Myanmar, Amnesty: “Torture nelle prigioni”
Scritto da Radio Bullets in data Agosto 2, 2022
In un nuovo rapporto pubblicato oggi, Amnesty International denuncia che, nelle prigioni e nei centri d’interrogatorio di Myanmar, persone arrestate per essersi opposte al colpo di Stato militare del febbraio 2021 vengono regolarmente sottoposte a torture e ad altri trattamenti crudeli e degradanti. Il rapporto, intitolato “Quindici giorni che sembravano 15 anni”, si è basato su una quindicina d’interviste a ex detenuti, avvocati ed esperti, e sull’esame di oltre cento fonti giornalistiche. Tutte le testimonianze hanno descritto l’orrore iniziato al momento dell’arresto, durato per tutto il periodo degli interrogatori e della detenzione, e proseguito persino dopo la scarcerazione.
Secondo l’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici, dal colpo di Stato del primo febbraio 2021 la giunta militare al potere in Myanmar ha arrestato oltre 14.500 persone e ne ha uccise oltre 2.000. I militari al potere violano la legge a ogni livello, dice Amnesty: arrestano senza mandato di cattura, obbligano a rilasciare “confessioni” con la tortura, sottopongono i detenuti a sparizione forzata, operano rappresaglie contro i parenti degli arrestati, isolano questi ultimi da ogni contatto col mondo esterno.
L’esempio più drammatico è stata, nel luglio 2022, l’esecuzione di quattro condanne a morte, due delle quali nei confronti di un noto attivista per la democrazia e di un ex parlamentare. Si è trattato delle prime esecuzioni dopo trenta anni. Nei bracci della morte restano oltre settanta prigionieri, mentre altre quarantuno persone sono state condannate alla pena capitale in contumacia. «Con questo vile e brutale trattamento dei detenuti, i militari di Myanmar cercano di fiaccare lo spirito delle persone e di costringerle ad abbandonare ogni resistenza al colpo di Stato. Ma stanno ottenendo l’effetto opposto: la popolazione di Myanmar non si piega, nonostante questa lunga serie di violazioni dei diritti umani», dice Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International. «Chiediamo con urgenza che la giunta militare scarceri le migliaia delle persone che stanno languendo nelle carceri solo per aver esercitato i loro diritti. Sollecitiamo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ad aumentare la pressione, sottoponendo la situazione di Myanmar al Tribunale penale internazionale e applicando un embargo sulla fornitura di armi e sanzioni mirate».
Sottoposti a scariche elettriche e picchiati
I funzionari delle prigioni prendono a calci e a schiaffi i detenuti, li picchiano col calcio dei fucili, con cavi elettrici e con i rami degli alberi di palma. I detenuti vengono inoltre sottoposti a torture psicologiche, quali le minacce di morte e di stupro, per costringerli a confessare o estorcere informazioni su attività contro i militari. A un detenuto è stata inviata in cella una busta contenente una bomba, poi rivelatasi falsa. Molti ex detenuti intervistati da Amnesty International hanno riferito di aver visto altri detenuti pieni di ferite, sporchi di sangue, con gli arti spezzati e i volti gonfi. Gli addetti agli interrogatori si rendono responsabili anche di reati sessuali e di violenza di genere. Saw Han Nway Oo, una transgender, è stata arrestata nel settembre 2021 perché sospettata di aver preso parte a un corso di autodifesa. È stata portata al centro interrogatori di Mandalay, noto per le torture che si praticano al suo interno. È stata interrogata per tre giorni. Ha riferito che le hanno procurato dei tagli alle ginocchia con uno strumento appuntito per poi spruzzare una sostanza urticante sulle ferite sanguinanti. Per tutto quel periodo, non ha ricevuto acqua né cibo. «Durante l’interrogatorio, quando usavo pronomi femminili per riferirmi a me stessa, mi dicevano che ero gay, mi mostravano i genitali e dicevano che avrebbero dovuto piacermi». I militari hanno esaminato la sua corrispondenza con la propria dottoressa e le hanno chiesto se si fosse sottoposta a un’operazione per cambiare sesso. Infine, l’hanno spogliata e si sono messi a ridere guardando il suo corpo. Altre persone Lgbti hanno riferito di essere state sottoposte a ispezioni e controlli intimi per — nelle parole di un’ex detenuta — «sincerarsi di che sesso fossimo».
Bendati e isolati
Gli arresti vengono normalmente eseguiti durante dei raid notturni. Soldati e agenti di polizia sfondano le porte delle abitazioni, picchiano le persone che si trovano all’interno, mettono tutto a soqquadro, portano via telefoni e computer e a volte persino oggetti di valore come i gioielli. Una delle leader delle proteste, Ma Win, è stata arrestata a bordo di un autobus nella regione di Mandalay. L’hanno presa a schiaffi, ammanettata, bendata e portata in una località sconosciuta. Durante un interrogatorio durato oltre ventiquattro ore, è stata presa a calci e più volte minacciata di morte. Per gli avvocati è estremamente difficile scoprire dove vengano portati i loro clienti. A volte sono costretti a pagare mazzette per avere anche la più piccola informazione. Le prigioni sono sovraffollate, con casi in cui cinquanta detenuti sono costretti a dividere una cella per dieci. Nel cibo si trovano insetti morti e vermi. Nonostante l’esperienza della detenzione abbia lasciato profondi strascichi emotivi, molti attivisti sono determinati a resistere. «Non molleremo mai. Siamo come telefoni, quando la batteria è a zero ci ricarichiamo!», dice Saw Han Nway Oo.
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