Le bambine viol(ent)ate di Puerto Quito

Scritto da in data Marzo 13, 2021

Alla fine di febbraio 15 adolescenti sono state liberate dalla polizia a Puerto Quito, in Ecuador. Padri, fratelli, zii, cognati, vicini le hanno violentate per anni, in alcuni casi addirittura per dieci consecutivi. In questa zona del Pichincha non ci sono medici che curano le vittime di violenza e le ostetriche degli ambulatori devono occuparsi delle numerose gravidanze di ragazze, spesso minorenni, che abitano nelle zone rurali.

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Il giorno della sua liberazione, Victoria (nome di fantasia) era nascosta dietro a una stufetta in cucina, abbracciata ai suoi tre figli. Secondo le autorità Victoria è stata tenuta prigioniera per nove anni dal suo patrigno, violentata da quando era adolescente. Tre figli sono nati da queste violenze. Età della vittima al momento della liberazione: 24 anni. Il suo patrigno aveva il controllo assoluto della sua vita: Victoria non poteva avere contatti con altri uomini e se parlava con qualcuno veniva brutalmente picchiata e violentata. Il suo carceriere la accompagnava in ogni dove e controllava le sue azioni. Come si è riusciti dunque a conoscere la sua storia? Durante la visita di alcune autorità del Ministero dell’Inclusione Economica e Sociale a Puerto Quito, Victoria, come beneficiaria di un bonus economico, ha potuto incontrare delle persone al di fuori del suo entourage familiare. In quel momento ha chiesto aiuto. La Giunta di Protezione dei Diritti ha raccolto la sua denuncia, poi passata alla polizia. La storia di Victoria ha avuto un forte impatto sulla popolazione di Puerto Quito, dove il numero di gravidanze di ragazze adolescenti è talmente alto che per ciascuna unità medica di ogni comunità il governo ha dovuto contrattare almeno un’ostetrica. In alcune di queste unità si donano preservativi gratuitamente. Il suo caso ha dato coraggio ad altre ragazze per denunciare ciò che stavano subendo.

Il 21 febbraio la polizia è riuscita a liberare quindici ragazze tra i dieci e i diciassette anni, dopo un’operazione, l’Operación Querubín, durata cinque mesi. Ognuna di queste bambine e adolescenti racconta storie terrificanti. Uno degli aggressori era un padre e uno zio, che usava un cucchiaio da cucina per picchiare le sue tre vittime quando cercavano di resistere alla violenza. La più piccola delle tre era sua figlia, che violentava da quando aveva quattro anni. Oggi ne ha dieci. L’altra ragazza, oggi diciottenne, è stata violentata da quando ne aveva otto. Tra le ragazze liberate, c’è una diciassettenne con disabilità mentale violentata dal fratello e dal padre; in un altro caso, un’altra ragazza con le stesse problematiche era stata picchiata al punto da avere un aborto. La maggior parte delle vittime vivevano in condizioni precarie e appartenevano a contesti contadini di povertà. Ci sono, però, anche famiglie di classe medio-alta, titolari di negozi. Uno dei violentatori aveva un incarico giuridico. Un altro era minorenne.

Le ragazze che sono state liberate, oggi sono in una casa famiglia o sono state trasferite da altri parenti. Ognuna di esse subisce l’impatto emozionale negativo delle violenze subite per anni: alcune hanno tentato il suicidio, altre hanno paura di dormire. Come hanno dichiarato le autorità, i crimini sessuali perpetrati a questa età hanno un carattere unico, perché la vittima non può capire, resistere, scappare, proteggersi, difendersi o rispondere a eventi che superano la sua capacità di difesa psichica e fisica.

Le violenze a Puerto Quito

Guarda dove si trova Puerto Quito

Al di là dei casi specifici, bisogna domandarsi perché tutto ciò è successo a Puerto Quito. Puerto Quito si trova a metà strada tra la capitale dell’Ecuador, Quito appunto, e le spiagge di Pedernales e Mompiche, sulla costa pacifica. Sono 150 km dalla capitale. Ultimamente la città sta avendo uno sviluppo turistico per la sua fauna e flora. Le vittime vivevano a El Achiote, una zona rurale lontana dal centro di Puerto Quito. Il Rapporto sulla violenza di genere della città, del 2017, ha evidenziato come nelle zone rurali le violenze sessuali siano più numerose.

Le istituzioni giudiriche e di diritto sono sempre state scarse in questa zona del paese; nei cantoni nord-occidentali, come appunto Puerto Quito, San Miguel de Los Bancos e Pedro Vincente Maldonado, non esisteva la Giunta di Protezione dei Diritti, che in Ecuador è l’istituzione incaricata di proteggere le vittime di violenza. Quella di Puerto Quito, per esempio, è stata creata nel novembre scorso, diciassette anni dopo che il governo aveva deciso la sua creazione su scala nazionale. Le vittime di queste zone che denunciavano, venivano mandate in altre città dove la Giunta era presente, senza ricevere assistenza psicologica o anche economica. Se abbiamo detto prima che molte delle ragazze violentate provengono da contesti di povertà e di controllo perenne, spostarsi da una zona all’altra non è immediato. E sappiamo bene che il fattore tempo è essenziale per salvare le donne vittime di violenza.

Le ragazze di Puerto Quito sono state liberate il 21 febbraio. Il funzionario capo dell’Operación Querubín ha spiegato che l’azione faceva parte di un piano di investigazione del contesto criminologo, cioè di una strategia che la polizia applica per analizzare i comportamenti criminali di una popolazione determinata, scelta sulla base di condotte delittuose reiterate e della stessa modalità, tali che il crimine diventa naturalizzato. Ma questo tipo di crimine non è comune, purtroppo, solo nella zona del Pichincha: secondo Rossana Viteri, direttrice del Piano Internazionale dell’Ecuador, ogni giorno nel paese sette bambine tra i dieci e i quattordici anni partoriscono bambini nati da un abuso sessuale e l’80% degli abusatori sono dell’entourage familiare.

Fonte: NEC, Encuesta de Violencia sobre las Mujeres, 2019

La manifestazione

Il 25 febbraio decine di donne sono scese a protestare per le strade di Puerto Quito. Ketty Ibarra, presidentessa dell’Associazione di Donne delle Giunte Parrocchiali Rurali dell’Ecuador (AMJUPRE), in strada a manifestare, denuncia che una giudice ha disposto una misura preventiva per uno dei violentatori: invece di essere spedito in carcere, dovrà presentarsi tre volte alla settimana davanti alle autorità. Il processato, che ha violentato sua figlia di dodici anni, è un funzionario giuridico e tanto basta per far partire le misure alternative al carcere. La decisione della giudice ha chiaramente suscitato polemiche: in primis perché madre e figlia potrebbero essere in pericolo, in secondo luogo perché decisioni come queste possono intimidire le vittime di violenza, tanto che a volte ritirano la denuncia.

Una trentina di donne ha marciato con la maglietta bianca, bandiere e poster. Uno di questi dice: «I mostri non sono nell’immaginario di tuo figlio, sono nella tua casa». Questa manifestazione è il risultato di un lavoro di formazione e autostima che l’Associazione di Donne delle Giunte Parrocchiali Rurali dell’Ecuador porta avanti da anni nella zona, per fare in modo che le donne conoscano i propri diritti.

Un consiglio di lettura

Chiudo con una riflessione, che di solito non includo perché sono giornalista e non opinionista, ma questo tema tocca noi donne particolarmente. Vorrei suggerirvi una non facile lettura, ma che aiuta nella presa di coscienza di come le donne sono viste e trattate nel mondo intero. Si intitola “Le donne sono umane?” di Catharine MacKinnon, avvocata a filosofa del diritto. Credo che già il titolo sia provocatorio e ci accenda una lampadina. Vorrei leggervi un estratto dell’introduzione al libro scritto da Antonella Besussi e Alessandra Facchi (vi lascio il link nel testo):

«Si è donne in quanto la realtà del dominio stabilisce che si vale meno, non in quanto si condividono speciali qualità e disposizioni. Rielaborando un’intuizione anticipatoria di John Stuart Mill si insiste sul fatto che nessun gruppo dominato ha mai intrattenuto rapporti di intimità così profondi e continuativi con i propri dominatori, concludendo quindi che, proprio perché erotizzata, la disparità garantisce che le inferiori siano viste e si vedano come oggetti destinati a soddisfare aspettative dei superiori. È la multidimensionalità del danno che questa relazione gerarchica produce a far esistere le donne e a farle esistere come non-soggetti: sono lo stupro (etnico e non), la pornografia violenta, le molestie sessuali, la svalutazione sistematica a provare che le donne esistono. Come qualcuna chiedeva: se “donna” è soltanto una categoria vuota, perché ho paura ad andare in giro da sola di notte?

Il saggio “La sessualità del genocidio” mostra – anche attraverso crudi resoconti – come le violenze sessuali siano e siano sempre state uno strumento consolidato e “perfetto” di genocidio, inteso come “atti […] commessi con l’intenzione […] di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale, o religioso”. Il diritto dunque non deve fare altro che prendere atto della realtà e se lo stupro è compiuto come atto di genocidio, renderlo giuridicamente un atto di genocidio. Genocidio è, secondo la definizione del diritto internazionale, quanto viene fatto a gruppi etnici, razziali, religiosi e nazionali “in quanto tali”, ma è anche “ciò che è stato fatto alle donne ‘in quanto tali’ da tempo immemore” e che “viene fatto di norma alle donne ovunque, ogni giorno, sulla base del loro sesso”. Le donne sono il più grande gruppo perseguitato, in quanto tale».

Esatto, fermiamoci a riflettere: se le donne fossero considerate esseri umani, verrebbero vendute sulla strada, verrebbero trattati come oggetti, verrebbero violentate dagli stessi che le hanno messe al mondo?

Musiche originali di Luca Massari. 

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