Il business della guerra – Parte 1
Scritto da Pasquale Angius in data Febbraio 1, 2021
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Il business della guerra: perché purtroppo la guerra, quella che alcuni storici hanno definito un’ “antica festa crudele”, per alcuni può essere un affare, più o meno grande.
Partiamo da una citazione letteraria e da una notizia.
Il romanzo “Guerra e pace” dello scrittore russo Lev Nikoloevic Tolstoj è una delle opere letterarie più importanti dell’Ottocento. Pubblicato nel 1865 è ambientato all’epoca delle guerre napoleoniche e dell’invasione della Russia da parte della Grand Armée, nel 1812.
Di fronte all’avanzata francese i russi scelsero la strategia della terra bruciata: si ritiravano senza ingaggiare battaglia con lo scopo di allungare le linee di rifornimento degli invasori, sperando che l’arrivo del gelido inverno russo li avrebbe fermati. Al comando dell’esercito russo era stato messo un generale di secondo piano, che non godeva di grande prestigio, di nome Michail Ilarionov Kutuzov. In un passo di quel romanzo si presentano di fronte al comandante russo alcuni proprietari terrieri che si lamentano delle razzie e degli abusi fatti dalle sue truppe. Kutuzov risponde a costoro con la seguente frase: «Quando si taglia la legna è normale che volino le schegge». Il concetto che stava dietro quella risposta è che quando si combatte non ci si può preoccupare troppo di quelli che oggi, con un edulcorato eufemismo, chiamiamo “danni collaterali”. Se è in corso una guerra è “normale” che possano esservi coinvolti anche civili innocenti. La risposta di Kutuzov, che potrebbe essere interpretata come una risposta cinica per altri, è semplicemente una risposta realistica.
Nel 2007 i mercenari della Blackwater, una compagnia di sicurezza americana, senza essere provocati aprirono il fuoco in piazza Nisour a Baghdad, uccidendo 17 persone. Tra loro c’era Ali Kinani, 9 anni, che amava farsi chiamare Alawi: seduto dietro, nella macchina del padre con cui stava andando a prendere la zia e i cugini per trascorrere una giornata normale, quando sono stati travolti dagli spari. Ali è stato ucciso e suo padre ora abita negli Stati Uniti, dove si è trasferito per seguire il processo contro i contractors della Blackwater.
Ci sono voluti un decennio di procedimenti legali, processi, appelli, ritiro delle accuse e nuovi processi prima che quattro tra gli autori fossero condannati: Paul Slough, Evan Liberty, Dustin Heard e Nick Slatten − il principale colpevole che è stato condannato all’ergastolo per omicidio di primo grado. Martedì scorso il presidente uscente degli Stati Uniti Donald Trump ha graziato tutti e quattro i detenuti.
I 17 civili uccisi quel giorno a Baghdad potrebbero essere derubricati anche loro tra i “danni collaterali” di un conflitto, quello iracheno, che ha sinora provocato centinaia di migliaia di vittime. Fanno parte anche loro di quelle schegge che, inevitabilmente, volano quando si taglia la legna.
Ma chi sono questi contractor della Blackwater? Oggi si chiamano contractor ma per secoli sono stati chiamati mercenari. La parola mercenario indica, nella versione femminile e in quella maschile, due dei mestieri più antichi del mondo. Quelle che una volta si chiamavano mercenarie oggi si chiamano escort, quelli che una volta si chiamavano mercenari oggi si chiamano contractor. Cambiano i nomi ma non cambia la sostanza.
Truppe mercenarie, cioè soldati che combattevano per soldi a disposizione di chi meglio li pagava, si trovano già nell’antica Grecia. Senofonte era uno storico greco, già allievo di Socrate, che scrisse un libro intitolato “Anabasi” nel quale ripercorre una vicenda della quale lui stesso fu testimone e protagonista. Nel IV secolo a.C. il principe persiano Ciro il Giovane, nel tentativo di usurpare il trono al fratello Artaserse II, mise assieme un esercito formato, in prevalenza, da persiani ma arruolò anche una legione di oltre diecimila mercenari greci. Dopo le Guerre del Peloponneso molti soldati greci rimasero senza lavoro e Ciro pensò di utilizzare la loro esperienza a suo favore. I mercenari greci vincono la battaglia di Cunassa, una località che si trovava nell’odierno Iraq, ma in quello scontro Ciro viene ucciso e con lui muoiono i suoi sogni di gloria. L’armata greca si ritira verso nord, verso l’odierna Armenia, e arriva infine a Trebisonda, sulle coste del Mar Nero. Da lì i greci si imbarcano per la Tracia e così faranno ritorno in patria. Senofonte aveva combattuto anche lui come mercenario, e narra nella sua opera quell’epica ritirata.
Nell’esercito romano, che era formato in prevalenza da cittadini di Roma, esistevano anche le cosiddette auxilia, reparti mercenari forniti da popoli alleati o sottomessi.
In epoca medievale, soprattutto in Italia ma non solo, si diffondono le cosiddette “compagnie di ventura”, bande di mercenari, soldati di professione che offrono i loro servigi a chi meglio li paga. In quell’epoca storica diventano famosi condottieri di quelle compagnie, come Giovanni dalle Bande Nere, Bartolomeo Colleoni, Francesco Bussone detto il Carmagnola, Erasmo Stefano da Narni detto il Gattamelata, Castruccio Castracani. Molti di questi capitani di ventura accumularono fortune immense e alcuni furono a capo di una Signoria, come accadde ai Malatesta di Rimini.
L’utilizzo di truppe mercenarie venne meno dopo la Rivoluzione francese, fino alla metà del Novecento. L’epoca dei nazionalismi stabiliva la regola che gli eserciti dovessero essere formati da cittadini, e l’introduzione della leva di massa cambiò il modo di intendere l’istituzione militare. Era il popolo in armi a dover difendere la patria e a doverlo fare per ragioni ideali e non per danaro. Soltanto in alcuni eserciti vengono mantenuti reparti mercenari: i più famosi sono il Tercio spagnolo e l’ancor più nota Legione Straniera francese.
L’impiego di mercenari riprende dopo la Seconda Guerra Mondiale quando, nel cosiddetto Terzo Mondo, iniziano i movimenti anticolonialisti e le guerre di liberazione. Le ex potenze coloniali, Francia, Gran Bretagna, Portogallo e Belgio utilizzano mercenari per assassinare leader dei movimenti anticolonialisti in Africa e in Asia o per mettere al potere politicanti che salvaguardino i loro interessi. Anche gli Stati Uniti utilizzano mercenari per sistemare alcune questioni politiche nei paesi del Centro e del Sudamerica, quello che gli americani hanno sempre considerato il loro backyard, il cortile di casa, dove poter spadroneggiare a loro piacimento. In quel periodo diventano leggendari personaggi come l’irlandese Mike Hoare, detto Mad Mike (Mike il pazzo) a cui si ispirò un film che ebbe un grande successo alla fine degli anni Sessanta dal titolo I quattro dell’oca selvaggia.
Ma ci sono anche il belga Jean Schramme, soprannominato Black Jack che combatté durante la guerra civile in Congo o il francese Bob Denard.
Attorno a questi cosiddetti dogs of war, i mastini della guerra, sono sorte molte leggende: esaltati o insultati dalla stampa, sono personaggi capaci di muoversi in quella zona d’ombra dove l’interesse privato si coniuga con l’interesse di stati e servizi segreti che hanno necessità di compiere operazioni poco ortodosse senza sporcarsi direttamente le mani.
Negli anni Sessanta anche in Italia si diffonde, negli ambienti neofascisti, il mito del mercenario visto come una sorta di figura eroica, reinterpretazione moderna di quello spirito combattivo che nel Ventennio avevano le camicie nere e che si era perso nella moderna società dei consumi. Mentre l’Italia, dopo anni di privazioni, con il boom economico e il diffondersi di un po’ di benessere, inseguiva i miti consumistici che provenivano dagli Stati Uniti, c’era chi riesumava il mito della “bella morte” in contrapposizione alle mollezze della società borghese. In quegli anni ebbe un certo successo una canzone che si intitolava Il mercenario di Lucera e che si ispirava alle vicende accadute nell’ex Congo belga quando ci fu, nella regione del Katanga, una rivolta separatista supportata da mercenari europei, tra cui pare vi fossero anche alcuni ex repubblichini italiani. Quella canzone cominciava così: il mercenario.
Il tentativo di rivestire la figura del mercenario di un’aura romantica, di presentarlo quasi come una sorta di supereroe solitario e coraggioso che combatte contro il mostro del comunismo ma che disprezza anche la codardia piccolo borghese, non funziona o è comunque un’immagine letteraria che non ha riscontro nella realtà. Non c’è nulla di romantico o di idealistico nei mercenari. Si combatte e si rischia la ghirba soltanto per danaro. Poi certamente qualcuno avrà anche motivazioni di carattere politico o ideale, ma quel che conta sono sempre e soltanto i soldi.
A partire dagli anni Novanta, e poi dopo il 2001 con l’esplodere del fenomeno del terrorismo islamista, cresce la domanda di sicurezza a tutti i livelli e nascono società private che si occupano di sicurezza, sia dal punto di vista della strumentazione tecnologica sia per la fornitura di personale specializzato.
Nel 1997 Erik Prince, un ex ufficiale dei Navy Seals (gli incursori della marina Militare americana), fonda una società che si chiama Blackwater. Negli anni cambierà nome − infatti oggi si chiama Academi − ed è diventata una delle più importanti società di contractor a livello internazionale. Oggi fa parte del gruppo Constellis, una conglomerata con 16.000 dipendenti e capacità operative a livello globale. Il suo motto è: “We go where others won’t and do what others can’t”, che tradotto suona più o meno così: noi andiamo dove gli altri non vogliono andare e facciamo quello che gli altri non possono fare.
I compiti di questi contractor dovrebbero essere soprattutto la scorta di personalità politiche, manager, imprenditori, star dello spettacolo come anche fornire servizi di sorveglianza a depositi di materiali sensibili, impianti industriali, infrastrutture, oleodotti e impianti minerari, oppure fornire personale per la sicurezza delle navi mercantili onde evitare gli assalti di pirati o altri malintenzionati, o infine fornire servizi di addestramento per le forze di sicurezza nei vari paesi.
In realtà nel nuovo millennio con le guerre in Afghanistan e in Iraq, gli Stati Uniti cominciano a utilizzare in maniera massiccia i contractor che talvolta vengono impiegati anche in vere e proprie azioni di tipo militare a fianco dell’esercito regolare. Alcuni alti esponenti del Pentagono sostengono candidamente che i contractors costano meno dei soldati regolari.
Ora, dal momento che i contractor della Blackwater e di altre società simili ingaggiati in Medio Oriente guadagnavano cifre che variavano tra i 500 e i 1.000 dollari al giorno, c’è da chiedersi come sia possibile che costino meno di un esercito regolare. Secondo calcoli, sempre del Pentagono, l’impiego di contractors consentirebbe un risparmio del 10-15% nei costi, un risparmio non indifferente, soprattutto su grandi numeri. I contractor sono pagati molto più rispetto ai soldati regolari ma costano meno nel prima e nel dopo. Cerchiamo di spiegarci. Chi cerca ingaggi con queste società, il più delle volte è gente che ha alle spalle un addestramento e un’esperienza di tipo militare. Si tratta di ex poliziotti, ex militari, ex incursori delle forze speciali, gente che è già stata addestrata al combattimento e all’uso delle armi. Quindi si risparmia sui costi di addestramento.
In realtà poi, negli ultimi anni, soprattutto a causa della crisi economica, si sono avvicinati a questo tipo di mestiere anche molti giovani semplicemente disoccupati, senza alcun tipo di preparazione militare, allettati da guadagni piuttosto elevati. Sono quindi sorte molte società che forniscono a pagamento corsi di qualche mese per l’addestramento militare. Alcuni di questi corsi vengono tenuti da società leader di questo settore come la stessa Blackwater, ma ci sono anche molte società improvvisate − e anche qualche truffatore − che si fanno pagare per corsi di scarsa utilità e che forniscono un addestramento insufficiente. La conseguenza è che molti giovani finiscono per ritrovarsi nel bel mezzo di una guerra sostanzialmente impreparati, dopo che hanno speso i loro risparmi per fare corsi di poca utilità, con il rischio di lasciarci la pelle o di subire ferite gravi. Ma i contractor costano meno anche dopo. Dopo il congedo un militare regolare ha diritto a pensione, programmi di reinserimento nella vita civile, cure mediche e riabilitazione se è stato ferito, mentre il contractor si deve pagare un’assicurazione privata.
Ma ci sono anche altre ragioni per cui i governi talvolta preferiscono i contractor, e sono ragioni inconfessabili ma oggettive. Se muore un soldato regolare l’opinione pubblica potrebbe criticare il governo o ribellarsi − pensiamo alle proteste durante la guerra del Vietnam, negli Stati Uniti. Se muore un contractor, nessuno si preoccupa tranne, forse, i suoi familiari. In fondo se l’è andata a cercare, non glielo aveva ordinato nessuno di andare a fare la guerra.
Quale sia il giro d’affari di queste società di sicurezza è difficile da calcolare. Esistono delle stime che parlano di circa 400 miliardi di dollari all’anno, non certo bruscolini, e di decine di migliaia di operatori ingaggiati da queste aziende.
Anche la Russia negli ultimi anni è diventata molto attiva in questo settore, soprattutto con una società che è diventata piuttosto famosa. Si chiama Gruppo Wagner, ed è stata fondata pare nel 2013 da Dimitrij Valerevic Utkin, un ex colonnello secondo alcune fonti dei servizi segreti militari russi, secondo altre appartenente agli Spetznats, i reparti speciali dell’esercito russo. Secondo diverse fonti giornalistiche in realtà dietro di lui ci sarebbe un importante uomo d’affari ricchissimo, un vero e proprio oligarca: Evghenji Prigozin, molto amico del presidente Putin. Nel giro di pochi anni il Gruppo Wagner è arrivato ad avere più di 6.000 miliziani a disposizione. La maggior parte di costoro sono ex militari russi ma ci sono anche ucraini, moldavi, armeni, kazachi. Questi si possono addestrare in un complesso dell’esercito regolare a Molkino, nella regione di Krasnodar, a conferma degli stretti legami che questa società ha con l’apparato politico-militare russo.
La Wagner è intervenuta nel conflitto con l’Ucraina, nella regione del Donbass, in Sudan, in Madagascar, in Mozambico, in Venezuela, nella Repubblica Centrafricana e in una ventina di altri paesi. Circa 1.200 contractors della Wagner sarebbero attualmente impiegati in Libia a fianco del Generale Haftar, mentre in Siria a difesa del regime di Bashar Assad, nel corso degli ultimi anni pare siano stabilmente impiegati più di 3.000 contractors russi. Nel febbraio 2018 nella regione siriana di Deir al-Zour, al confine con l’Iraq, ci sarebbe stato, da quel che riportano fonti americane come The New York Times, uno scontro diretto tra truppe americane e miliziani della Wagner, battaglia nella quale i russi avrebbero lasciato sul terreno alcune decine di perdite.
I mercenari della Wagner guadagnano meno dei loro equivalenti americani, mediamente sui 2.500 dollari al mese, un compenso che per i parametri russi è comunque piuttosto alto. Ma ci sono anche altri paesi che impiegano in maniera sempre più massiccia i contractors, a cominciare dalla Cina. Ma ne parleremo nella prossima puntata.
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