È lungo l’elenco degli ultimi per chi si crede primo

Scritto da in data Giugno 15, 2020

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In questo periodo si parla molto di razzismo e voci più autorevoli della mia stanno dicendo cose molto intelligenti. Peccato che non cambia mai niente. Peccato che il mondo sembra andare su e giù invece che andare avanti. Da una parte i buoni dall’altra i cattivi. Poi quando i buoni diventano violenti è come una battuta d’arresto, ma si dice sempre “sono solo una piccola parte”. Ma il problema non è solo la violenza in sé, esecrabile da qualsiasi parte la si guardi e chiunque la perpetri, il problema è che c’è una parte di mondo che non riesce a vedere. Che pensa che per vivere meglio qualcuno debba stare peggio, che i confini sono reali quanto il colore della pelle di un essere umano. Che qualcuno sia superiore a un altro perché ha soldi, istruzione o una macchina più grande. Perché ha una famiglia e una bella casa. E non è solo un razzismo di colore, ma anche di religione, ricchezza, istruzione, posizione geografica, genere.

Secoli di lotta, di progressi, di innovazione e stiamo ancora pestandoci per le strade, buttando giù statue, dove chi ti dovrebbe proteggere, ti spara alle spalle. O ti mette un ginocchio sul collo e spinge e spinge perché non ti sente morire. Neanche ti vede abbagliato dai suoi pregiudizi. Che sia un nero, un drogato, una donna, un gay, è lungo l’elenco degli ultimi per chi si crede primo.

So che sto mettendo tutto insieme, ma di fatto il caos è tra la gente. Fatico a capire la necessità di buttare giù una statua, basterebbe fare una petizione, aprire un dibattito e magari spostarla in un museo dove si spiega chi fosse il personaggio controverso. Ho visto statue cadere come quella di Saddam Hussein e foto di eroi ingigantire i muri come quello di Massoud, il leone del Panshir, ma la Storia è variabile a seconda di come la si guarda, per molti Massoud era un eroe che ha contribuito a cacciare i russi dall’Afghanistan, ma era anche un fanatico che trattava le donne come le trattavano tutti gli altri Signori della Guerra, solo che lui era un alleato ed era quindi tra i buoni.

Non so se serve fare un processo alle statue, magari alla Storia, magari serve raccontarla, aggiungendo luce ai punti bui. Ci sono momenti in cui le donne non vengono neanche menzionate, quasi non esistessero. Gli indio sono solo quelli che si trovavano sul posto quando sono arrivati i “portatori di civiltà” di cui ora buttiamo giù le statue manco fossero pedine degli scacchi. Beati i perfetti, che con una bomboletta di vernice giudicano la Storia. Probabilmente le statue andrebbero abbattute tutte. Nessuno è perfetto e il potere rende gli uomini peggiori.

Vero che Montanelli considerava le donne alla stregua di oggetti da comprare perché così si faceva e lui non ha mai pensato di contraddire il sistema, ma è anche vero che la donna che lo aggredisce durante un’intervista televisiva era una che non parteggiava particolarmente per gli omosessuali. Vero anche che Montanelli, che non ho mai amato come giornalista, ma questo è irrilevante, abbia comprato una ragazzina infibulata motivo per il quale non si sprecano commenti su di lui, che peraltro è morto e dubito che se ne accorga.

La mia domanda è: perché tutte queste energie non si scagliano contro chi ancora pratica questo abominio di cucire una donna? Così come quella di circoncidere un uomo – anche se degli uomini non si parla mai. Ci sono 200 milioni di donne infibulate oggi, in questo momento, e c’è qualcuno che con loro ci va e ci fa pure dei figli se riescono. E ci sono madri che vogliono che le figlie subiscano la mutilazione genitale perché altrimenti nessuno le vorrebbe. Perché non si scende in piazza contro gli uomini di oggi neri che perpetuano l’infibulazione o bianchi che siano e ce la si prende invece con i fantasmi? È ipocrita.

Ci sono attivisti, giornalisti, avvocati, operatori umanitari che ogni giorno lottano per i diritti umani, quanti di quelli che abbattono le statue, sono scesi per le strade per lottare con e per loro? Perché non ci si scaglia quando un disabile non può salire su un autobus o entrare in ufficio pubblico? La non approvazione dello Ius Soli non è un atto di razzismo di Stato? Per quante settimane ci sono state manifestazioni? Ci si scatena contro una statua, ma non contro chi viola i diritti delle persone?

La schiavitù c’è stata e fa schifo, ma fatevi due passi nei campi (in Italia) dove impera il caporalato, perché non manifestate per quello? Passereste alla Storia di domani. Perché non tirate giù i villoni della mafia?  Il passato va studiato, ma il futuro va creato e non lo si fa tentando di cancellare dei simboli. Non sarà una statua a fare la differenza, si può togliere, non serve. Il mondo migliore lo si crea ora, facendo quello di cui c’è bisogno.

Ci sono momenti nella vita di una persona che definiscono quello che siamo, un Montanelli che si adatta alle usanze del tempo è uno dei tanti, quasi banale. Chi, invece, dice no al sistema malsano, è il futuro che si spalanca. Il tedesco che nasconde un ebreo, un afrikaner che protegge un locale, un israeliano che ogni giorno va ai posti di blocco a filmare gli abusi dei soldati. Lo sciita che nasconde il sunnita. O il papà che in una piazza riconosce un kamikaze e per salvare tutti si getta sull’attentatore e con il suo corpo attutisce l’esplosione. Era un libanese. E lui una statua non se la merita? E mille altri esempi che spesso neanche si conoscono perché è vero, delle cose belle si parla meno e si dimenticano subito. Il mondo può essere costruito così, con bianchi e neri o di qualsiasi colore uno sia, che scendono in piazza, di donne e uomini o di qualsiasi genere si decida di essere, che scendono in piazza. Ma non basta. Serve che cambi tutto il sistema che privilegia gli uni sugli altri. Devono cambiare le teste. È nel quotidiano che bisogna proteggersi insieme. Bisogna essere rivoluzionari sempre anche quando vai a fare la spesa o dirigi una grande azienda, quando scegli un impiegato maschio invece di una donna che può restare incinta ed è un problema. Scendere in piazza manifesta un disagio, ma non lo cura. È l’insistenza e la perseveranza che fa la differenza. È la scuola.

Santo cielo, hanno riaperto le discoteche e i ristoranti e non le scuole. La scuola è il primo luogo democratico dove un bambino si ritrova in un contesto sociale, non è certo la famiglia, dove si può anche essere figlio dei Casamonica. O di un suprematista o di un fanatico religioso.

La scuola è la cosa più importante che abbiamo, perché tra 100 anni, nessuno di quelli che sta leggendo questo pezzo in questo preciso momento sarà sulla terra e nemmeno nessuno di quelli che conoscete, non i vostri genitori, non i vostri amici, non i vostri amanti, nemmeno i nemici, ma ci saranno i figli. Questa è l’unica vera eredità. E anche solo per questo meritano un po’ più di rispetto e diritti quale quello di studiare, di avere insegnanti preparati e soddisfatti. Quello di sapere che non ci sono differenze. Tutti con gli stessi diritti. Tutti con gli stessi doveri. Con tanti colori, religioni, idee. Donne e uomini o qual si voglia genere. Ribaltiamo il sistema. Abbattiamo i pregiudizi, noi ormai siamo un po’ perduti, ma i ragazzini no.

Tutti devono avere le stesse possibilità, stessi stipendi, stessa assistenza, stessa possibilità di migliorare. Concentriamoci sui problemi che abbiamo e risolviamoli una volta per tutti. Chi ha figli come può non volerli istruiti, equilibrati, soddisfatti, ma anche impegnati alla costruzione di qualcosa di diverso?

Ho raccontato abbastanza guerre da sapere che non ci sarà mai un mondo in pace, ma ho imparato che non ci sarà un mondo se non si raggiungerà un equilibrio, in particolare fra uomini e donne. Tra chi ha e chi non ha. Tra l’essere persone che scelgono di abbattere i muri e quelli che li alzano.

Ammetto di aver avuto un’educazione privilegiata con una mamma caraibicodiscende (i suoi antenati vennero portati dagli inglesi a lavorare nelle piantagioni) cresciuta negli Stati Uniti ai tempi delle battaglie dei diritti civili e un padre, figlio di una sfollata istriana. Potrei farvi l’elenco di tutti i film sull’apartheid in un Sudafrica che a 15 anni avevo già visto. E forse questo tra tante cose aiuta a vedere. O forse sono stati i viaggi, i libri, il non avere mai nulla di fisso. Ma di una medaglia c’è sempre il rovescio e di pregiudizi ne ho anche io sicuramente, ma se li identifico, provo a risolverli.

Credo e spero che il lavoro di Radio Bullets sia il nostro modo di dare un contributo, raccontando quello che accade, cercando le storie, entrando nelle case del mondo, ascoltando, scrivendo e assorbendo. Ci auguriamo che questa sia una delle tante strade per fare la differenza. Significa impegnarsi, studiare, sbagliare anche e ricominciare. No, non mi vedrete imbrattare una statua, ma magari vi racconterò la storia.

 

Foto di copertina: Photo by Matteo Paganelli on Unsplash

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