I talebani a Oslo
Scritto da Barbara Schiavulli in data Gennaio 23, 2022
Terra di Pace e negoziati, non è stato facile per gli afghani vedere i talebani atterrare a Oslo in Norvegia. Alcuni sono scesi in piazza, altri hanno scosso la testa vedendo la notizia. Per molti ci vuole un bel pelo sullo stomaco per dare ancora credito ai talebani.
Sede del Premio Nobel per la pace, la Norvegia in passato è stata coinvolta in sforzi di stabilizzazione di tanti paesi, tra cui Mozambico, Afghanistan, Venezuela, Colombia, Israele e Territori Palestinesi, e Siria. E a guardare i risultati, con il senno del poi, quasi nessuno è andato poi così bene.
La prima delegazione del neo governo afghano ad andare in Europa da quando i talebani hanno preso il potere in Afghanistan, ha detto il ministro degli Esteri norvegese sui diritti umani. Loro malgrado hanno dovuto incontrare uno spicchio di società civile fatta di donne, attivisti, difensori dei diritti umani, alcuni ancora in Afghanistan, altri della diaspora. Tutti chiusi in un albergo dove, fuori, le temperature non sono diverse da quelle che avrebbero in patria.
Finora i rappresentati talebani hanno viaggiato in Russia, Iran, Qatar, Pakistan, Cina e Turkmenistan. Guidata dal ministro degli Esteri Amir Khan Mutaqi, il gruppo, dopo aver parlato con rappresentanti della società civile, incontrerà i diplomatici occidentali domani e dopodomani. Una delegazione statunitense, guidata invece dal rappresentate speciale per l’Afghanistan Tom West, ha intenzione di «discutere di un sistema politico rappresentativo, delle risposte all’urgente crisi umanitaria ed economica, del terrorismo e dei diritti umani con un focus sull’istruzione per le ragazze e le donne», a quanto si legge su una dichiarazione diffusa dal Dipartimento di Stato americano.
Dal canto suo Muttaqi punta a liberare 10 miliardi di dollari congelati dagli Stati Uniti e altri paesi Occidentali nel pieno di una crisi umanitaria, sociale ed economica. Le Nazioni Unite sono riuscite a dare un po’ di liquidità e hanno permesso alla nuova amministrazione di pagare le importazioni, compresa l’elettricità.
Dopo 20 anni di guerra, pochi avrebbero immaginato che i talebani potessero finire seduti ai tavoli del resto del mondo e porre condizioni, anche se Anniken Huitfeldt, ministro degli Esteri norvegese, qualche giorno fa ha voluto precisare che le visita «non è una legittimazione o un riconoscimento dei talebani. Ma dobbiamo parlare con coloro che oggi governano il paese». Stessa cosa ha fatto capire l’Unione Europea annunciando la riapertura della sede diplomatica a Kabul. Ma in pratica, quello che non viene detto, viene fatto.
«Siamo estremamente preoccupati per la grave situazione in Afghanistan», ha detto Huitfeldt, osservando che le condizioni economiche e politiche hanno creato «una catastrofe umanitaria su vasta scala per milioni di persone» che devono affrontare la fame nel paese. Il 97% della popolazione si trova sotto la soglia della povertà, e secondo l’Unicef un milione di bambini sono a rischio di morte per fame.
I talebani lo sanno bene, le stesse persone che solo qualche mese fa mettevano ordigni sotto i mezzi militari dell’esercito afghano e prima ancora uccidevano soldati internazionali, nonché civili che fossero in alberghi o mercati, ora usano la povertà e la sofferenza della gente per ottenere i soldi di cui hanno disperato bisogno.
Quanto potranno durare i talebani? Lo abbiamo chiesto oggi a un uomo d’affari afghano, di cui per ragioni di sicurezza non diamo il nome. «Fino a quando la gente avrà paura, anche cent’anni», ci dice, «e badate bene, l’élite non è neanche così male, il problema sono i combattenti ovunque per le strade, la bassa manovalanza; quello di prima era un paese pieno di difetti, ma la criminalità che c’è ora non si era mai vista».
Secondo l’emittente televisiva NRK, che la delegazione talebana parli o meno anche con Huitfeldt durante la loro visita, dipenderà da come andranno i primi incontri. Un ex ministro afghano per le miniere e il carburante, che ora vive in Norvegia, Nargis Nehan, ha detto ad AFP di aver rifiutato l’invito a partecipare. Ha riferito di temere che i colloqui «avrebbero normalizzato i talebani e li avrebbero rafforzati: non sono affatto cambiati. Se guardiamo a quello che è successo nei colloqui degli ultimi tre anni, i talebani continuano a ottenere quello che chiedono dalla comunità internazionale e dal popolo afghano, ma non c’è una sola cosa che abbiano concesso da parte loro».
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