Afghanistan: niente scuole superiori per le ragazze

Scritto da in data Settembre 19, 2021

Kabul – L’assistente della direttrice ci accoglie in un bello studio dove al centro troneggia la vecchia bandiera afghana, quella nera, rossa e verde sostituita ormai ovunque da quella bianca dei talebani che si vede per le strade di Kabul. La donna ci avverte che la sua capa arriverà a momenti, nel frattempo ci confida che quando sono arrivati i talebani a Kabul ha pianto per due giorni. Indossa una sorta di tailleur bianco, un velo rosa pastello e due belle zeppe ai piedi che non devono essere tanto amate dai talebani. Non è uscita vestita così, ormai le donne si coprono completamente e poi, quando arrivano da qualche parte, tornano alle vecchie abitudini.

Ieri sono ricominciate le scuole in Afghanistan. Per i maschi. Le bambine possono andare solo alle elementari e finire le università private, se le stanno frequentando. Non essendo permesso alle ragazze di andare alle scuole superiori (e neanche alle insegnanti donne), il prossimo anno non ci sarà un prossimo primo anno all’università e nel giro di quattro o cinque anni non ci saranno più ragazze che studiano, se non alle primarie.

Sidiqa Mushtaq dirige un istituto di scienze sanitarie, in pratica un corso parauniversitario frequentato da chi lavora in ospedale e non è medico, da chi fa analisi, dalle ostetriche. Ci chiede di non fare il nome della scuola per ragioni di sicurezza, il posto ha 1.300 studenti di cui la metà ragazze, anche se ora la maggior parte non frequenta. Ha dovuto comunque dividere le classi, che fino a due mesi fa erano miste, facendo andare le ragazze alla mattina e i ragazzi nel pomeriggio.

«Ora siamo nel limbo, ogni giorno i talebani dicono qualcosa e la nostra vita peggiora: io sono qua, ma non so ancora per quanto». Mushtaq è una delle donne che ha partecipato alle manifestazioni dei giorni scorsi. Suo marito la sostiene e le era accanto ma, ammette con un mezzo sorriso che più amaro non potrebbe essere, che gli uomini sono impotenti di fronte al frantumarsi dei diritti delle donne «anche perché se ci bastonano quando protestiamo, a un uomo farebbero peggio. I nostri uomini hanno paura. Tutti hanno paura. Questo paese sguazza nella paura. Sono stata minacciata al telefono, sui social, ho dovuto chiudere il profilo Facebook, ogni donna che ha una posizione è nel mirino».

Come ci si sente a passare da una vita normale, per quanto potesse esserlo prima, a questo? «I nostri sentimenti, le nostre sensazioni sono imprigionate, non possiamo permetterci di provare qualcosa. Tutto quello che abbiamo fatto in questi anni è andato distrutto, tutta la libertà che ci siamo guadagnate è svanita. Non vediamo futuro e un paese che non ha istruzione è perduto». Vicino a lei siede Iana, un’attivista per i diritti umani e studentessa di 23 anni che dice di aver perso tutto. Tutto? «Lavoravo già in ospedale e ora non ci posso più andare, devo stare a casa, chiusa a casa tutto il tempo, l’unica cosa che ci resta sono i social, così possiamo ancora passare il tempo, restare in contatto con le amiche», ma i tempi delle passeggiate in una delle città più trafficate al mondo o le riunioni nei caffè sono finiti.

«Abbiamo bisogno di diritti, di libertà, uguaglianza», incalza la direttrice, «non possiamo vivere così. Quando sono andata a manifestare ero terrorizzata, temevo ci sarebbe stata un’esplosione, ma ero talmente disperata da essere disposta a correre il rischio». Perché i talebani ce l’hanno tanto con l’istruzione? «Perché una donna istruita parla, lotta, i talebani vogliono persone ubbidienti, non vogliono persone con la mente aperta. E questa è un’arma potente, più di qualsiasi fucile e dico di più: non credo che i talebani accetteranno mai una donna nel loro processo politico, potranno anche dirlo ma nessuna di noi crede che accadrà».

«Oggi essere donna in Afghanistan, significa continuare a nascondersi, significa non usare il proprio nome se si scrive qualcosa, significa stare a casa e lasciarsi andare. Vedi, ci sono due tipi di donne oggi qui: quelle attive, quelle che scendono in piazza, quelle che continueranno a lottare di nascosto e poi ci sono quelle che accetteranno i talebani o che non hanno i mezzi e l’istruzione per opporsi, perché in realtà si tratta della necessità di sopravvivere».

Per un attimo i nostri sguardi si posano sulla vecchia bandiera dell’Afghanistan che sorge, impietrita, davanti a lei, direttrice. Lei non cambia la bandiera come hanno fatto tutti? «No», dice con uno schiocco che è quasi una frustata sulla nostra conversazione. Un “no” lapidario, di quelli che non ammettono repliche. «Non cambierò mai questa bandiera. Amo questa bandiera. Questa è la bandiera del mio paese».

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