Quando si tratta di esseri umani

Scritto da in data Agosto 1, 2021

Il 30 luglio è la Giornata Mondiale contro la Tratta di esseri umani, un business criminale che muove 700 miliardi di dollari all’anno e conta più di 20 milioni di vittime. L’America Latina non è diversa dal resto del mondo, e purtroppo vanta alcuni primati.

Un podcast di Stefania Cingia. Editing audio Luca Massari.

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Forse, durante questo anno e mezzo di pandemia e conseguenti lockdown, non ci abbiamo più fatto tanto caso. Avevamo altro a cui pensare, e poi in realtà non si poteva uscire. E anche quando abbiamo ricominciato la vita solita − lavoro, uscite, incontri, spese, scuola, e tutte le azioni che compiamo quotidianamente − non sempre abbiamo guardato intorno a noi. Oppure sono presenze talmente banali (o scomode) che non le vediamo più. Passiamo, le guardiamo di sfuggita, ma non registriamo la loro presenza nel nostro cervello. Se chiedo a un amico o amica che sta guidando l’auto: «Ma l’hai vista la ragazza sulla strada?», di solito la risposta è no. A meno che non sia svestita in modo talmente vistoso che non puoi non notarla. Che poi una persona magari per fare la goliardata propone anche: «facciamo il puttan tour!» (non penso di aver bisogno di spiegarvelo). Oppure parte il racconto che l’amico di amici, per l’addio al celibato, è stato portato al night e le tipe si avvicinavano tutte e si strusciavano, ma volevano solo che pagassi da bere. Va beh, la cecità.

Da piccola mia mamma mi dava qualche moneta in mano e mi mandava a dare “il soldino” al mendicante fuori dalla chiesa, per strada o fuori dal supermercato. Oppure gli portavamo il carrello con l’invito a tenersi la moneta che c’era dentro. Oggi entro spedita nel supermercato e riesco a malapena a salutare la persona, di solito un uomo o ragazzo africano, che mi dice «buongiorno». Ma i soldini non glieli dò più.

Starete pensando: «Che stronza« e anche «Ma di cosa sta parlando? Non stavo ascoltando un podcast sull’America Latina?». Ci arrivo.

La tratta di esseri umani

Sia la ragazza sulla strada che la ragazza del night, o il ragazzo che tende la mano sono, per la grandissima parte, dei casi di vittime della tratta di esseri umani. Nel 2000 è stata internazionalmente definita dal Protocollo addizionale sulla tratta delle Nazioni Unite contro il crimine transnazionale, che la definisce così: «La tratta di persone indica il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’ospitare o l’accogliere persone tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità, dando oppure ricevendo somme di denaro o benefici al fine di ottenere il consenso di un soggetto che ha il controllo su un’altra persona, per fini di sfruttamento. Per sfruttamento si intende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione o altre forme di sfruttamento sessuale, lavoro o servizi forzati, la schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù, l’asservimento o l’espianto di organi». E il Protocollo chiarisce che il consenso della vittima è irrilevante, se è stato usato uno dei mezzi citati che l’hanno fatta diventare una vittima di tratta.

Possiamo pensare che sia un traffico di poco conto, che muova pochi soldi e, in fondo, che non abbia grandi dimensioni. In realtà è la terza industria illegale al mondo, dopo il narcotraffico e il traffico di armi. Si stima che siano 20 milioni e 900.000 le persone vittima di tratta, un traffico che muove l’esorbitante cifra di 117 miliardi all’anno.

Secondo i report dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e i Delitti, che divide il mondo in macroregioni, sono aumentati vertiginosamente i numeri delle persone vittime di tratta. Nell’ultimo periodo anche il Covid-19 ha fatto la sua parte, perché la rete dei trafficanti punta le persone vulnerabili come i migranti, i senza lavoro o chi vive una situazione socioeconomica bassa, e quindi è probabile che la recessione causata dalla pandemia abbia posto più persone in pericolo.

Le vittime sono per la maggior parte donne, che vengono vendute per lo sfruttamento sessuale, e bambine, che subiscono lo stesso destino. Gli uomini sono inseriti nel circuito dello sfruttamento lavorativo, incluso caporalato e questua, oltre che dello sfruttamento sessuale. Ci sono altre forme di sfruttamento delle vittime di tratta, come i lavori domestici e l’espianto di organi.

Arriviamo al Centro America, insieme alla regione dei Caraibi, e al Sud America, perché i numeri della tratta sono diversi in base a dove ci troviamo.

Centro America e Caraibi

In Centro America e Caraibi il 79% delle vittime nel 2018 (ultimo report della UNODC, United Nations Office on Drugs and Crime) sono donne e bambine. Le bambine da sole costituiscono il 40% delle vittime totali, cifra che rappresenta la percentuale più alta di tutto il mondo.

La gran parte delle persone sono destinate allo sfruttamento sessuale, l’81%, mentre un 13% va ai lavori forzati e il restante 6% ad altro tipo di sfruttamento.

La maggior parte delle bambine è destinato allo sfruttamento sessuale. Angela Me, attuale capa dell’ufficio Ricerca e Analisi della UNODC, dichiara che questo tipo di sfruttamento può avere una relazione con altri fenomeni nella regione, per esempio l’alto tasso dei femminicidi e di altri crimini di genere, i quali riflettono una cultura della disuguaglianza nella quale donne e bambine sono meno rispettate degli uomini.

Il report suggerisce anche che la violenza domestica e altre forme di violenza contro le donne, bambine e bambini, così come le discriminazioni verso le minoranze etniche, aumentano potenzialmente il rischio che le bambine diventino vittime di tratta.

Al contrario della percezione generale che vuole le vittime di tratta provenienti da paesi stranieri, in America Centrale e Caraibi la grandissima maggioranza dei casi (il 75%) vede donne, uomini, bambine e bambini originari dello stesso paese che li sta sfruttando. E in America del Sud la percentuale sale al 93%.

Se vi chiedessi: «I trafficanti sono per la maggior parte uomini o donne?», cosa rispondereste? Nella zona il 52% delle persone condannate per il traffico di esseri umani sono donne. E l’85% dei condannati, di entrambi i sessi, sono originari del paese dove svolgevano l’attività criminale.

America del Sud

In Sud America il 69% delle vittime di tratta sono donne e il 96% di donne e bambine trattate sono destinate allo sfruttamento sessuale. La seconda forma di sfruttamento più denunciata è il lavoro forzato: Argentina e Cile sono gli unici paesi della regione che riportano vittime di questo tipo. E questo ci dice che tantissimi casi non vengono alla luce e non sono denunciati.

Anche qui, la maggior parte delle vittime di tratta sono sfruttate nel proprio paese di origine o comunque all’interno della regione latina.

Per quanto riguarda il profilo dei trafficanti, in America del Sud il 67% sono uomini.

Fattori di rischio

Secondo la UNODC, due sono i fattori di rischio che colpiscono la regione.

  • I conflitti armati, come quello in Colombia, acutizzano la vulnerabilità delle persone perché debilitano lo stato di diritto. Nello stesso tempo i conflitti armati aumentano la quantità di persone in situazioni disperate, nelle quali si combinano la precarietà economica e un accesso limitato ai servizi di base. Sebbene non ci siano studi relativi al caso della Colombia, l’ufficio della UNODC nel paese ha riconosciuto che la presenza di gruppi armati organizzati coincide con la presenza di economie illegali con rischio di sfruttamento delle persone, specialmente per scopi sessuali.
  • Le crisi migratorie come l’esodo dei venezuelani verso il nord o il sud e i flussi migratori dal Centro America verso il Messico e Stati Uniti, portano tante donne e uomini, e bambine e bambini, a viaggiare senza sicurezze. Cadere nella rete della tratta è un attimo: arrivare in un paese senza documenti, quindi senza possibilità di lavorare, trovare una casa, iscriversi al sistema sanitario (se esiste) rende una persona estremamente vulnerabile. E, magari, venire convinti di guadagnare due soldi in cambio di lavori tipo la parrucchiera, il sarto, la cameriera e ritrovarsi sulla strada o nei campi o rinchiusi in case senza uscita è facilissimo.

Una delle principali sfide per la regione è creare un protocollo per identificare in modo corretto le vittime, creando strutture per la prevenzione dei casi e per accogliere le vittime. In questo senso, l’America Latina ha già raggiunto importanti traguardi, visto che la maggior parte dei paesi ha sottoscritto convenzioni internazionali contro la tratta di persone. Quello che manca è la coscientizzazione del crimine della tratta di persone: persiste una ignoranza diffusa, e dei buchi normativi e istituzionali, che generano cifre oscure e casi rimasti invisibili.

Mercato e acquirenti

Torniamo da dove abbiamo iniziato. Il 30 luglio è la Giornata Mondiale contro la Tratta di esseri umani: ricordiamoci tutto questo quando cominceremo a vedere le donne per strada, i mendicanti fuori dai supermercati, i ragazzi piegati nei campi a raccogliere pomodorini. Chiediamoci, anche solo per un attimo, se è loro volontà stare dove stanno, fare quel che fanno. Se ci viene anche il minimo dubbio che la risposta sia “no”, potremmo fare qualcosa per cambiare la situazione anche in Italia, che vanta cifre esorbitanti del fenomeno. Butto lì idee random: acquistare prodotti che siano certificati, che non provengano dal caporalato; non andare a prostitute, non fare il puttan tour, che di goliardico ha ben poco; fermarsi a parlare con chi ci chiede la moneta del carrello; informarci per primi sui progetti anti tratta delle nostre città e magari suggerire anche alle persone che incontriamo che esiste questa via d’uscita.

Mi spiace per la morale finale, ma se esistono le vittime di tratta, questi prodotti che sono esseri umani, è perché c’è un mercato e ci sono gli acquirenti. Solo che, riconosciamolo, i compratori a volte, spesso, sempre, siamo noi.

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