27 luglio 2021 – Notiziario in genere

Scritto da in data Luglio 27, 2021

Giappone: rivolta delle ginnaste tedesche alle Olimpiadi di Tokyo. Ghana: in arrivo un progetto di legge tra i più duri al mondo contro la comunità lgbtq+. Francia, appello per migliorare la situazione delle donne nella chiesa cattolica. Dubai, caso Pegasus: spiate anche le due principesse. Messico, lo stato di Veracruz depenalizza l’aborto nelle prime 12 settimane di gravidanza.

Ascolta il podcast

Giappone

Flickr/Dick Thomas Johnson | Tokyo 2020 Olympic Games: Monument of Olympic Rings

Rivolta delle ginnaste tedesche alle Olimpiadi di Tokyo: basta sessualizzazione, niente body, meglio la tuta. Almeno fino al termine dei Giochi. Le atlete si sono presentate non con il body tagliato alto sulle cosce, ma con lunghe tute stretch in occasione delle qualificazioni. D’altro canto la nazionale femminile tedesca è stata la prima a indossare, agli Europei di Ginnastica artistica di aprile scorso, delle divise con calzamaglia fino alla caviglia. I colleghi maschi di sport come la ginnastica compiono di fatto gli stessi movimenti della colleghe donne e si presentano con divise che coprono interamente il corpo, come per esempio pantaloni lunghi per gli esercizi alla sbarra o pantaloncini per quelli a terra.

La scelta della squadra – composta da Elisabeth Seitz, Kim Bui, Pauline Schafer e Sarah Voss – non contravviene alle regole della Federazione internazionale di ginnastica ma non ha visto al momento molte altre atlete seguire la stessa strada. In Bulgaria, qualche settimana fa, la squadra femminile norvegese di beach handball (cioè pallamano da spiaggia) ha dato il via alla cosiddetta “guerra degli shorts” rifiutandosi di gareggiare in bikini. Perché gli uomini possono indossare pantaloncini per lo stesso sport in cui le donne devono mostrarsi in bikini, si chiedono? La squadra si è vista comminare una multa per violazione alle regole sulle divise ufficiali da indossare in nazionale.

Ghana

Nana Ama Agyemang Asante

In Ghana è stato presentato al parlamento un progetto di legge anti-gay che potrebbe includere la possibilità di comminare fino a 10 anni di carcere alle persone lgbtq+ ma anche a gruppi o persone che difendono i loro diritti e offrono appoggio, sostegno sociale o medico. La legge potrebbe diventare tra le più dure al mondo, secondo quanto ricostruisce il Guardian. Per le persone intersessuali si parla dell’ipotesi, per il governo, di indirizzarle a ricevere un intervento chirurgico di “riallineamento di genere”. “L’omosessualità non è un diritto umano. È una preferenza sessuale”, scrive su Twitter Sam Nartey George, parlamentare che definisce i diritti degli omosessuali come una “perversione” e guida il gruppo di legislatori al lavoro sulla proposta di legge. “Faremo passare questo disegno di legge”, assicura. Nana Ama Agyemang Asante, giornalista e attivista ad Accra, si dice “sbalordita dai contenuti, dalla crudezza del linguaggio e dalla crudeltà dietro l’intento” del disegno di legge. “Ho trascorso tutto il mio tempo come giornalista sostenendo i diritti dei gay, quindi non posso credere che siamo arrivati a questo punto in cui vogliono criminalizzare tutto e tutti, compresa l’esistenza di alleati, persone intersessuali e asessuali”.

https://twitter.com/samgeorgegh/status/1418346101778878473

Francia

Dalla Francia e dal collettivo femminista “Toutes Apôtres!” arriva un appello per migliorare la situazione delle donne nella chiesa cattolica con la richiesta della creazione di una commissione indipendente. “Desideriamo che si apra uno spazio di inchiesta e di proposte”, dicono le componenti di “Toutes Apôtres!” in una lettera alla conferenza epicopale francese in cui sottolineano le differenze d’accesso a dei posti di responsabilità nonché le disparità salariali. Il collettivo è composto da sette donne lo scorso anno che l’anno scorso si sono candidate ad accedere a delle funzioni vietate alle donne nella tradizione cattolica romana. Tra loro, Sylvaine Landrivon, 65 anni, che aspira a diventare vescova. “La Chiesa cattolica, senza le donne, cade”, dice Landrivon, dottoressa in teologia. La denuncia è quella di una “specie di omertà” cui rispondere con la necessità di dare la parola alle donne per rompere il silenzio. La richiesta è quella di una commissione indipendente per “fare il punto” della situazione sul ruolo delle donne nell’ambito alla Chiesa.

Dubai

Wikimedia Commons/Tiina Jauhiainen | La principessa Latifa

A Dubai i numeri di telefono di due principesse sarebbero stati trovati nella lista dei potenziali bersagli di spionaggio nel caso Pegasus: secondo quanto riporta la Bbc c’è anche quello di Latifa, la figlia del sovrano di Dubai, insieme a quello della principessa Haya Bint al-Hussain, sua ex moglie. A inizio dell’anno Latifa aveva mandato un video in cui denunciava di essere tenuta in ostaggio e di avere paura per la sua incolumità. La stessa Haya è scappata da Dubai due anni fa dicendo di temere per la sua vita. Gli Emirati Arabi Uniti hanno negato le accuse di entrambe le donne.

I loro contatti si troverebbero in un elenco di circa 50mila numeri di telefono di persone ritenute di interesse per i clienti della società israeliana NSO Group e che – secondo un’inchiesta portata avanti dalle principali testate internazionali – sarebbero state potenziali bersagli di alcuni governi autoritari. Per Amnesty International la notizia delle principesse di Dubai spiate sarebbe un ulteriore esempio della “lista delle violazioni dei diritti umani” di cui sono rimaste vittime.

La principessa Latifa – ne abbiamo parlato più volte qui su RadioBullets – aveva detto alla Bbc di aver tentato di fuggire da Dubai per iniziare una nuova vita, ma era stata rapita e imprigionata. Non è stata vista o sentita da mesi. Negli ultimi mesi sul profilo Instagram di un conoscente sono apparse immagini della principessa in pubblico e addirittura in viaggio. Haya dal canto suo ha accusato il suo ex marito di rapimento, tortura e di una campagna di intimidazioni.

Messico

Lo stato di Veracruz, uno dei più popolosi del Messico, ha depenalizzato l’aborto nelle prime 12 settimane di gravidanza. È la quarta regione del paese conservatore dell’America Latina a farlo. La norma è stata approvata con 25 voti a favore e 13 contrari. “Questa decisione garantisce autonomia e libertà a più donne, ragazze e adolescenti”, scrive su Twitter l’Information Group on Reproductive Choice (GIRE). Che ricorda come l’aborto non sicuro resti la quarta causa di morte materna in Messico. La legislazione è “una delle più progressiste in Messico”, dice l’organizzazione non governativa Catholics for the Right to Decide, che accoglie con favore la rimozione del limite di tempo per l’aborto nei casi di stupro. Una decisione analoga era stata adottata poche settimane prima nello stato centrale di Hidalgo. Prima di queste novità l’aborto era legale solo a Città del Messico dal 2007 e nello stato meridionale di Oaxaca dal 2019. Nel resto dei 32 stati del Messico la procedura è consentita in caso di stupro, sebbene la maggior parte imponga limiti di tempo di 12 settimane o 90 giorni.

Ti potrebbe interessare anche:

E se credete in un giornalismo indipendente, serio e che racconta recandosi sul posto, potete darci una mano cliccando su Sostienici


[There are no radio stations in the database]