12 maggio 2020 – Notiziario in genere

Scritto da in data Maggio 12, 2020

Il racconto di un sequestro. Addio all’ultima Monuments Woman, portata via dal Coronavirus. In Uganda partorire è sempre più letale. Buon compleanno pillola contraccettiva. In Perù aumentano le aggressioni contro le donne. L’Ungheria non ratifica la Convenzione di Istanbul

Bentornata Silvia Romano

Silvia Romano si sa, è tornata a casa. Sequestrata in Kenya, portata in Somalia. Oggi finalmente libera dopo un anno e mezzo. Ad accoglierla in Italia però sono state, come troppo spesso accade in questi casi – meglio se con protagoniste donne, polemiche che non vorremmo raccontare. Non le si perdona il jilbab verde smeraldo, la conversione all’Islam. Il suo sorriso nonostante tutto. Ingrata, le è stato detto. Ed è forse tra le parole più tenere che le hanno riservato. Ragionamenti che francamente facciamo fatica anche solo a immaginare. Insulti che porteranno a una scorta per questa ragazza di 25 anni: la prefettura sta valutando a che tipo di tutela sottoporre Silvia. Si può?

A parlare di abiti e prigionia è in queste ore Susan Dabbous, giornalista italo-siriana che collabora con molte testate italiane, tra cui Avvenire. Nell’aprile del 2013 è stata sequestrata in Siria e tenuta prigioniera con altri tre giornalisti italiani, Amedeo Ricucci, Elio Colavolpe e Andrea Vignali. Tutti rilasciati dopo undici giorni. “Levati questo coso!”, si è sentita dire, riferendosi al vestito tradizionale che aveva addosso. “Ma istintivamente me lo sarei tenuta. Gli abiti durante una prigionia sono la cosa che ti protegge dal mondo esterno, sono il tuo guscio in cui scomparire”, spiega lei in queste ore. “Ogni nostra considerazione su questo è fuori luogo e fuori tempo, è quasi pornografico parlarne”, spiega la giornalista.

“Temevo molto l’isolamento”, racconta in un’intervista all’Huffington Post parlando del libro in cui ha raccontato la sua storia,  “Come vuoi morire?”. “Ero sola in un appartamento con la moglie di uno dei terroristi. Dato che avevo paura che ci avessero sequestrato non per avere soldi, ma per una dimostrazione simbolica come ai tempi della guerra in Iraq, ho cercato in tutti i modi di essere accettata dai rapitori. Quindi ho chiesto alla donna di essere convertita all’Islam”, racconta.

“Chi se ne frega se sei musulmana, cristiana o atea, sii quello che ti fa stare bene”, scrive Barbara Schiavulli in une editoriale che è una lettera di bentornata a Silvia Romano. “Qui puoi essere chi vuoi, credere in quello che vuoi e amare chi vuoi. Chi inveisce contro i musulmani, non li conosce. I cattivi non hanno religione, colore nazionalità o sesso”.

Cara Silvia

Our heros

Claudia La Bianca è un’artista di Miami ma originaria di Bagheria, in provincia di Palermo. È negli Stati Uniti dal 2004. I supereroi e le supereroine sono sempre state la sua passione. Ora sta realizzando un’opera d’arte sul lato del Jackson Memorial Hospital di Miami, Florida. A più di 100 piedi di altezza, scrive: è l’immagine di quattro infermiere dipinte come supereroine.

Our heros Claudia La Bianca

La Bianca ha spiegato che l’opera è ispirata al prezzo che sta pagando il suo paese di origine, l’Italia, per la pandemia di COVID-19. “Stanno combattendo il cattivo, che è il virus, e stanno salvando la vita e si prendono cura dei malati”, ha spiegato. Il titolo dell’opera semplicemente ‘Our Heroes’.

Uganda

Partorire in Uganda è sempre più difficile a causa della pandemia di Covid-19. A dirlo sono i dati diffusi dal Lacor Hospital, fondato nel 1959 a Gulu, in Uganda, dai missionari comboniani: le morti per parto nel paese sono arrivate a 46 a metà marzo. 30 in più rispetto alle 16 registrate a gennaio. Una situazione resa ancora più drammatica dal lockdown, in programma nel Paese fino al 19 maggio.

“Il divieto dei trasporti e il coprifuoco notturno stanno rendendo molto difficili gli spostamenti, non solo per le donne in travaglio”, spiega Dominique Atim Corti, presidente della Fondazione Corti che sostiene l’ospedale dove arrivarono a lavorare come medici chirurghi sessant’anni fa nel Nord Uganda i genitori, Piero Corti e Lucille Teasdale. “C’è la possibilità di essere trasportati in ospedale, se si ha un permesso speciale, ma molti non lo sanno o è troppo complicato da ottenere”. Dai circa 500 parti “che assistiamo in media ogni mese, ad aprile siamo scesi a 322. La differenza sono donne che quasi certamente partoriscono nei villaggi, senza poter far fronte alle complicazioni”, dice Cristina Reverzani, medico volontario al Lacor Hospital. “Una delle misure messe in atto dal governo è il divieto di trasporto pubblico, boda-boda (motociclette) e matatu (taxi collettivi), ovvero i mezzi utilizzati dalla maggior parte delle donne in gravidanza per raggiungere l’ospedale. Anche i pochi che hanno il loro trasporto personale devono ottenere l’autorizzazione dall’autorità sanitaria distrettuale. E questo richiede tempo”, aggiunge il dottor. Odong Emintone Ayella, direttore medico del Lacor Hospital dove è anche responsabile del reparto di Ostetricia e
Ginecologia.

Addio all’ultima Monuments Woman

È morta all’alba del 4 maggio, portata via da Covid19, Motoko Fujishiro Huthwaite, l’ultima Monuments Woman. Americana di origine giapponese, era entrata nel gruppo (soprattutto maschile) di esperti ed esperte internazionali che hanno salvato tesori d’arte e monumenti durante e dopo la seconda Guerra Mondiale. La donna aveva 92 anni e viveva in un centro di riabilitazione a Westland, nel Michigan, alle porte di Detroit.

A dare la notizia della scomparsa è stato, si legge su ArtTribune, Robert W. Edsel, l’autore di due best seller di successo come Monuments Men (da cui è stato tratto il film omonimo di e con George Clooney, Matt Damon e Bill Murray) e Monuments Men Missione Italia, con un post su Facebook e sul sito della Monuments Men Foundation for the Preservation of the Art da lui fondata: “Erano ventisette le Monuments Women che hanno prestato servizio nella sezione Monumenti, Belle Arti e Archivi per preservare milioni di opere d’arte e altri oggetti culturali durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ne ho conosciute e amate tre. Il 4 maggio, l’ultima delle tre, Motoko Fujishiro Huthwaite, l’ultima Monuments Woman vivente, è morta. Un’altra vittima nella guerra globale contro il coronavirus”. I Monuments Men, che erano anche Women, evidentemente, erano originariamente un piccolo gruppo di archeologi, storici dell’arte e direttori di musei anglo-americani che nell’Europa travolta da eserciti in guerra hanno lavorato per salvarne il patrimonio artistico aiutando le autorità locali a nascondere quadri e statue e evitando che diventassero il bersaglio di raid aerei alleati. Dopo la guerra il loro numero aumento’ e lo sforzo fu soprattutto quello di rintracciare oltre quattro milioni di oggetti rubati dai nazisti e riportarli ai paesi di origine.

Pillola contraccettiva

Era il 10 maggio 1960 quando sugli scaffali delle farmacie americane, approvata dalla Food and Drug Administration è l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, arrivava la pillola contraccettiva. In Europa sarebbe arrivata un anno dopo, autorizzata, ricostruisce l’Ansa, in Italia nel ’67 per fini terapeutici ma accessibile di fatto solo nel 1976 quando il ministero della Sanità abrogò le norme che vietavano la vendita della pillola anticoncezionale.

La sua nascita, si legge ancora, si deve a Margaret Sanger, attivista per il controllo delle nascite, educatrice sessuale, scrittrice e infermiera, fondatrice della Planned Parenthood of America, rivoluzionaria e all’avanguardia per i tempi (con i fondi dell’ereditiera Katherine McCormick). La pillola è stata creata in un piccolo laboratorio dal biochimico Gregory Pincus e dal ginecologo di Harvard John Rock.

Il medicinale Enovid, definito contro i disturbi mestruali, con la dicitura sulla confezione: “questo medicinale eviterà l’ovulazione” vendette in meno di due anni, più di mezzo milione di confezioni . Oggi è utilizzata da più di 100 milioni di donne nel mondo, in Italia è circa il 16% della popolazione femminile fertile a utilizzarla.

Perù

Il Covid-19 nuoce gravemente alle donne e favorisce la violenza di genere. Anche in Perù. Secondo le autorità peruviane durante i primi 40 giorni di isolamento obbligatorio predisposto per prevenire la diffusione di Covid-19 in Perù, ci sono stati 3.763 casi di aggressione contro le donne, tra lievi e gravi; 7 femminicidi e 346 denunce per crimini contro la libertà sessuale, di cui 62 abusi sessuali su minori. In questo periodo, la procura peruviana afferma di aver ricevuto quasi 100 denunce al giorno per aggressioni a donne e bambini.

Come in Italia, anche in Perù la cifra delle denunce è inferiore: “La vittima prima poteva andare a denunciare alla stazione di polizia o in procura, mentre ora è limitata a poterlo fare al telefono”, si legge sul quotidiano El Comercio. “Lo scorso anno, tra gennaio e ottobre, abbiamo registrato 16.399 denunce di aggressione a Lima. Ora, con la situazione di emergenza, ci sarà sempre la possibilità che ci siano casi di cui non sappiamo”, dice la procuratrice Olga Espinoza.

Ungheria

Nel mezzo di un inquietante aumento globale delle notizie di violenza domestica durante i blocchi di Covid-19, l’Ungheria ha fatto un passo indietro nel proteggere le donne: la denuncia è di Human Rights Watch. Il 5 maggio, il parlamento, dove il partito al potere Fidesz ha una maggioranza dei due terzi, ha bloccato la ratifica della Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne, ovvero il testo più avanzato e il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e della violenza domestica adottato dal Consiglio d’Europa nel 2011 e sottoscritto dall’Ungheria nel 2014.

I politici ungheresi – in particolare i due partiti di maggioranza del paese, il partito conservatore e populista Fidesz del primo ministro Viktor Orbán e il Partito popolare cristiano democratico (Kdnp) – sostengono che la convenzione promuove “l’ideologia di genere” – un termine usato per sostenere che l’uguaglianza di genere mina i “valori familiari tradizionali” e incoraggia l’omosessualità. Sostengono anche che la protezione della Convenzione contro le donne migranti e rifugiate contraddica gli sforzi dell’Ungheria di reprimere l’immigrazione irregolare.

Le manovre politiche di questa settimana riflettono una tendenza inquietante, ammonisce Human Rights Watch: Bulgaria, Slovacchia e Lettonia hanno ugualmente rifiutato di ratificare la convenzione, la Polonia ha minacciato di ritirarsi e la Slovacchia si è anche opposta all’adesione dell’Unione europea alla convenzione.

Secondo gli ultimi dati, oltre il 20% delle donne nell’UE ha subito violenza domestica. In molti paesi, oltre il 50 percento delle donne vengono uccise per mano di partner o familiari.

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