Bambini, guerra e il potere del gioco
Scritto da Radio Bullets in data Ottobre 21, 2023
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In questi giorni credo che ognuno di noi sia colpito da quanto accade in Israele, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Ho lavorato come psicologo in Medio Oriente quasi vent’anni fa e vorrei condividere con voi alcuni ricordi e considerazioni. Quanto vi racconterò non ha alcuna connotazione di natura politica, è un pensiero rivolto alla pressione esercitata dalle condizioni di crisi sugli individui, alla rilevanza del lavoro degli insegnanti, al potere benefico del gioco per i bambini.
La Striscia di Gaza è uno dei contesti più difficili in cui abbia mai lavorato ma anche uno dei luoghi in cui ebbi una delle sorprese più gradite. Era il 2005 e a Gaza vi erano ancora le colonie. In un agglomerato di case circondato dagli insediamenti sorgeva anche un piccolo asilo. L’ambiente circostante si caratterizzava da edifici collassati sotto il peso dei colpi da fuoco, l’aria era spesso minata dalle esplosioni e le persone che vivevano in quella zona soffrivano di limitazioni ai bisogni fondamentali e di povertà di movimento al di fuori di quella fetta di terra.
La presenza delle colonie rendeva faticoso l’accesso anche al personale della Mezza Luna Palestinese. Ricordo come fosse oggi quell’edificio isolato che, pur sembrando abbandonato, era l’unico a non riportare i segni del conflitto. La struttura modesta si ergeva nella sabbia ed era circondata da pochi arbusti spogli e qualche giocattolo che mostrava un tentativo apparentemente vano di offrire opportunità di svago ai bambini. Eppure, tutte le volte che entravo nel piccolo asilo rimanevo estasiato: in un mondo parallelo fatto di giochi e urla divertite i bambini descrivevano e riscrivevano con l’attività ludica la loro realtà; attraverso il gioco di finzione costruivano scenari ricchi di possibilità in cui diventavano attori di gesta eroiche e protagonisti di storie fantastiche.
Gli insegnanti dell’asilo sostenevano e facilitavano le imprese dei bambini offrendo un sorriso calmo e rassicurante a dispetto di quanto succedeva fuori. Mi soffermavo spesso a chiedermi cosa rendesse possibile tutto questo. Nell’insieme quei bambini erano esposti ad una moltitudine di fattori critici. Non è possibile generalizzare, ma per tutti loro la quotidianità poteva essere turbata dall’irrompere di esplosioni, ulteriore distruzione e repentine operazioni militari. La ricerca mostra che la situazione che turba maggiormente il nostro stato emotivo è quella in cui si combina un’elevata percezione di minaccia alla propria incolumità e la perdita di persone care. Credo che la possibilità che tra quei bambini alcuni avessero subito dei lutti fosse molto elevata. Ad aggravare la situazione vi era anche la cronicità protratta di questa esposizione e la loro giovane età.
Con il tempo ho realizzato che, mentre erano presenti tutti gli ingredienti per destabilizzare l’esistenza di un individuo, vi erano anche quelli che ne tutelano la salute come i poteri della connessione umana e del gioco che permettono di creare una sensazione di sicurezza e opportunità di crescita. Il gioco permette di padroneggiare ed elaborare situazioni complesse e sviluppare competenze utili nel superamento di situazioni sfidanti; è uno strumento che consente di coltivare resilienza e rafforzare i circuiti neurali che aiutano ad ottimizza la regolazione degli stati fisiologici e passare rapidamente da una condizione di attivazione ad uno stato di calma.
Ho frequentato quell’asilo poche volte, infinitamente meno di quante avrei voluto, ma quell’esperienza più di altre ha fissato per me alcuni aspetti rivelatori della natura umana. In primo luogo, come posto in evidenza da numerose ricerche su trauma ed eventi critici, l’atteggiamento dei carers offre un potente fattore protettivo anche nei confronti delle circostanze più sopraffacenti. Gli adulti sono dispensatori di sicurezza per i più piccoli e, come affermano Masten e colleghi, uno dei risultati più duraturi della letteratura sulla guerra e su altri disastri è l’effetto protettivo che è in grado di offrire la vicinanza dei genitori e di altre figure di attaccamento ai bambini anche nelle circostanze più terrificanti e che mettono a repentaglio la vita.
La resilienza si può esercitare e in quelle interazioni che testimoniavo nel piccolo asilo i bambini godevano indubbiamente del proprio presente mentre nutrivano la propria crescita e sviluppavano abilità per affrontare le difficoltà. Ciononostante, una parte importante di quello che avveniva era invisibile agli occhi. I fattori di protezione riuscivano effettivamente a controbilanciare l’irruenza di situazioni così estreme? L’adattamento alle circostanze traumatiche è un processo dinamico e complesso che coinvolge sistemi multipli che interagiscono sia all’interno che all’esterno dell’individuo e questo aspetto non può essere sempre colto nell’immediato.
La ricerca scientifica illustra come l’esposizione alle sfide possa contribuire a rendere l’organismo sempre più abile nel gestire situazioni difficili ma indica anche che ognuno di noi ha dei limiti e, superata una certa soglia, possiamo sviluppare delle vulnerabilità che diventano dei tratti permanenti della nostra personalità e con cui dobbiamo fare i conti per la nostra intera esistenza. Pesano la giovane età, la tipologia dell’evento, il controllo che abbiamo su di esso o la sensazione di impotenza che ne ricaviamo, la sua durata, l’aggiungersi di stress ulteriori, il sostegno che riusciamo ad ottenere e quanto tutto questo lavoro costa al nostro organismo. C’è qualcosa di incredibile nella natura di ognuno di noi che permette di affrontare situazioni estreme ma che è altrettanto delicato.
Purtroppo, non si diventa resistenti alle avversità, immuni dal peso degli eventi ed è impensabile riuscire ad affrontare costantemente situazioni critiche senza il supporto di altre persone. Il benessere si basa su equilibri fragili. Pensando agli insegnanti del piccolo e affollato asilo, mi rendo conto che nonostante le difficoltà del contesto riuscivano ad offrire ai bambini uno scudo alle esperienze più difficili e una serie di opportunità di crescita. Ma quale era il costo emotivo e psicologico per riuscire a coinvolgere, distrarre, co-regolare, autoregolarsi, stimolare, proteggere i bambini in un contesto così denso di sfide e pericoli? Su che tipo di sostegno potevano contare gli insegnanti all’esterno del loro contesto di lavoro?
Ogni tentativo di gestire situazioni difficili o estreme come nel caso di Gaza è oneroso per l’organismo e non possiamo sapere quale sia il nostro punto di rottura. Lo sforzo di alcuni individui e gruppi può facilmente venire meno modificando in modo decisivo un delicato equilibrio. Tutto può diventare ingestibile, soprattutto quando non possiamo contare sul sostegno dalle persone a noi vicine. Spero che queste parole abbiano suscitato il vostro interesse, magari delle riflessioni o il desiderio di approfondire alcuni argomenti. Mi vengono in mente la natura e il costo dello stress, i concetti di “crisi” e “resilienza”, “ambiente tossico” e “ambiente arricchito”, o ancora, capire cosa ci rende sicuri dal punto di vista psicologico, di cosa abbiamo bisogno per crescere sani e ben regolati oppure perché a volte delle circostanze apparentemente futili hanno il meglio su di noi.
A distanza di molti anni dalla mia esperienza in Medio Oriente e in molti altri contesti di crisi nel mondo ho maturato una consapevolezza: la situazione più difficile nella vita di un individuo può essere l’esperienza quotidiana nella vita di un’altra persona. È difficile capacitarsi che alcune situazioni esistano realmente e che eventi critici e terribili accadano regolarmente ad alcune persone. Questo pensiero mi è di grande aiuto perché agevola il passaggio dal giudizio alla comprensione nel mio lavoro, e dal lamento e l’insofferenza alla riflessione e all’azione nella vita privata.
Claudio Mochi
Claudio Mochi è docente, autore e speaker internazionale esperto in interventi di emergenza e trauma con oltre 20 anni di esperienza in contesti di crisi e post-disastro. Claudio è Psicologo e Psicoterapeuta, Registered Play Therapist Supervisor™ dell’APT degli Stati Uniti. Fondatore e Presidente dell’Associazione Play Therapy Italia APTI, Direttore scientifico del programma formativo e del master universitario dell’International Academy for Play Therapy (INA) con sede a Lugano, Svizzera. Nel 2015 ha ottenuto negli Stati Uniti il premio “Outstanding contributions to the practice and teaching of Filial Therapy”.
Pubblicazioni recenti: Cassina I., Mochi C. and Stagnitti K. (eds.) (2023) Play therapy and expressive arts in a complex and dynamic world: Opportunities and challenges inside and outside the playroom, UK: Routledge. Mochi C. (2022) Beyond the clouds: An autoethnographic research exploring good practice in crisis settings, USA: Loving Healing Press. Mochi C. e Cassina I. (2021) Introduzione alla play therapy. Quando il gioco è la terapia, Svizzera: INA Play Therapy Press.
Foto di copertina: gerhard-reus – Unsplash
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