A chi importa se vivi o muori?

Scritto da in data Luglio 11, 2024

“Ho preso una specie di corriera che partiva una volta alla settimana e che doveva coprire la tratta Burkina-Tahoua.

Lì c’era molta gente in attesa della partenza: c’era un uomo che aveva tante macchine e che organizzava i trasporti dal Niger all’Algeria.

Chi aveva soldi partiva subito, mentre che non aveva denaro doveva lavorare per questo signore in Niger.

In altri casi ancora le persone venivano vendute da questo signore ad altre persone in Algeria, in modo che lavorando gratis per loro potessimo pagare il nostro debito di viaggio.

Io ho lavorato gratis per loro sia in Niger che in Algeria, fino a quando mi hanno accompagnato al confine con la Libia: il confine era da attraversare a piedi attraverso campi che erano protetti da fili elettrificati”.

Omar C., rifugiato senegalese in Italia

Pochi giorni fa è stato pubblicato il report On this journey no one cares if you live or die – Abuse, Protection and Justice along Routes between East and West Africa and Africa’s Mediterranean Coast, redatto dall’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU (UNHCR), dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e dal Mixed Migration Centre (MMC).

Il rapporto

Il volume aggiorna e integra il primo report del 2020, voluto per mappare e avere un’idea più chiara di cosa succede durante il viaggio nei migranti che partono dall’Africa Sub Sahariana o dal Corno d’Africa e arrivano nel Nord Africa, focalizzandosi soprattutto sui rischi e sulle diverse forme di violenza che accadono durante la migrazione.

Sono stati intervistati più di 31.000 rifugiati e migranti tra il 2020 e il 2023, domande somministrate dal MMC, dal Missing Migrants Project and Counter Trafficking Data Collaborative di OIM, e da UNHCR Protection Monitoring.

Le voci dei migranti

Quello che risulta dalle voci dei migranti intervistati, sono esperienze drammatiche di cui non si parla abbastanza e di cui si ha poca conoscenza.

Fin dalla partenza dal proprio villaggio o città e per tutto il viaggio, fino a posare il piede su una barca (se non vengono uccise prima), le persone migranti sono a rischio abusi e violenze di ogni tipo. Più che un rischio: subire violenze e abusi è una certezza.

In totale, si sa che 1.180 persone sono morte durante la traversata del deserto del Sahara nel periodo compreso tra gennaio 2020 e maggio 2024 (IOM), ma si ritiene che il numero sia molto più elevato. Nello stesso periodo, circa 7.115 persone in movimento sarebbero morte o scomparse nel Mar Mediterraneo.

Crimini contro l’umanità, morte, violenze sessuali e di genere, tortura e violenza fisica, rapimento a scopo di riscatto, tratta di persone, rapina, detenzione arbitraria, espulsioni collettive e respingimento.

Questo è l’elenco non esaustivo degli “orrori inimmaginabili” che i rifugiati e i migranti sperimentano lungo le rotte che si estendono dall’Est e dal Corno d’Africa e dall’Africa occidentale verso le coste del Mar Mediterraneo e poi verso l’Europa.

Più recentemente, la situazione della sicurezza si è ulteriormente deteriorata in diversi paesi, generando un aumento degli sfollamenti e dei movimenti transfrontalieri di persone bisognose di protezione internazionale e di migranti.

Zone pericolose

Ogni luogo del viaggio è rischioso per le persone, ma le interviste hanno permesso di circoscrivere alcune zone più pericolose di altre: il deserto del Sahara – comprese località come Sabha in Libia, Agadez in Niger e Tamanrasset in Algeria – è riconosciuto come una parte molto pericolosa del viaggio.

Altre aree pericolose includono Tripoli in Libia, Khartoum in Sudan, Bamako e Douentza in Mali, Téra in Niger e Humera in Etiopia.

Dopo lo scoppio del conflitto, il Sudan sta diventando un luogo ancora più difficile da attraversare, con le persone che fanno sempre più affidamento sui trafficanti per un passaggio sicuro attraverso e intorno alle zone di conflitto, il che porta ad un aumento delle tariffe e ad accordi potenzialmente più di sfruttamento.

I viaggi attraverso il Sahel, il Nord Africa e il Mar Mediterraneo continuano ad essere estremamente pericolosi. In molti casi, per evitare il controllo delle frontiere o altri posti di blocco da parte di attori statali e non statali, o zone di conflitto attive, le rotte del traffico si spostano verso aree più remote dove le persone in movimento sono soggette a maggiori rischi.

In Ciad, Libia, Mali, Niger e Sudan, rifugiati e migranti attraversano sempre più aree in cui operano gruppi di ribelli, milizie e altri attori criminali, aumentando il rischio di tratta di esseri umani, rapimenti a scopo di riscatto e lavoro forzato, compreso lo sfruttamento dell’oro informale miniere.

Attraversare il deserto prendendo strade isolate aggrava ulteriormente il pericolo di incidenti stradali a seguito dei quali i trafficanti spesso abbandonano le persone a morire.

I trafficanti lasciano le persone sole nel deserto anche se sviluppano malattie durante il viaggio.

Secondo alcuni rapporti, quando intercettano rifugiati e migranti che si spostano nel deserto, le pattuglie ufficiali e non ufficiali spesso estorcono carburante, denaro e telefoni cellulari come pagamento per consentire loro di continuare il viaggio.

Abusi e violenze

Le violenze sessuali e basate sul genere (violenze fisiche, emotive, psicologiche, sessuali e negazione di risorse o accesso ai servizi, minacce di violenza e coercizione) rappresentano quasi un passaggio inevitabile per le donne migranti, che spesso, oltre a essere stuprate e aggredite sessualmente da bande criminali, trafficanti e altri, devono pagare tangenti attraverso i cosiddetti favori sessuali, anche per interi gruppi di migranti.

Secondo UN Women, circa il 90% delle donne e ragazze che si spostano per raggiungere il Mediterraneo vengono violentate.

Molti hanno riferito di aver assistito o subito stupri o aggressioni sessuali e hanno spesso menzionato rapporti di sfruttamento in cambio dell’accesso a beni di prima necessità, tra cui alloggio, protezione e denaro.

Secondo gli intervistati, gli autori dei reati sarebbero bande criminali, gruppi armati e milizie, trafficanti e, in alcuni casi, funzionari militari e governativi.

La mancanza di accesso alla giustizia, la paura, la vergogna, i traumi e la stigmatizzazione da parte delle famiglie e delle comunità spesso impediscano alle donne e ragazze di denunciare gli abusi.

Per i ragazzi e gli uomini è ancora più difficile denunciare, anche a causa dello stigma e della vergogna.

Di conseguenza, l’impatto e la prevalenza delle violenze sessuali su uomini e ragazzi, anche nel contesto della migrazione, sono probabilmente gravemente sottostimati.

I rapimenti

Il rapimento a scopo di riscatto è una pratica comune lungo la rotta del Mediterraneo centrale, dove rifugiati e migranti vengono rapiti, tenuti in condizioni igieniche deplorevoli, ridotti in schiavitù, picchiati giorno e notte, lasciati deliberatamente alla fame al punto da provocare una perdita di peso e una malnutrizione potenzialmente letali, e a cui vengono negate le cure mediche per costringere i parenti che vivono all’estero o nel paese di origine a pagare un riscatto.

Numerose testimonianze parlano di torture, stupri e altre atrocità. In alcuni casi, le autorità riescono a liberare gli ostaggi e ad arrestare i colpevoli, ma nella maggior parte dei casi vengono pagati dei riscatti, aumentando la situazione debitoria dei familiari che sono costretti a vendere i propri averi per soddisfare la domanda dei rapitori.

La detenzione arbitraria

La detenzione arbitraria di rifugiati e migranti che si spostano lungo la rotta è un fenomeno comune.

La ricerca dell’OIM sugli effetti sulla salute mentale e sul benessere psico-sociale delle esperienze di migrazione, ritorno e reintegrazione dei migranti in situazioni vulnerabili che sono stati aiutati dall’OIM a ritornare volontariamente in Etiopia, Somalia e Sudan, rileva che l’essere stati detenuti all’estero, è fortemente correlato aver subito diverse forme di abuso.

Secondo un sondaggio del MMC, la Libia è percepita come il paese in cui il rischio di detenzione è più elevato per i rifugiati e i migranti che si spostano irregolarmente.

Tra i rischi elencati dalle persone intervistate, anche rapine, violenze fisiche, traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale o lavorativo, espulsioni di massa e respingimenti.

Chi sono i carnefici?

Gli autori delle violenze percepiti dalle vittime cambiano in base a dove sono state perpetrati gli abusi: ci sono bande criminali, sentite come i principali responsabili, seguite da gruppi armati, trafficanti, enti statali, altri migranti, persone provenienti da comunità locali e familiari.

Nel contesto di continui conflitti, instabilità, povertà, disuguaglianza, cambiamento climatico, cattiva governance e violazioni dei diritti umani nei paesi di origine e di transito, così come nel forte bisogno di manodopera migrante in molti paesi di destinazione, le persone continueranno a spostarsi lungo percorsi misti rotte di movimento attraverso l’Africa verso la costa mediterranea e talvolta verso l’Europa.

Come risulta chiaro, esaminando i risultati del periodo coperto da questo rapporto (2020/2023) le persone in movimento continuano ad affrontare orrori inimmaginabili e inaccettabili.

Pertanto, è necessario fare di più per fornire protezione e assistenza su misura, nonché meccanismi di ricerca e salvataggio per i rifugiati e i migranti in movimento, soprattutto lungo la parte meno visibile del viaggio che si estende lungo il deserto del Sahara.

Inoltre il report evidenzia la necessità di bilanciare l’attenzione generale prestata dalla comunità internazionale alle tragedie che accadono nel Mar Mediterraneo e alle morti e alle atrocità che rifugiati e migranti affrontano nel deserto e in altri tratti terrestri della rotta.

Sottolinea la necessità di stabilire un’adeguata risposta programmatica sul territorio coinvolgendo governi, comuni, autorità e comunità locali, organizzazioni internazionali e società civile.

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