La Trocha, il cammino alternativo

Scritto da in data Luglio 27, 2024

CUCUTA – Enrique ha 21 anni, la pelle scura e uno sguardo troppo vissuto per un ragazzo che ha il volto di un bambino. Si appoggia ad un carretto sormontato di valigie che hanno dentro tutta la sua vita di giovane immigrato. “Stavo tornando a casa. Sto tornando in Venezuela”.

Andy Marin
@andymarinx

Ma il ponte che collega la Colombia al Venezuela, è stato chiuso la sera precedente senza alcun avviso e le migliaia di persone che si apprestano come ogni giorno ad attraversare la frontiera sono stanche, accaldate e arrabbiate.

Passano solo i malati cronici che possono dimostrarlo. Qualcuno intona: “Quieremo pasar, quieremo pasar”, ma fa troppo caldo anche per cantare. Venditori ambulanti girano tra le persone, offrendo acqua fresca e cibo, ma nessuno sembra dare loro retta.

Tornare per votare

Enrique arriva dal Perù con un figlio di nove mesi, fa lavoretti alla giornata e ha intrapreso un lungo viaggio, non ha più soldi e viaggia con 9 altre persone della sua famiglia. “Non possiamo permetterci un hotel, non capisco, perché non ci fanno passare?”.

“Perché non vogliono che le persone votino, hanno chiuso per bloccarci”, dice Majorit Dias, un’ingegnera informatica che si ripara dal sole sotto l’ombrello e viene direttamente da Bogotà, 600km di distanza.

“Ma io da qui non mi muovo”, dice cercando lo sguardo del marito che si appoggia ad un corrimano sopraffatto dalle temperature infernali.

Anche solo da come sono vestiti si vede che da Majorit e Enrique c’è un mondo di distanza tra loro, anche se entrambi scelto di lasciare il loro paese per sopravvivere. E ora si ritrovano sotto lo stesso sole, asserragliati davanti ad una frontiera.

Andy Marin
@andymarinx

Ci sono bambini, neonati, anziani, gente con nulla, solo il desiderio di andare a votare, altri con la vita appresso che sperano che tornare in Venezuela, sia la scelta giusta perché lunedì potrebbe essere tutto diverso.

Andy Marin
@andymarinx

“Non capisco perché i colombiani non ci facciano passare”, borbotta Carolina, 38 anni, che in Venezuela faceva la maestra per quattro o cinque dollari al mese e ora lavora come cuoca in una mensa a Cucuta in Colombia. “Sono una cittadina venezuelana, non possono bloccarmi”. Quanto aspetterà? Ancora qualche ora, poi mi toccherà la trocha o un miracolo.

La trocha

La trocha, il cammino illegale, come chiamano loro. Quando il confine era chiuso, la gente ha usato vie alternative per passare la frontiera. Non c’è una recinzione, un muro, è tutto aperto in una fitta giungla attraversata da un fiume.

Ci sono dei sentieri che portano dall’altra parte che per anni sono stati l’unica via di comunicazione tra Venezuela e Colombia. E anche se ora sono aperti, grazie alla vicinanza del neopresidente colombiano Petro al collega Maduro, continuano a funzionare.

“Abbiamo dei bambini, non possono passare per la giungla, è pericoloso”, mormora Enrique che non sa cosa fare.

La polizia colombiana ci spiega che queste strade nella fitta boscaglia che attraversano il fiume Tachira tra l’omonimo stato venezuelano e il dipartimento colombiano del Norte del Santander, sono sempre esistite, ma il loro utilizzo è aumentato a partire dal 2015 con la chiusura della frontiera per ordine del presidente Maduro.

Una scorta di una decina di agenti di polizia, di cui quattro delle forze speciali, ci accompagna nel bosco. Ci sono rifiuti, pendii, vegetazione fitta, canne da zucchero, pietre e dirupi.

I poliziotti sono vigili, scrutano la boscaglia, due sono avanti, precedono il nostro gruppo per controllare il percorso.

È tra questi sentieri che decine di migliaia di venezuelani sono fuggiti, poi con l’arrivo del presidente Gustavo Petro alla presidenza della Colombia, ha portato un avvicinamento a Maduro e alla ripresa delle relazioni diplomatiche interrotte, così nel 2019 i ponti sono stati riaperti.

Oggi, nella zona compresa tra Cúcuta e Villa del Rosario (Colombia) e San Antonio e Ureña (Venezuela), il grosso della circolazione di persone e merci, avviene attraverso i ponti internazionali Simón Bolívar e Francisco de Paula Santander, dove il trasporto di merci e passeggeri ha ripreso a circolare con tutti i controlli doganali.

Percorsi pericolosi

“Devono fare questa strada anche se è pericoloso, pagando i coyote sperano di arrivare sani e salvi”, ci dice Ronaldo Peres, 26 anni che lavora nel turismo, sostiene che la chiusura del ponte ieri non era prevista, neanche il comandante della polizia di frontiera lo sapeva. L’ordine è arrivato da Caracas.

Il costo varia, dipende da quante persone devono passare, il momento della giornata e se il ponte è chiuso. Dai 10 ai 40 dollari, ci dice la polizia, due pagamenti, alla partenza e all’arrivo. Il problema è quello che potrebbe succedere durante. Soprattutto di notte.

I sentieri sono controllati dai gruppi armati sparpagliati lungo tutta la frontiera, si fanno pagare per passare il confine e non sono una novità furti, estorsioni, stupri e a volte omicidi.

Ci sono tante ragioni per continuare a prendere queste strade: dalla perdita dei documenti richiesti dalle autorità di frontiera, alla velocità di attraversamento per non dover fare la fila ai controlli di immigrazione o anche qualche precedente giudiziario che porta a nascondersi dalla polizia e dai soldati.

Alcuni percorrono ogni giorno i sentieri irregolari attraversando spazzatura, erbacce, la parte bassa del fiume e un odore nauseabondo che con il caldo diventa ancora più intenso.

“Ogni tanto, spinti giù nei precipizi troviamo dei cadaveri, delle teste mozzate, persone ferite”, ci dice una poliziotta colombiana con ben stretto il giubbotto antiproiettili. Persone che non hanno pagato, estorsioni finite male, regolamento di conti. O traffici.

“Sappiamo che qui ci sono i guerriglieri, noi non arrestiamo i civili perché immigrare in Colombia non è  reato, ma qui passa anche il traffico di droga e quello di esseri umani”.

La maggior parte sono persone normali, gente che come oggi non può attraversare il ponte perché è chiuso o magari ha perso la carta di identità.

I sentieri nascosti

Vicino al ponte Simón Bolívar si trova il sentiero “La Platanera”, che attraversa la sabbia del fiume e alti campi di canna da zucchero e attraverso il quale possono circolare solo le persone “autorizzate” perché vivono in un quartiere fondato daivenezuelani sul versante colombiano e dove anche la Polizia ha accesso limitato.

Più avanti ce n’è un altro chiamato “La Marranera”, con la cattiva fama di essere la più pericolosa della zona e che, come “La Platanera”, si anima di notte quando viene utilizzata dai contrabbandieri protetti nell’oscurità e nel silenzio.

La strada è silenziosa, i poliziotti sudano sotto al loro equipaggiamento, armati di tutto punto. Sembra tutto tranquillo. “Non credere, noi non vediamo, ma loro sì. Non li sentiamo, ma loro ci sentono. Che sia giorno o notte, queste strade hanno occhi e orecchie dappertutto”.

 

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Venezuela: la gente del ponte

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