8 marzo 2021 – Notiziario
Scritto da Barbara Schiavulli in data Marzo 8, 2021
Ascolta il podcast
- Iran: rilasciata l’operatrice umanitaria Nazanin Zaghari-Ratcliffe e subito dopo riaccusata (in copertina).
- India: i rohingya temono la deportazione.
- Europa: 83% delle donne limita i suoi movimenti per evitare molestie.
- Svizzera: via il niqab.
- Esplosione in Guinea Equatoriale, morti e centinaia di feriti.
- Filippine: uccisi 9 attivisti dopo che il presidente Duterte ha detto «uccidete tutti i comunisti».
- Proteste in Thailandia, Myanmar e Libano.
- Il presidente del Paraguay chiede le dimissioni di tutti i ministri.
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets, a cura di Barbara Schiavulli. Musiche di Walter Sguazzin
Giornata internazionale delle donne
Secondo una nuova analisi della International Rescue Committee (IRC), la richiesta media di finanziamento per combattere la violenza di genere (GBV) raggiunge solo il 3% del totale necessario, con meno di $ 11 stanziati per persona bisognosa di sostegno e nonostante la maggiore attenzione all’impatto di Covid-19 sulle donne e ragazze, alle organizzazioni per i diritti delle donne è stato impedito di assumere un ruolo guida nei processi decisionali di Covid-19.
Yemen
Almeno 8 persone sono rimaste uccise e altre 170 ferite in un incendio scoppiato in un centro di detenzione per migranti nella capitale yemenita Sanaa, ieri: lo ha riferito l’Agenzia delle Nazioni Unite per la migrazione. Non è chiaro cosa abbia causato l’incendio nel centro gestito dai ribelli houthi. «Siamo estremamente rattristati dalla morte di migranti e guardie a seguito di un incendio in una struttura di detenzione a Sana’a, nello Yemen, oggi», ha scritto su Twitter la direttrice dell’Agenzia per le migrazioni delle Nazioni Unite (IOM), Carmela Godeau. «Il bilancio totale delle vittime potrebbe essere molto più alto», ha aggiunto.
#BREAKNG We are extremely saddened by the death of migrants & guards resulting from a fire at a holding facility in Sana'a, Yemen, today. 8 people confirmed dead; the total death toll is reported to be much higher. All those affected and their families are in our thoughts. (1/3) pic.twitter.com/3E7fzFoXPm
— Carmela Godeau (@CarmelaGodeau) March 7, 2021
Un funzionario delle Nazioni Unite ha detto ad Associated Press che l’incendio è scoppiato in un hangar vicino a dove erano trattenuti più di 700 migranti. La maggior parte di loro era stata presa nella provincia settentrionale di Saada mentre tentava di attraversare il confine con l’Arabia Saudita. Decine di migliaia di migranti continuano a viaggiare attraverso le acque del Corno d’Africa per cercare lavoro come governanti, operai edili e servi nei paesi ricchi del Golfo, nonostante il conflitto in corso nello Yemen. L’incendio di domenica è solo uno dei tanti pericoli che i migranti hanno affrontato negli ultimi sei anni di crisi nello Yemen.
La coalizione militare a guida saudita ha sferrato diversi attacchi aerei contro la capitale dello Yemen Sana’a, controllata dagli huthi, dopo aver intercettato 10 droni lanciati verso l’Arabia Saudita dai ribelli sostenuti dall’Iran.
Iran
L’Iran ha rilasciato l’operatrice umanitaria britannico-iraniana Nazanin Zaghari-Ratcliffe, agli arresti domiciliari, alla fine della sua pena detentiva di cinque anni, ma non ha fatto in tempo a gioire perché è stata nuovamente convocata in tribunale con un’altra accusa: lo ha riferito ieri il suo avvocato, Hajjat Kermani. Zaghari-Ratcliffe, una project manager della Thomson Reuters Foundation, è stata arrestata in un aeroporto di Teheran nell’aprile del 2016 e successivamente condannata, a detta delle autorità, per aver complottato per rovesciare l’establishment clericale.
Zaghari-Ratcliffe, che ha scontato la maggior parte della pena nella prigione di Evin a Teheran, è stata rilasciata lo scorso marzo durante la pandemia di coronavirus e tenuta agli arresti domiciliari, ma i suoi movimenti sono stati limitati e le è stato impedito di lasciare il paese. Ieri le hanno tolto il braccialetto elettronico. Kermani ha spiegato che l’udienza per il secondo caso di Zaghari-Ratcliffe è stata fissata per il 14 marzo. «In questo caso è accusata di propaganda contro il sistema della Repubblica islamica per aver partecipato a una manifestazione davanti all’ambasciata iraniana a Londra nel 2009 e aver rilasciato un’intervista al canale televisivo persiano della BBC, nello stesso tempo», ha detto Kermani. La donna si dichiara da sempre innocente e anche il governo di Londra contesta le accuse iraniane. Il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab, ha definito «crudele e intollerabile» il trattamento inflittole e ha intimato all’Iran di restituirle definitivamente la libertà affinché possa tornare nel Regno Unito da marito e figli.
Iraq
Si è conclusa la visita del Papa in Iraq, un programma intenso che ha visto l’incontro con l’ayatollah al-Sistani, la massima autorità religiosa sciita. Entrambi hanno ribadito il loro impegno per la tolleranza religiosa.
Video of the meeting between Grand Ayatollah Sistani and Pope Francis circulating on Iraqi social media. pic.twitter.com/zuA8fpPhOt
— Muhammad Al-Waeli (@muhammadalwaeli) March 6, 2021
Intanto il premier iracheno ha dichiarato il 6 marzo “Giornata della tolleranza e coesistenza in Iraq”. Papa Francesco ha lanciato un sentito appello per la convivenza pacifica in Iraq ieri, mentre pregava per i morti in guerra del paese tra le rovine di quattro chiese demolite a Mosul, distrutte nella guerra contro l’autoproclamato Stato Islamico che aveva occupato la città. Delle persone fuggite, poche sono tornate da quando l’IS è stato sconfitto nel 2017 e Francesco è venuto in Iraq per incoraggiarli a rimanere e aiutare a ricostruire il paese e ripristinare quello che ha definito un «tappeto intricato» di fede e gruppi etnici. Una scena, quella della messa del papa, immaginabile appena 4 anni fa.
Siria
Un sospetto attacco missilistico su un impianto di carico di petrolio, utilizzato dalle forze di opposizione sostenute dalla Turchia nel nord della Siria, ha scatenato un enorme incendio in una vasta area dove le petroliere sono normalmente parcheggiate, come mostrano immagini aeree e satellitari. I gruppi di opposizione siriani hanno accusato la Russia del bombardamento di venerdì sera vicino alle città di Jarablus e al-Bab, vicino al confine con la Turchia. In un rapporto l’Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede in Gran Bretagna, ha affermato che le navi da guerra russe nel Mediterraneo hanno lanciato tre missili che hanno colpito le raffinerie di petrolio e le autocisterne nella regione. Ha aggiunto che più di 180 camion e cisterne sono stati bruciati nell’enorme incendio, e almeno 4 persone sono state uccise e 24 ferite.
Foto e video dal cielo, scattate dal gruppo della protezione civile dell’opposizione siriana noto come White Helmets, hanno mostrato decine di lavoratori che lottano per estinguere un enorme incendio causato dalla combustione di autocisterne petrolifere in un campo aperto, mentre fumo nero e grigio copre l’area.
Le immagini satellitari di Planet Labs Inc. analizzate da Associated Press domenica hanno anche mostrato le conseguenze di un grande incendio che ha devastato un’area vicino a Jarablus tra venerdì e sabato mattina. Le foto satellitari del sito, a circa 75 chilometri (45 miglia) a nord-est della città siriana di Aleppo, mostrano centinaia di autocisterne radunate nell’area.
Turchia
Oggi migliaia di donne sono già per le strade della Turchia per chiedere reti di solidarietà nella loro lotta contro la violenza di uno Stato patriarcale. Le donne in Turchia affrontano una grave oppressione e, con l’aumento dei casi di femminicidio, il paese sta diventando «un mattatoio», dicono le attiviste, molte delle quali in carcere. Le manifestanti si oppongono ai piani della Turchia di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul che obbliga i firmatari ad affrontare la criminalità di genere, fornire protezione e servizi alle donne e garantire che i responsabili siano perseguiti. Ma coloro che sono scese in piazza sono stati accolte dalla violenza della polizia e molte sono state arrestate. Le donne chiedono alle loro controparti in tutto il mondo di unirsi in reti di solidarietà per unire la lotta.
Libano
Manifestanti inferociti sono scesi in piazza sabato, in Libano, per il quinto giorno consecutivo, dopo che il drammatico crollo della valuta locale ha acuito il disordine politico di lunga data nel paese. Martedì la sterlina libanese è scesa di valore a un nuovo minimo di 10.000 per dollaro, innescando un rapido aumento dei prezzi, che pochi possono permettersi di pagare, oltre a ulteriori interruzioni di corrente in tutto il paese a causa dei ritardi nell’arrivo delle spedizioni di carburante. Mentre il primo ministro Hassan Diab ha minacciato di autosospendersi per convincere i politici a formare un governo, il popolo libanese ha bloccato le strade, dato fuoco ai pneumatici e si è unito alle proteste per la frustrazione. A Beirut la folla si è radunata davanti all’associazione bancaria per chiedere l’accesso ai propri depositi, prima di trasferire le proprie frustrazioni al palazzo del parlamento. La gente vuole che tutti i 118 parlamentari si dimettano.
#Lebanon
Demonstrators across Lebanon have set fire to tyres at makeshift roadblocks for the fifth consecutive day in protest about the collapse of the Lebanese pound, which dropped to a new low of 10,000 to the dollar on Tuesday. pic.twitter.com/5bl9jmScuJ— Barbara (@BGarattini) March 7, 2021
Tunisia
Migliaia di persone sono scese per le strade di Tunisi, sabato, per chiedere il rilascio di un attivista LGBTQ che è stata incarcerata per aver insultato la polizia. Rania Amdouni è stata l’obiettivo di una feroce campagna diffamatoria da parte degli agenti, che hanno postato le sue fotografie sui social media dopo aver preso parte alle proteste contro la violenza della polizia nel gennaio scorso. I sindacati di polizia hanno anche pubblicato il suo nome e indirizzo, insieme a commenti sprezzanti, mettendola a serio rischio di attacchi violenti. I suoi avvocati hanno detto che è stata condannata a sei mesi, giovedì, dopo che era andata alla stazione di polizia per presentare una denuncia per intimidazione.
Costa d’Avorio
Il Partito Democratico della Costa d’Avorio (Pdci), primo partito di opposizione e alleato del partito dell’ex presidente Laurent Gbagbo, ha rivendicato la vittoria alle elezioni legislative tenutesi ieri, prima della proclamazione ufficiale dei risultati. «Rivendichiamo la vittoria», ha detto il coordinatore generale del Pdci per le elezioni legislative Niamkey Koffi in una conferenza stampa ad Abidjan, precisando di temere una manipolazione dei risultati.
Senegal
L’ordine di detenzione per disturbo dell’ordine pubblico del leader dell’opposizione senegalese Ousmane Sonko è stato revocato oggi: lo ha detto Bamba Cisse, uno dei suoi avvocati. Sonko testimonierà davanti al giudice alle 11:00 ora locale per l’accusa di stupro e minacce di morte, ha aggiunto l’avvocato. Accuse che lui nega e ritiene motivate politicamente. Proteste sono esplose durate la settimana in tutto il paese dopo l’arresto di Sonko il 3 marzo e hanno causato almeno cinque morti, tra cui un adolescente, e molti feriti. Anche le scuole del paese sono state chiuse fino al 15 marzo a causa delle proteste.
Guinea Equatoriale
Una serie di esplosioni ha colpito una caserma militare della Guinea equatoriale uccidendo almeno 20 persone e ferendone più di 600, domenica. Il presidente Teodoro Obiang Nguema ha detto che l’esplosione − alle 16:00 ora locale − è dovuta al «trattamento negligente della dinamite» nella caserma militare situata nel quartiere di Mondong Nkuantoma a Bata. «L’impatto dell’esplosione ha causato danni in quasi tutte le case e gli edifici di Bata», ha aggiunto il presidente. Il ministero della Difesa ha rilasciato una dichiarazione in cui si afferma che un incendio in un deposito di armi nella caserma ha causato un’esplosione di munizioni di grosso calibro. Ha detto che sarà fatta un’indagine sulla causa dell’esplosione.
Unione Europea
Secondo un sondaggio condotto su quasi 35mila persone nei paesi dell’Unione Europea, le donne hanno maggiori probabilità degli uomini di subire molestie sessuali e spesso cambiano quotidianamente il loro comportamento per evitare rischi. L’83% delle donne tra i 16 e i 39 anni cambia il luogo di destinazione o limita le persone con cui stare per evitare molestie, restringendo così il campo della propria libertà, spiega l’indagine sulla criminalità condotta dall’Agenzia dell’Unione Unione Europea per i fondamentali diritti (FRA). Il 41% delle donne evita di stare sola con qualcuno che conosce rispetto al 25% degli uomini. Una donna su 4 nel 2020 è stata vittima di molestie.
Svizzera
Con il 51,2% vince un “Sì” risicato al referendum, in Svizzera, sull’iniziativa detta “anti-burqa”. Il referendum di ieri è stato presentato dal Partito popolare svizzero (SVP), di destra, che ha promosso slogan come “Stop all’estremismo”. Un importante gruppo islamico svizzero ha detto che è stata «una giornata buia» per i musulmani. «La decisione odierna apre vecchie ferite, amplia ulteriormente il principio di disuguaglianza giuridica e invia un chiaro segnale di esclusione alla minoranza musulmana», ha affermato in un comunicato il Consiglio centrale dei musulmani. Il governo svizzero si era opposto al divieto dicendo che non spettava allo stato stabilire cosa debbano indossare le donne. Secondo una ricerca dell’Università di Lucerna, nessuno in Svizzera indossa il burqa, come in nessun’altra parte d’Europa, e solo una trentina di donne indossa il niqab. Circa il 5% della popolazione svizzera, 8,6 milioni di persone, è musulmana, la maggior parte originaria della Turchia, della Bosnia e del Kosovo.
Francia
Ha mentito, la studentessa che denunciò Samuel Paty, arrabbiata perché fatta uscire dalla classe, in quanto musulmana, prima che venissero mostrate le vignette di Maometto pubblicate su Charlie Hebdo. Mentì al padre perché non voleva confessargli che in classe non c’era: la conseguenza fu che il professore venne decapitato da un ceceno: lo si legge nelle deposizioni rilasciate dalla ragazzina alla polizia.
Stati Uniti
Ieri, centinaia di manifestanti sono scesi per le strade di Minneapolis, mentre la tensione saliva alla vigilia del processo dell’ex poliziotto Derek Chauvin per la morte di George Floyd. I manifestanti hanno mostrato una bara bianca drappeggiata di fiori, hanno chiesto giustizia razziale e la fine della brutalità della polizia. «Dobbiamo ricordare che un uomo ha perso la vita, una famiglia ha perso un fratello, una famiglia ha perso un padre, un figlio, uno zio», ha detto a Star Tribune Mohamed Ibrahim, vicedirettore del CAIR-MN. Chauvin, 44 anni, è accusato di omicidio di secondo grado e omicidio colposo di secondo grado per la morte di Floyd. Il video dell’accaduto, diventato virale, mostrava l’ex poliziotto con il ginocchio sul collo di Floyd per quasi nove minuti mentre chiede aria. L’incidente scatenò proteste in tutto il mondo condannando la brutalità della polizia.
Paraguay
Il presidente paraguaiano Mario Abdo Benitez ha chiesto a tutti i ministri di governo di dimettersi, dopo gli scontri tra manifestanti e polizia durante le proteste contro la gestione da parte del governo della crisi del coronavirus. Venerdì sera sono scoppiati scontri tra manifestanti e polizia nel centro della capitale Asunción. I rivoltosi hanno lanciato pietre contro gli agenti, che a loro volta hanno usato proiettili di gomma e gas lacrimogeni.
Sabato la Commissione interamericana per i diritti umani (IACHR) ha espresso preoccupazione per le notizie secondo cui la polizia ha usato forza eccessiva contro le persone durante le proteste, mentre ha invitato le autorità a indagare sulle denunce di violazioni dei diritti umani. Le manifestazioni sono avvenute nel pieno di un’indignazione crescente per un’impennata della pandemia di Covid-19 in Paraguay, dove le infezioni hanno raggiunto livelli record e gli ospedali sono sull’orlo del collasso. Giovedì il Senato aveva adottato una risoluzione che chiedeva al ministro della Salute Julio Mazzoleni di dimettersi proprio a seguito della gestione della pandemia da parte del governo. Venerdì Mazzoleni ha annunciato, dopo un incontro con il presidente, di aver presentato le proprie dimissioni.
India
La polizia indiana ha arrestato più di 150 rifugiati rohingya che vivevano illegalmente nella regione settentrionale di Jammu e Kashmir, avviando così il processo per rimpatriarli in Myanmar. Decine di rohingya si trovano in un “centro di detenzione” improvvisato nella prigione di Hira Nagar di Jammu, dopo che le autorità locali hanno condotto test biometrici e di altro tipo su centinaia di persone per verificare la loro identità. «L’unità fa parte di un esercizio per rintracciare gli stranieri che vivono a Jammu senza documenti validi», ha detto uno dei due funzionari. «Abbiamo avviato il processo di rimpatrio di questi rifugiati», ha aggiunto il funzionario. Il governo federale del primo ministro indiano Narendra Modi ha demolito lo status speciale di Jammu e Kashmir nell’agosto 2019 e ora amministra la regione da Nuova Delhi. Il governo nazionalista indù considera i rohingya, che sono musulmani, come stranieri illegali e un rischio per la sicurezza, e ha ordinato che migliaia di loro, che vivono in insediamenti sparsi, siano identificati e rimpatriati. Centinaia di migliaia di rohingya sono stati costretti a fuggire dalla loro patria, a maggioranza buddista, dopo la repressione dei militari del Myanmar nel 2017. La maggior parte si trova in campi fatiscenti al confine con il Bangladesh. Il Myanmar nega le accuse di genocidio e afferma che l’esercito stava combattendo una legittima campagna contro l’insurrezione.
Gli agricoltori indiani hanno bloccato una superstrada a sei corsie fuori New Delhi per celebrare il centesimo giorno di proteste contro la deregolamentazione dei mercati agricoli, aumentando la pressione sul governo del primo ministro Narendra Modi. Gli agricoltori, giovani e meno giovani, si sono diretti in autostrada con auto, camion e trattori per un blocco stradale di cinque ore, sabato, per opporsi a tre leggi agricole emanate nel settembre 2020 che, secondo loro, li danneggeranno e distruggeranno i loro mezzi di sussistenza, aprendo il settore agricolo a grandi privati e aziende.
Thailandia
Sabato, centinaia di manifestanti hanno marciato nella capitale tailandese Bangkok per attirare l’attenzione sulla legge draconiana sulla diffamazione reale e sulla difficile situazione dei loro leader detenuti. La protesta è stata in gran parte pacifica ed è stata organizzata da una coalizione di diversi gruppi di protesta. I gruppi chiedono le dimissioni del primo ministro Prayuth Chan-ocha e del suo governo, che la costituzione sia resa più democratica e che la monarchia sia più responsabile. I critici del regime sono stati effettivamente messi a tacere da una legge sulla lesa maestà, che protegge il potente re del regno Maha Vajiralongkorn e la famiglia reale dalla diffamazione, con pene detentive fino a 15 anni.
Myanmar
La polizia del Myanmar ha occupato ospedali e università e ha arrestato centinaia di persone coinvolte nella protesta contro il colpo di Stato militare del mese scorso; nel frattempo una coalizione di sindacati ha indetto uno sciopero nazionale per oggi. La tensione è rimasta alta questa notte nella città più grande del paese, Yangon, dove si sono sentiti colpi di arma da fuoco pesanti in diverse aree dopo il coprifuoco delle 20:00. Le forze di sicurezza prendono di mira il personale e le strutture mediche, attaccando le ambulanze e l’equipaggio. Si teme che la presenza della polizia negli ospedali consenta alle autorità di arrestare i feriti, che si presume siano manifestanti.
Un funzionario del partito della Lega nazionale per la democrazia della leader de facto, Aung San Suu Kyi, è morto sotto la custodia della polizia: lo ha confermato un funzionario del partito al servizio birmano di VOA, mentre le forze di sicurezza continuano a reprimere le proteste. Il membro dell’NLD Khin Maung Latt era stato arrestato sabato durante i raid notturni a Yangon ed è morto durante la detenzione, ha detto il parlamentare del partito Sithu Maung. La causa della morte non è stata diffusa. Tun Kyi, portavoce dell’Association Assistance for Political Prisoners, ha riferito a VOA Burmese News di aver accompagnato la famiglia a reclamare il corpo di Khin Maung Latt e di aver visto sangue sulla testa, dita annerite e ferite sulla schiena.
Filippine
Almeno nove attivisti sono stati uccisi a seguito di raid simultanei della polizia nel nord delle Filippine, avvenuti solo due giorni dopo che il presidente Rodrigo Duterte aveva ordinato alle forze governative di “uccidere” e “finire” tutti i ribelli comunisti nel paese. Ieri sei persone sono state anche arrestate durante i raid in tre province che circondano Metro Manila, mentre almeno altre sei sono “scappate”. La polizia ha anche affermato di avere mandati di arresto contro diciotto persone, aggiungendo che alcuni hanno opposto resistenza all’arresto provocando così la loro morte. Gruppi per i diritti umani, Karapatan e il Partito Kabataan (Gioventù) hanno contestato le dichiarazioni del governo, affermando che le persone uccise erano state “giustiziate”.
Emmanuel “Manny” Asuncion, leader sindacale nella provincia di Cavite, appena fuori Manila, è tra gli uccisi, ha detto in un comunicato la federazione dei pescatori Pamalakaya. UPLB Perspective, una pubblicazione studentesca dell’Università delle Filippine, ha riferito che due organizzatori del lavoro, marito e moglie, sono stati uccisi nella provincia di Batangas, al confine con la capitale filippina. Chai e Ariel Evangelista, insieme al loro figlio di 10 anni, risultavano scomparsi poche ore prima della loro morte. Il luogo in cui si trova il loro figlio rimane sconosciuto.
Yet another outrageous Bloody Sunday. Duterte gov’t continues its brutal anti-communist campaign by killing legal activists under a dubious legal cover provided by judge-enablers. This @hrw statement has the right perspective. @IntlCrimCourt: Take note, take heed, take action. https://t.co/cStbCfRDqQ
— John Nery (@jnery_newsstand) March 7, 2021
E da parte nostra anche per oggi è tutto. Vi ricordo e vi invito stasera a partecipare sulla nostra pagina Facebook, in diretta alle 19:00, al primo aperitivo in diretta di Radio Bullets: il titolo è “Donne, guerre e giustizia” e nostri ospiti saranno una cooperante italiana che lavorava in Sudan del Sud, vittima di guerra, e un avvocato del team di legali che difende le vittime palestinesi alla Corte Penale Internazionale.
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