Venezuela: la gente del ponte
Scritto da Barbara Schiavulli in data Luglio 25, 2024
CUCUTA al confine – Il sole cocente batte sul ponte che divide la Colombia dal Venezuela. L’aria è così tersa che il calore sembra arrivare da tutte le parti. Gocce di sudore scivolano sui volti della gente che in un flusso continuo come quello dell’acqua del fiume che va avanti e indietro.
Sul ponte le guardie di frontiera si nascondono sotto le tettoie e si muovono solo per controllare qualche macchina, sotto il ponte, invece, dove c’è un’altra strada e poi un’ampia e alta vegetazione costellata di rifiuti, ci sono poliziotti armati di tutto punto che controllano le macchine che tentano di entrare illegalmente.

credits: Andy Marin
@andymarinx
Il confine
Non ci sono muri, recinzioni, confini. Se uno non ha i documenti in regola, passa attraverso quella che chiamano la “giungla”, attraversano camminando la foresta accompagnati da guide che li portano dall’altra parte fino al primo villaggio.
Attraverso questa linea immaginaria, super porosa, passa tutto quello che non può attraversare regolarmente il ponte, dai trafficanti, ai traffici, alle persone.
Il rischio è quello di incontrare i guerriglieri, di venire rapinati, a volte rapiti, se non aggrediti. Ma se si passa, si è, da una parta o dall’altra, nel giro di qualche ora di faticoso cammino.
Il popolo del ponte, invece, fatto di persone che vengono in Colombia per far la spesa perché costa meno, o per lavorare, i giovani vengono a studiare. E poi rientrano in Venezuela.
Ma a tre giorni dalle elezioni, molti tornano in Venezuela per votare. Persone arrivate da ogni parte del Sudamerica, immigrati che hanno messo da parte i propri risparmi perché nei paesi dove si sono rifugiati, non possono votare.
Su otto milioni di fuoriusciti, la maggior parte dei quali negli ultimi anni, solo qualche decina di migliaia potrà recarsi nelle ambasciate o nei consolati per confermare la propria scelta, tutti gli altri hanno dovuto decidere quanto fosse importante questo momento per la storia del Venezuela.
“Sono povero. Vendo biscotti sul ponte per risparmiare i soldi per prendere un mezzo per andare a votare con tutta la mia famiglia. Eppure, ce l’avevo un lavoro, ma in Venezuela gli stipendi sono troppo bassi”, ci dice un ragazzo di 36 anni che una volta dipingeva le carrozzerie della macchine”.
Per chi voti?
Per chi voti? “Per la Machado, perché rappresenta il cambiamento, perché di lei mi fido”.
Maria Corina Machado, un’ingegnera civile, che ha fatto politica tutta vita, una donna forte, carismatica, a cui di fatto è stato impedito candidarsi, ma che negli anni è riuscita a fare quello che non accadeva da tempo, non solo unire il paese, ma dargli una speranza. Non è candidata, ma appoggia Edmundo Gonzales Urrutia, un ex diplomatico di 74 anni.
Estella Perez, 43 anni, lavora in una piccola azienda e non ha dubbi, “voto Maria Corina”, la chiama per nome come se fosse una vecchia amica, “è seria, coerente, e ci ha dato speranza”.

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Cambiamento e Speranza
Cambiamento e speranza sono le parole che si sentono più spesso in questi giorni. E la Machado se un merito lo ha avuto, è stato quello di riuscire ad incanalare la frustrazione, talvolta la disperazione e la rabbia di milioni di persone in qualcosa di positivo. Se andranno a votare, questa volta, potrebbero fare la differenza.
Di fatto, queste elezioni hanno già cambiato il paese. La forza politica costruita da Maria Corina Machado e la presenza di una candidatura legalizzata davanti all’autorità elettorale (come quella di Edmundo Gonzalez Urrutia), ha completamente sconvolto l’asse politico venezuelano.
Fino a dieci mesi fa Maduro risultava imbattibile per qualsiasi sondaggio di opinione, oggi nessuno in Venezuela dubita che l’unica incertezza che grava sulle elezioni, sia la natura autoritaria del regime.
Se le elezioni saranno trasparenti, la vittoria di Edmundo Gonzalez, per sondaggi e analisti politici indipendenti, è scontata per tutti. Vero anche che non abbiamo avuto accesso ai sostenitori di Maduro, perché non siamo riusciti a parlare con nessuno.
Quello che potrebbe accadere in Venezuela, a detta di tutti quelli con i quali abbiamo parlato, sarà la dimostrazione che è possibile estromettere un governo autoritario attraverso il voto.
L’unico modo in cui Maduro potrebbe salvarsi, ci spiega un analista, è se molti venezuelani, mossi dalla scoraggiante propaganda sia della campagna del suo Partito Socialista che cerca di mostrarsi onnipotente, sia di settori marginali dell’opposizione estremista che (a loro agio dall’esilio) twittino che “in una dittatura non si vota”.
E decidessero che il modo migliore per rovesciare il regime, è quello di sedersi sulle loro poltrone con le braccia incrociate e magari twittare finché non passa l’ora del voto, in attesa di un intervento armato degli Stati Uniti che non arriverà mai, non importa chi occuperà la Casa Bianca.
I quattro scenari
“Siamo di fronte a quattro scenari”, ci dice Edgar Allan Nino Prato, analista politico e professore universitario, “Maduro decide che vincerà a prescindere dal volo, d’altra parte lui e i suoi controllano tutto, seconda possiblità: la vittoria di Edmundo Gonzales e una negoziazione per l’uscita di Maduro, si vocifera della Turchia dove avrebbe sistemato i suoi beni.
Terzo scenario, il caos totale qualora non venisse da entrambe le parti riconosciuta la vittoria dell’uno o dell’altro e quarto, la guerra civile, oppositori contro il governo con l’intervento internazionale e una fuga di massa dal paese”.
Prato sottolinea che la Colombia, in questo periodo sta discutendo su questo ultimo scenario, e si ritiene non assolutamente pronta ad assorbire una massa di persone che vogliono andarsene. Intanto ha rafforzato la presenza militare alle frontiere inviando un centinaio di soldati.
“Bisognerebbe essere preparati sotto ogni punto di vista da quello educativo, abitativo, sanitario. Se la gente non è accolta, rischia di finire nelle mani della criminalità perché la disperazione può far fare qualsiasi cosa. Ho tanti studenti venezuelani al mio corso, giovani in gamba che credono di non avere futuro nel proprio paese”.

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Il segreto di Pulcinella
Marco Maldonado abbassa il finestrino mentre è in fila sul ponte e ci dice che non può dire chi voterà. Il segreto di Pulcinella. Ci può dire se vuole un cambiamento? Sorride divertito, “certo che voglio un cambiamento, sono un commerciante e porterò tutta la mia famiglia a votare, siamo in 20”, afferma mentre dietro la moglie incapace di trattenersi, dice “Viva la Machado” e tutti scoppiano a ridere.
Ma il sorriso si trasforma in una smorfia di amarezza perché le cose sono sempre un po’ più complicate di quel che sembrano, sebbene la gente del ponte non veda altro che un futuro Venezuela libero, bisogna ancora fare i conti con il presente.

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Nicolas Maduro ha usato diverse volte il suo potere politico per cambiare la situazione a proprio vantaggio. E non è cambiato. Né lui, né il suo governo, né l’autorità elettorale. Quello che sembra completamente diversa è la società civile venezuelana.
Dall’emergere della leadership di Maria Corina Machado e dalla nascita di una nuova speranza di cambiamento attraverso mezzi elettorali, la società civile venezuelana è in piena fioritura ed è diventata molto più coraggiosa con il passare dei giorni.
Il team di Machado ha formato gruppi organizzati in tutto il paese che aspirano a difendere il voto della Piattaforma dell’Unità il 28 luglio 2024.
Pubblicheranno uno spoglio parallelo che riflette i veri risultati nel caso in cui il bollettino del Consiglio Elettorale Nazionale (CNE) li modifichi.
Un altro segno è il massiccio sostegno e la partecipazione alle grandi manifestazioni che Machado ha convocato nel suo lungo viaggio attraverso il territorio venezuelano.
La voglia di votare
Assistiamo al fatto che i venezuelani che non votavano da 20 anni si sono registrati e sono disposti a farlo, e i venezuelani che per dieci anni non avevano avuto la minima aspettativa di vedere un cambiamento nel loro Paese a lungo termine, sono oggi fiduciosi, come se la loro vita dipendesse da questo, che questo 28 luglio vedranno Maduro sconfitto.
“Aspettavamo queste elezioni da 25 anni, ci dice Roberto Duque Morales, capo del comando venezuelano di Sant’Antonio di Tachira (opposizione ndr.), questo è il momento per migliaia di famiglie divise di potersi ritrovare.
Come molte famiglie anche la mia si è dovuta separare, sono ventuno in Colombia nel 2014 per le minacce che subivo perché facevo politica, e quando sono andato via, hanno minacciato i miei familiari”.
Un punto centrale della questione è la transizione, qualora Maduro accettasse la sconfitta, Edmundo Gonzales diventerebbe una sorta di presidente ad interim per formare un governo in vista delle elezioni parlamentari del 2025 che dovrà essere in grado di prendere il potere con una lunga negoziazione, di uno o due anni, per rimpiazzare il radicato apparato socialista, per lo più in mano ai militari.
Senza dimenticare l’influenza straniera: iraniani, cinesi, russi e cubani che spesso fanno il bello e il cattivo tempo in Venezuela.
Senza contare le sanzioni che dovranno essere lentamente tolte, senza contare la fatica di dover ripristinare un sistema completamente collassato che si parli di sanità, istruzione, economia e di diritti umani. Oggi un pensionato medio in Venezuela prende 7 dollari al mese, e 30 uova costano 6 dollari.
Senza contare il potere del narcotraffico e dei gruppi paramilitari che scorrazzano nel paese.
Senza contare l’esercito che però Sergio Orlando Barrientos Rincon, capo della comunicazione del comando venezuelano sempre di Sant’Antonio, è oggi diviso più che mai.
I vertici stanno con l’opposizione ma molti si sono già trasferiti all’estero, i soldati di grado inferiore invece, sottopagati e più vicino alla gente, sono scollegati.
“Perfino i colectivos, (organizzazione paramilitare chavista che sostiene il governo del Venezuela) non sono più come una volta”.
C’è il rischio di violenza?
C’è la possibilità che qualora Maduro vincesse o non riconoscesse la vittoria dell’opposizione si possa trasformare un bagno di sangue come ha anticipato Maduro in un discorso a Managa qualche giorno fa?
“Quando la gente non ha niente da perdere è tutto possibile. Se vincessimo e il risultato non venisse rispettato, scenderemmo in piazza, ma pacificamente”, promette Giovanni Ramirez, leader della piattaforma unitaria (opposizione nrd.),
“La Machado non è la mia candidata, ma mi fido di lei perché è stata capace di tornare a farci credere nella politica”.
Maria Corina Machado rimbalza sulla bocca di tutti, quasi come un mantra, ma non è solo una politica, è anche una donna in un paese di uomini.
Il potere delle donne
“Credo che nel mondo questo sia il momento delle donne – ci dice Natasha Duque, direttrice della fondazione internazionale Operazione Libertà, un’organizzazione apolitica che si occupa di diritti umani.

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Il suo fondatore Lorent Saleh, ha trascorso 4 anni in un carcere venezuelano dove è stato torturato. “Le donne progressiste sono forti, coerenti, più capaci degli uomini e in queste elezioni hanno creduto e partecipato.
Se ci sarà un cambiamento sarà soprattutto al lavoro delle donne che hanno una visione più a lungo termine nel mondo”.
Anche Natasha oggi attraverserà il ponte con la sua famiglia per andare a votare. Un ponte che non è solo una lingua di asfalto che collega due paesi, ma la speranza che in fondo al tunnel a cielo aperto, ci sia un po’ di luce, magari abbagliante come quello sotto il quale la gente della frontiera vive da tutta la vita.
Foto di copertina: credits: Andy Marin/ @andymarinx
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