti un fragile percorso di pace e democrazia, con i militari al fianco di civili in alleanza per un governo di transizione: traguardo importante, raggiunto dopo il drammatico lungo corso del regime del dittatore Omar Al-Bashir.

Il rischio rivoluzione civile: la reazione estera

Oggi si affaccia il rischio di una rivoluzione civile, ma fa capolino anche la possibile ingerenza politica ed economica di Paesi imperialisti come Cina, Russia e Turchia a sostegno dei militari. Le potenze democratiche considerano in queste ore un proprio intervento e nei giorni seguenti al golpe hanno preso posizione condannando fermamente l’accaduto. Ned Price, dirigente del dipartimento di Stato americano, ha condannato i fatti indicando che, se non si effettuerà un passo indietro, gli Stati Uniti «rivaluteranno completamente le relazioni con il Sudan». L’Unione Africana ha intimato di sospendere tutte le attività con il Paese, la World Bank ha sospeso gli aiuti economici al Paese, anche il Consiglio dell’Unione Europea ha condannato fermamente il colpo di stato militare avanzando la questione degli aiuti economici che sarebbero bloccati. Mentre da parte della platea internazionale dei paesi democratici si attendono nuove vere e proprie azioni a sostegno dei civili, il Consiglio dell’Unione Europea, in un comunicato pubblicato in seguito all’azione militare, ha ricordato che il Sudan usciva da «decenni di governo autoritario e dittatura repressiva» e che dopo un passato così funesto «deve essere rispettato il diritto legittimo del popolo sudanese a un futuro migliore».

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