14 dicembre 2023 – Notiziario Africa

Scritto da in data Dicembre 14, 2023

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  • Repubblica democratica del Congo: a una settimana dal voto, un’analisi delle elezioni presidenziali;
  • Rwanda: il Parlamento UK lo dichiara “paese sicuro” per ospitare rifugiati
  • Sierra Leone: l’ex presidente arrestato per il fallito colpo di stato

Questo e molto altro nel notiziario Africa di Radio Bullets, a cura di Giunio Santini. 

 

Repubblica democratica del Congo

Già attraversate da un conflitto che dura da oltre trent’anni, alcune province dell’Est della Repubblica democratica del Congo saranno escluse dalle elezioni presidenziali del 20 dicembre. “Le condizioni [di sicurezza] non permettono alla commissione di aprire i seggi nei territori di Rutshuru e Masisi” fa sapere un alto funzionario della CENI, la Commissione elettorale nazionale indipendente, incaricata di vegliare sull’intero processo di voto.

Nelle altre regioni del vasto paese centroafricano, le operazioni di registrazione degli elettori si sono svolte senza particolari intoppi e si prevede che porteranno alle urne circa 44 milioni di cittadini congolesi. Numeri totalmente diversi da quelli delle regioni orientali del Congo, dove solamente tra l’1% e il 10% dei cittadini aventi diritto è stato effettivamente incluso nei registri elettorali.

Questioni di rappresentanza democratica che si vanno ad aggiungere alle difficoltà già affrontate dai cittadini di queste aree, teatro di uno dei conflitti più sanguinosi della storia che vive una nuova escalation dal 2021. Si stima che la nuova avanzata dell’M23 abbia causato la morte di migliaia di civili e violenze contro decine di migliaia di donne, secondo i dati forniti da gruppi di ricerca e organizzazioni umanitarie.

Intanto la campagna elettorale per conquistare il voto dei congolesi continua, con i candidati che si danno battaglia su alcuni punti programmatici molto chiari.

Come fa sapere Al-Jazeera, la fine della violenza e un futuro pacifico per il Congo saranno la priorità assoluta per il futuro presidente. Le province orientali del paese ospitano oltre 120 gruppi armati che si scontrano per il controllo di porzioni di territorio e per il contrabbando dei minerali di cui è ricco il sottosuolo. Le violenze hanno portato alla cifra record di 7 milioni di sfollati interni e la situazione è più che mai delicata dopo il ritiro annunciato delle forze internazionali nell’area. Come la MONUSCO, missione dei caschi blu dell’ONU che si ritirerà a fine dicembre.

Questo lo sanno benissimo i diversi candidati. Il Presidente uscente, Félix Tshisekedi, si è recato questa settimana a Goma, città tra le più grandi del Congo orientale, dove ha promesso di sconfiggere le forze filo-rwandesi dell’M23 e liberare la regione. Anche Denis Mukwege, che nell’Est del Paese è visto come un eroe alla luce del suo impegno al fianco delle vittime del confitto, ha promesso una transizione equa verso la pace.

L’aspetto della sicurezza, ma non solo. Il Congo è ricchissimo di risorse naturali, dai minerali alle sue foreste, ma una minima parte di questa ricchezza arriva effettivamente ai suoi cittadini a causa di corruzione e inflazione. Risolvere questi problemi sarebbe di vitale importanza per il mondo intero, come fa sapere Colin Robertson dell’ONG Global Witness che da anni si occupa del tracciamento dei cosiddetti “conflict minerals”. “Il Congo detiene preziose risorse di cobalto, rame e litio che sono fondamentali per la transizione energetica globale e potrebbero trasformare le sorti economiche della RDC”, ha dichiarato Robertson.

Questioni che saranno fin dal primo giorno sul tavolo del Presidente eletto, che avrà bisogno di tutta la legittimità derivante da un processo elettorale giusto e libero. Martin Fayulu, che già nel 2018 accusò Tshisekedi di aver alterato il risultato elettorale, ha nuovamente espresso la propria insoddisfazione nei confronti della CENI, affermando che la RDC potrebbe tenere “elezioni farsa” che aumenterebbero il rischio di violenze.

Questo clima di incertezza e disillusione potrebbe tenere i congolesi lontani dalle urne, nonostante la portata storica di queste elezioni che getteranno le basi per lo sviluppo del paese e dell’intero continente. Come sempre, l’ultima parola l’avranno i seggi elettorali, con l’auspicio che le violenze e le polemiche del 2018 ne restino fuori.

Rwanda 

Il Parlamento ha approvato la proposta di legge d’emergenza del Primo Ministro britannico Rishi Sunak per definire il Rwanda come “paese sicuro” e rilanciare così il suo piano di invio dei richiedenti asilo nel paese africano.  Sunak ha vinto il primo voto alla Camera dei Comuni per 313 a 269, dopo una notte di negoziati intensi e drammi in parlamento.

Nonostante la vittoria, il risultato ha mostrato le difficoltà per il Primo Ministro nel mantenere il controllo sul suo partito. I conservatori moderati hanno già dichiarato che non sosterranno il progetto di legge se ciò significa che la Gran Bretagna violerà i suoi obblighi in materia di diritti umani. Sunak in risposta ha richiesto ai “frondisti” di agire sul testo della legge in un secondo momento, proponendo emendamenti in aula, permettendo però al progetto di superare questa prima fase.

Nelle stesse ore, la commissione elettorale del Rwanda ha annunciato la data per le prossime elezioni presidenziali che è fissata al 15 luglio. Nella stessa occasione i cittadini saranno chiamati a eleggere i deputati della nuova legislatura.

Il presidente uscente, Paul Kagame, aveva annunciato la propria candidatura già a settembre, affermando la propria intenzione a servire il paese fino a che sarebbe stato possibile. Negli ultimi anni, il presidente ha anche apportato controversi emendamenti costituzionali che gli hanno permesso di ottenere un terzo mandato e potrebbero consentirgli di governare fino al 2034. Per questa tornata elettorale, come per le precedenti, gli osservatori si aspettano quindi un risultato già scritto con percentuali superiori al 90% che riconfermeranno il presidente in carica.

Il Ruanda si presenta come uno dei paesi più stabili del continente africano, anche grazie al supporto di diversi “leader amici” in occidente, ma diversi gruppi per i diritti umani accusano Kagame di governare in un clima di paura, soffocando il dissenso e la libertà di espressione. Come riportato da Africa News, Paul Rusesabagina, la cui storia è raccontata del film “Hotel Rwanda” e critico di Kagame, nel 2021 fu condannato a 25 anni di reclusione per “terrorismo”, dopo essere stato arrestato l’anno precedente in circostanze poco chiare. Rilasciato nel marzo 2023 e esiliato negli Stati Uniti dopo la grazia presidenziale, Rusesabagina ha pubblicato un video messaggio, affermando che i ruandesi sono “prigionieri nel loro stesso Paese”.

Sierra Leone 

L’ex-presidente della Sierra Leone Ernest Bai Koroma si trova confinato nella sua casa a Freetown in seguito alle accuse di aver avuto un ruolo nel tentativo di colpo di stato fallito il mese scorso.

Secondo le autorità del paese, alcuni membri dell’ex corpo di guardia di Koroma avrebbero preso parte alle azioni militari del 26 novembre scorso, che hanno portato alla morte di 21 persone e all’arresto di almeno 15 militari golpisti.

Sabato il governo aveva annunciato che Koroma, che ha guidato la Sierra Leone dal 2007 al 2018, era stato sottoposto a un regime simile agli arresti domiciliari, informazione contestata da uno dei suoi avvocati. Il ministro dell’Informazione della Sierra Leone aveva poi precisato che l’ex presidente era stato rilasciato “a condizione che rimanga entro i confini della sua proprietà e che riceva un numero limitato di ospiti”.

L’Africa occidentale è stata teatro dal 2020 dal moltiplicarsi di colpi di stato, in Mali, Burkina Faso, Niger e Guinea. Sabato sera, anche il presidente della Guinea-Bissau Umaro Sissoco Embalo ha denunciato un “tentativo di colpo di Stato” dopo gli scontri di venerdì tra l’esercito ed elementi delle forze di sicurezza.

Uganda

Un progetto lanciato da cittadini del Sud Sudan rifugiati in Uganda, in collaborazione con l’alto commissariato ONU per i rifugiati, permetterà a oltre 11,000 famiglie di proteggersi dalla malaria, aiutando a combattere il cambiamento climatico.

Le attività riguarderanno principalmente la coltivazione dell’albero di Neem e della citronella, due tra i più forti repellenti per insetti presenti in natura e piante fondamentali per l’assorbimento della CO2 presente in atmosfera. I responsabili del progetto saranno i rifugiati stessi, che negli ultimi anni hanno già contribuito alla riduzione della diffusione delle malattie nelle comunità ospitanti, grazie alle proprie conoscenze delle proprietà delle piante e dei loro metodi di coltivazione.

I rifugiati prepareranno anche pesticidi organici e naturali, ricavati dal Neem, per sostituire quelli tossici utilizzati dalla popolazione locale nelle proprie coltivazioni, andando a tutelare l’ambiente rurale ugandese, in forte emergenza a causa delle temperature in aumento.

Etiopia

Taye Dendea, ex ministro per i processi di pace dell’Etiopia, è stato arrestato per il suo coinvolgimento in attività terroristiche durante il suo mandato di governo.

In una dichiarazione rilasciata dalla Polizia Federale Etiope si legge che Dendea, il cui compito era quello di mantenere la pace nel Paese, ha “collaborato con le forze anti-pace che stanno cercando di distruggere l’Etiopia”.

La polizia federale ha dichiarato che l’ex ministro collaborava attivamente con gruppi terroristi, anche per il rapimento di cittadini innocenti, promuovendo la violenza contro il governo anche sui canali social. Dendea è accusato di essere vicino al Fronte di Liberazione Oromo (OLF-OLA), un gruppo ribelle separatista che sta conducendo una guerra contro il governo nella regione etiope dell’Oromia. Un secondo round di colloqui di pace tra il governo etiope e i ribelli si è concluso senza un accordo alla fine del mese scorso, dopo oltre cinque anni di conflitto.

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