17 aprile 2021 – Notiziario

Scritto da in data Aprile 17, 2021

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  • Nigeria: abitanti in fuga dopo ripetuti attacchi dello Stato Islamico dell’Africa Occidentale nello stato di Borno (copertina).
  • Mozambico: nuovo assalto armato a Palma.
  • Somalia: Farmajo si autoestende il mandato, proteste internazionali.
  • Etiopia: non c’è accordo nel Consiglio di Sicurezza Onu sulla crisi nel Tigray.
  • Malawi: buttate 16.000 dosi di vaccino AstraZeneca scadute.

Questo e molto altro nel notiziario Africa di Giusy Baioni. Musiche di Walter Sguazzin

Nigeria

Sono 65.000 le persone fuggite dalle violenze nella città di Damasak, nel nord-est della Nigeria, secondo quanto reso noto ieri dalle Nazioni Unite. Il cosiddetto Islamic State West Africa Province (ISWAP) ha scatenato una serie di attacchi nello stato di Borno, saccheggiando e incendiando case, magazzini di agenzie umanitarie, una stazione di polizia, una clinica e anche una struttura dell’UNHCR.
«Fino all’80% della popolazione della città − che include la comunità locale e anche gli sfollati interni − è stata costretta a fuggire», ha detto Babar Baloch, portavoce dell’UNHCR.

ISWAP, che si era separata da Boko Haram nel 2016, è diventata una minaccia dominante in Nigeria. A causa dei combattimenti degli ultimi anni in Nigeria, più di 36.000 persone sono state uccise e due milioni sfollate o profughe nei vicini Ciad, Camerun e Niger. Dopo questi ultimi attacchi, alcuni sono fuggiti verso la capitale regionale Maiduguri e altre città vicine, altri nella boscaglia, altri ancora hanno attraversato il confine del Niger, a sua volta esposto alla violenza jihadista. L’esercito nigeriano, dal canto suo, respinge i rapporti secondo i quali i militanti avrebbero invaso Damasak e afferma che giovedì le truppe avevano già ripreso il controllo dell’area. La città ospita una delle guarnigioni fortificate dei militari per respingere gli attacchi. Ma i critici dicono che la chiusura di basi più piccole in favore di questi “supercampi” ha lasciato i jihadisti più liberi di vagare nelle aree rurali.

Mozambico

Nuovi scontri si sono registrati nella città di Palma, nella provincia settentrionale di Cabo Delgado in Mozambico, tre settimane dopo il terribile assalto jihadista. Il presidente Filipé Nyusi, proprio la settimana scorsa, aveva affermato che i jihadisti erano stati «cacciati» da Palma e che molti di loro erano morti. E invece, secondo una fonte militare citata da RFI, si sarebbero verificati attacchi simultanei contro due località distanti 200 km.

A Palma, ricodiamo, ha sede un megaprogetto della francese Total per l’estrazione di gas. Per la prima volta, giovedì, il ministro mozambicano della difesa ne ha parlato apertamente, affermando che «questo progetto condotto da Total non è minacciato e proseguirà». Le autorità cercano di rassicurare la popolazione, terrorizzata e in buona parte sfollata. Il PAM intanto ha lanciato martedì una richiesta di fondi per il nord del Mozambico, dove si contano ormai circa 700.000 sfollati senza assistenza.

Somalia

Il presidente somalo Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmajo, ha firmato questa settimana una legge controversa che estende il suo mandato – scaduto da mesi – per altri due anni, nonostante le critiche internazionali. In una dichiarazione, il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha avvertito che «tali azioni sarebbero profondamente divisive, minando il processo di federalismo e le riforme politiche che sono state al centro del progresso del paese», mettendo a repentaglio «la collaborazione con la comunità internazionale» e distogliendo «l’attenzione dal contrastare al-Shabab».

https://twitter.com/SecBlinken/status/1382107573659254785

Blinken ha inoltre affermato che gli Stati Uniti sono «profondamente delusi» e hanno avvertito che le azioni del presidente Mohamed potrebbero erodere i progressi verso la pace compiuti insieme alla comunità internazionale, costringendo gli Usa a prendere in considerazione sanzioni o restrizioni sui visti. Anche il capo della politica estera dell’Unione Europea Josep Borrell ha minacciato «misure concrete» senza un immediato ritorno ai colloqui sullo svolgimento delle elezioni. La Missione delle Nazioni Unite in Somalia (UNSOM), in una dichiarazione congiunta con le nazioni dell’UE, il blocco regionale dell’IGAD e il Regno Unito, si è detta «profondamente preoccupata» e non sosterrà l’estensione della presidenza Farmajo.

Intanto, diversi ricercatori e analisti indipendenti sono accusati di spionaggio da parte del sistema giudiziario. Secondo una dichiarazione del tribunale regionale della regione di Banadir pubblicata giovedì, oggi, 17 aprile, verrà avviato un procedimento legale contro sei dipendenti di una società di consulenza, la Sahan Research, con sede in Kenya. Una procedura denunciata come «puramente politica» dagli imputati. Il direttore e fondatore di Sahan Research, Matt Bryden, non ha ancora ricevuto alcuna notifica ufficiale. Nessuna posta, nessun messaggio dal tribunale nella regione di Banadir, dove si trova la capitale somala, Mogadiscio. Pertanto non conosce le ragioni esatte del suo interrogatorio. Lui e cinque collaboratori, attuali o passati, somali o stranieri, sono interpellati dal tribunale regionale di Banadir, con l’accusa di diffusione di «informazioni sulla sicurezza nazionale» e «spionaggio a vantaggio dell’estero», senza ulteriore specificazione. Secondo diverse fonti, questo atto giudiziario è principalmente motivato dalla recente pubblicazione, da parte di Sahan Research, di un articolo che chiede sanzioni contro la presidenza federale per il suo ruolo nella crisi politica.

Etiopia

Giovedì a New York il Consiglio di Sicurezza si è di nuovo riunito per discutere del Tigray, per la quinta volta in privato dall’inizio della crisi dello scorso novembre. La situazione umanitaria ha occupato gran parte della discussione. Il capo umanitario delle Nazioni Unite Mark Lowcock non ha risparmiato ai diplomatici i dettagli di esecuzioni, stupri anche su bambine, con racconti concreti.

Il Consiglio di Sicurezza è diviso. Da un lato Russia, Cina, Kenya, appoggiati dai paesi africani del Consiglio, ritengono che Addis Abeba si sia già impegnata consentendo l’accesso umanitario e la richiesta di partenza degli eritrei. Dall’altro i paesi occidentali, che pretendono di seguire da vicino l’attuazione delle dichiarazioni etiopi.  Gli Stati Uniti, contrariati dalla mancanza di unità del Consiglio, vorrebbero cambiare marcia per dare un segnale chiaro al governo etiope. Secondo Mark Lowcock la situazione nel Tigray è peggiorata, con 4,5 su 6 milioni di persone bisognose di aiuti umanitari, provocando la rabbiosa reazione dell’ambasciatore etiope all’Onu, che lo ha accusato di comportarsi da nemico.

Costa d’Avorio

Amadé Ouérémi, leader di una milizia, è stato condannato all’ergastolo giovedì dal tribunale penale di Abidjan per «crimini contro le popolazioni», dopo essere stato giudicato colpevole del massacro di diverse centinaia di persone il 28 e 29 marzo 2011 a Duékoué Carrefour. Più di 800 morti secondo la Croce Rossa, 300 secondo l’Onu. Amadé Ouérémi è condannato per oltre una decina di accuse, colpevole di aver preso parte a una delle pagine più oscure della storia recente della Costa d’Avorio, a capo di oltre cento uomini.  Durante i 7 giorni di processo, il leader della milizia si è difeso dicendo di esser stato agli ordini dei leader ribelli e di non esser stato sulla scena il 28 e 29 marzo 2011. Amadé Ouérémi ha affermato di esser stato all’epoca agli ordini di un leader ribelle chiamato “Coulibaly de Kouibly”, che a sua volta sarebbe stato agli ordini di Losseni Fofana, alias “Loss”, ora colonnello dell’esercito. I due, sentiti dal giudice istruttore prima del processo, hanno semplicemente negato di conoscerlo. L’avvocato della difesa aveva chiesto la loro comparizione, rifiutata dal presidente, e al termine del processo denuncia una decisione parziale: «Amadé Ouérémi non è l’unico responsabile. Da solo, non avrebbe mai potuto commettere così tanti crimini. E dovremo cercare e trovare i mandanti. Perché ci sono», ha concluso l’avvocato.

Benin

Giovedì la Corte costituzionale del Benin ha approvato i risultati provvisori delle elezioni di questa settimana, assegnando al presidente Patrice Talon una schiacciante vittoria contro due avversari poco conosciuti. Talon ha vinto con l’86,3% nelle elezioni dell’11 aprile, che i critici hanno detto essere accatastate a suo favore, dopo che un giro di vite sui leader dell’opposizione ha escluso la maggior parte di loro dal ballottaggio. La corte costituzionale ha dichiarato di aver azzerato i risultati preliminari e che eventuali ricorsi potrebbero essere presentati nei prossimi cinque giorni, dopodiché approverà il conteggio definitivo delle schede. «Le elezioni dell’11 aprile 2021 sono state regolari, sincere e trasparenti», ha detto il presidente del tribunale Joseph Djogbenou.

Talon, 62 anni, sembra libero da grandi sfide per ora, poiché i suoi principali rivali sono emarginati nel paese dell’Africa occidentale una volta elogiato come un faro della democrazia multipartitica. Dopo la sua vittoria elettorale, Talon ha annunciato di voler punire gli autori delle violenze pre-elettorali durante le proteste dell’opposizione che hanno bloccato le strade nel centro e nel nord del paese. La decisione del tribunale è arrivata poco prima che un altro avversario di Talon, Joel Aivo, uno di quelli a cui è stato impedito di partecipare al ballottaggio, venisse interrogato dalla polizia giudiziaria, anche se le ragioni della convocazione non sono chiare. Un altro leader dell’opposizione del Benin, a cui è stato impedito di contestare le elezioni, era stato arrestato il mese scorso con l’accusa di aver complottato per minare le elezioni con azioni terroristiche.

Ciad

Si avvia a una scontata riconferma il presidente Idriss Deby Itno, che inizierebbe così il suo sesto mandato da presidente del Ciad dopo tre decenni al potere. Contro Deby, 68 anni, domenica scorsa correvano altri sei candidati, senza grandi possibilità, con una campagna elettorale in cui le manifestazioni sono state vietate o disperse. La questione principale sembra essere quella dell’affluenza alle urne, dopo che alcuni membri dell’opposizione hanno chiesto il boicottaggio delle elezioni. I risultati provvisori delle elezioni sono attesi per il 25 aprile, e quelli finali per il 15 maggio.

Deby è un ex ribelle e soldato di carriera che ha preso il potere con un colpo di Stato nel 1990. Nel 2018 ha modificato la costituzione per poter rimanere al potere fino al 2033. Intanto, nel nord del paese, da una settimana è iniziata un’offensiva ribelle da parte del Front pour l’alternance et la concorde au Tchad (Fact), che avrebbe il controllo della città di Gouri. L’aeronautica ciadiana continua a bombardare le posizioni dei ribelli. La situazione imbarazza la Francia e il nuovo corso di Macron in Africa: due anni fa un intervento diretto francese era intervenuto in soccorso di Idriss Deby, ma per il momento non è previsto nulla di simile. Stavolta il dichiarato disimpegno militare francese si sta concretizzando nel non intervenire direttamente, ma fornendo all’esercito ciadiano sostegno logistico e informazioni dettagliate sulle postazioni ribelli.

Congo Brazzaville

Ha giurato ieri, con una cerimonia in pompa magna, il presidente congolese Denis Sassou-Nguesso, riconfermato nelle elezioni presidenziali del 21 marzo con l’88,40% dei voti. Sassou-Nguesso, 77 anni, di cui quasi 37 a capo del paese, ha prestato giuramento davanti a diciannove capi di stato e quattro capi di governo del continente: fra loro, il vicino Félix Tshisekedi, della Repubblica Democratica del Congo, anche attuale presidente dell’Unione Africana (UA); l’ivoriano Alassane Ouattara, il guineano Alpha Condé, il ciadiano Idriss Déby.

Nel suo discorso di quaranta minuti, ha promesso di condurre una lotta spietata soprattutto contro la corruzione che affligge tutti i settori della vita socio-economica. Riprendendo il tema della campagna, il presidente si è anche impegnato a guidare una «rivoluzione agricola» per far uscire il suo paese dalla dipendenza dal petrolio e dalle importazioni. Il presidente ha anche promesso di dare al Congo la dimensione globale che merita in termini di protezione ambientale e biodiversità.

Uganda

Tre mesi dopo le elezioni presidenziali, il governo dell’Uganda ha riconosciuto che oltre mille persone sono state arrestate prima delle elezioni. A seguito delle pressioni dell’opposizione, la National Unity Platform (NUP), al governo viene chiesto di accettare e risolvere la mossa delle forze di sicurezza che hanno arrestato più di 400 dei suoi sostenitori e membri. A marzo, 18 giovani erano stati prelevati da un villaggio di Kampala e successivamente rilasciati senza accusa, scaricati vicino al loro villaggio nel cuore della notte. Molti altri sono stati rilasciati in modo simile, altri affermano di essere stati maltrattati quando sono stati detenuti. Gli osservatori delle Nazioni Unite hanno invitato le autorità dell’Uganda all’inizio di questa settimana a cessare di prendere di mira gli avversari politici. Bobi Wine, il principale rivale del presidente Yoweri Museveni, è stato arrestato a marzo mentre guidava una protesta contro la detenzione di molti dei suoi sostenitori all’indomani delle elezioni presidenziali, per essere rilasciato poche ore dopo senza accusa.

Intanto il presidente dell’Uganda Yoweri Museveni ha firmato domenica l’accordo per il progetto dell’oleodotto dell’Africa orientale con la presidente tanzaniana Samia Hassan Suluhu. L’accordo, firmato nella capitale dell’Uganda Kampala, apre la strada alla costruzione di un oleodotto per il greggio di 1.440 km, che congiungerà la regione del lago Albert in Uganda al porto marittimo di Tanga in Tanzania. L’oleodotto da 3,55 miliardi di dollari potrebbe essere il più lungo oleodotto di petrolio greggio riscaldato elettricamente al mondo. Secondo gli ambientalisti il progetto pone rischi per l’ambiente, le fonti d’acqua e le zone umide in entrambi i paesi a causa delle emissioni di C02.

Repubblica Democratica del Congo

La Repubblica Democratica del Congo ha finalmente un governo. Dopo oltre due mesi di stallo, il governo detto della “union sacrée de la nation” è composto da 57 membri, la maggior parte dei quali appartengono allo schieramento del capo dello stato Felix Tshisekedi, ma con posti chiave assegnati a rappresentanti di partiti che erano prima all’opposizione. Il nuovo governo arriva quattro mesi dopo che la coalizione del presidente Tshisekedi si è separata da quella del suo predecessore Joseph Kabila. Il capo dello Stato aveva nominato il 15 febbraio il nuovo primo ministro Jean-Michel Sama Lukonde, dopo aver costretto alle dimissioni Sylvestre Ilunga Ilunkamba, intimo amico di Kabila.

Coronavirus

Più di 16.000 dosi di vaccino scadute saranno distrutte in Malawi, dopo essere arrivate nel paese dell’Africa meridionale tre settimane fa: lo ha detto mercoledì il ministro della Salute. Delle 102.000 dosi inviate dall’Unione Africana (UA), circa 16.400 non sono state utilizzate e sono scadute martedì. Delle 530.000 dosi totali ricevute nel paese tramite il programma Covax, il governo indiano e l’UA (tutti vaccini AstraZeneca), è stato utilizzato finora il 46%.

Intanto, il programma Covax ha appena lanciato una campagna per raccogliere altri due miliardi di dollari, in modo da poter riservare dosi aggiuntive: giovedì 15 aprile, l’evento organizzato da Washington per raccogliere fondi si è concluso con 400 milioni di dollari, il 20% della cifra richiesta. Entro la fine dell’anno, il programma Covax prevede di distribuire una quantità di dosi in grado di coprire la vaccinazione del 27% della popolazione nei 92 paesi a basso reddito che necessitano di una spinta dalla solidarietà internazionale. Il dispositivo Covax ha già ottenuto 2,5 miliardi di dosi e necessita di un miliardo di dosi aggiuntive, secondo Seth Berkley, direttore di Gavi, che guida Covax insieme all’OMS. Il programma ha già distribuito 38 milioni di dosi, la prima delle quali è stata consegnata il 24 febbraio in Ghana.

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