Germania-Italia tra rivalità e collaborazione

Scritto da in data Marzo 1, 2021

Con il Recovery Fund la Germania ha deciso di salvare l’Italia da un probabile default sotto i colpi della crisi economica: perché l’ha fatto?

Ascolta il podcast

Un po’ di storia

Cominciamo in questa puntata a parlare della Germania, della sua economia, del suo ruolo nell’Unione Europea facendo qualche piccola digressione storica che ci serve per comprendere meglio quello che sta accadendo oggi. Partiamo dal rapporto tra la Germania e il nostro paese e facciamo qualche passo indietro tornando al 1970.

Anche chi, come il sottoscritto, non è molto ferrato sull’argomento calcio conosce la partita Italia-Germania alle semifinali del Mondiale del 1970 a Città del Messico. Una partita epica, alcuni giornalisti sportivi l’hanno definita la partita del secolo, una partita non bellissima ma molto combattuta ed emozionante, finita ai supplementari con la vittoria dell’Italia per 4 a 3 sui tedeschi della Germania Ovest, perché all’epoca la Germania era ancora divisa in due. Con quella vittoria l’Italia finì in finale ma poi fu sconfitta dal potentissimo Brasile di Pelè. All’epoca ero bambino ma ricordo ancora l’entusiasmo di mio padre e dei suoi amici che festeggiavano quella vittoria con un bel brindisi. Anch’io festeggiai pur non capendo bene il significato di quell’evento: unico rammarico è che io il brindisi dovetti farlo con l’aranciata.

Era il 1970, la Seconda Guerra Mondiale era finita 25 anni prima, ma gli adulti in età più matura quella guerra l’avevano vissuta e alcuni anche combattuta. Noi avevamo iniziato la guerra come alleati dei tedeschi e l’avevamo finita come loro nemici. Un classico della storia italiana. Era successo anche nella Prima Guerra Mondiale nella quale, stando ai trattati internazionali, noi avremmo dovuto essere alleati degli Imperi centrali, quello germanico e quello austro-ungarico ma, purtroppo, avevamo ancora alcune questioncelle in sospeso con gli Asburgo. C’era la questione di Trento, di Trieste, della Venezia Giulia, dell’Istria e della Dalmazia − le cosiddette “terre irredente” − e, ancora carichi di retorica risorgimentale, decidemmo di schierarci opportunisticamente a fianco di Francia, Russia e Inghilterra nel tentativo, poi riuscito, di completare l’unità d’Italia, almeno quella geografica.

Dalla Seconda Guerra Mondiale invece, come noto, la Germania uscì pesantemente sconfitta e divisa a metà tra una Germania Ovest capitalista e una Germania Est comunista. L’Italia invece risultò in parte sconfitta, il fascismo e Mussolini si erano alleati con i tedeschi, ma in parte anche vincitrice: dopo l’8 settembre del 1943 il re e Badoglio si erano schierati con gli Alleati. Poi c’erano stati anche i partigiani che si erano ribellati ai fascisti e agli occupanti tedeschi, mentre in Germania la Resistenza fu un fenomeno quasi sconosciuto o comunque limitato a piccoli episodi. Il popolo germanico continuò fino all’ultimo giorno a sostenere compatto il regime nazista fino a quando la capitale di quello che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere il Reich millenario non fu rasa al suolo dalle katiusche dell’Armata Rossa sovietica.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale

Dopo la Seconda Guerra Mondiale il piano Marshall americano e le nuove esigenze geopolitiche e strategiche degli Stati Uniti favorirono la ricostruzione e la crescita economica di tutti i paesi dell’Europa occidentale, Italia e Germania Ovest comprese. Entrambi i paesi ebbero tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta ritmi di sviluppo economico straordinari, ma con alcune differenze.

In Italia la crescita, trainata dall’industria, fu concentrata geograficamente soprattutto nel nord-ovest, in quello che fu chiamato il triangolo industriale, l’area delimitata dalle tre città di Torino, Genova e Milano.

La Germania invece in pochi anni tornò a essere la prima potenza industriale europea che attirava nelle sue fabbriche decine di migliaia di cosiddetti gastarbeiter, letteralmente “lavoratori ospiti”, quindi immigrati che provenivano in prevalenza dai paesi dell’Europa meridionale: Grecia, Jugoslavia, Turchia, Spagna e soprattutto Italia. I nostri connazionali immigrati in Germania facevano una vita durissima, vivevano spesso in alloggi di fortuna discriminati dalla popolazione tedesca che, avendo perso il pelo ma non il vizio, era ancora in buona parte convinta della superiorità della cosiddetta razza ariana.

Comunque gli italiani avevano nei confronti dei tedeschi una sorta di atteggiamento bipolare. Da un lato ci faceva comodo che molti nostri lavoratori, altrimenti disoccupati, trovassero impiego nella ricca ed efficiente Germania, ma d’altro lato questa situazione ci faceva un po’ incazzare, sia perché i tedeschi erano un po’ razzistelli, sia perché dipendere da qualcuno dà sempre fastidio e per noi, o meglio per molte famiglie italiane, gli stipendi di quei nostri immigrati che lavoravano nelle fabbriche tedesche erano vitali.

D’altro lato anche i tedeschi avevano nei confronti degli italiani un atteggiamento simile. Da un lato gli faceva comodo che gli italiani lavorassero nelle loro fabbriche perché avranno mille difetti gli italiani ma sono gente intelligente e laboriosa, si spaccano la schiena e imparano subito. Però con gli italiani c’era sempre un conto in sospeso, li avevamo fregati due volte: durante la Prima Guerra Mondiale, erano nostri alleati alla vigilia della guerra ma ci schierammo contro di loro, nella Seconda stessa recita. Avevamo iniziato la guerra al loro fianco ma l’avevamo finita a fianco dei loro nemici. Atteggiamenti difficilmente comprensibili e accettabili per i tedeschi.

Però c’è un fatto incontrovertibile: gli italiani hanno mille difetti ma hanno un paese magico. C’è un clima meraviglioso, una cucina sublime, un paesaggio splendido, hanno tutto: montagne, mare, laghi, isole, colline. Poi, vuoi mettere la storia e la cultura italiana, una serie ininterrotta di meraviglie… e i tedeschi, che avranno altri difetti ma sono mediamente un popolo molto colto, queste cose le sanno apprezzare. L’Italia è per loro un paese meraviglioso con un piccolo, fondamentale difetto: è abitato dagli italiani!

I rapporti tra italiani e tedeschi sono sempre stati, per tutta una serie di ragioni, piuttosto tormentati. Qualcuno semplificando un po’ ha detto che mentre gli italiani stimano i tedeschi ma non li amano, a loro volta i tedeschi amano gli italiani ma non li stimano. Un fondo di verità in questo aforisma c’è.

La situazione attuale

Oggi viviamo in un’epoca storica molto diversa, molta acqua è passata sotto i ponti. La Germania si è riunificata, il volto dell’Europa è cambiato, oggi tutta una serie di pregiudizi sono fortunatamente superati. Gli italiani che erano arrivati in Germania come gastarbeiter fino agli anni Settanta sono ormai pensionati tedeschi con i loro figli perfettamente integrati in una società aperta e multietnica come è oggi quella tedesca. Ma pregiudizi e rivalità tra i due paesi esistono ancora ed emergono periodicamente quando ci sono situazioni di crisi all’interno dell’Unione Europea.

Tuttora nell’opinione pubblica tedesca si pensa agli italiani come a un popolo di “fancazzisti”, spendaccioni, suonatori di mandolino, mafiosi e inaffidabili mentre nell’opinione pubblica italiana i tedeschi vengono visti come dei rozzi “mangia crauti” con il Pickelhaube in testa (l’elmo chiodato di prussiana memoria), certamente organizzati ma anche stupidamente zucconi.

Poi c’è tutta la storia del progetto europeo, ne abbiamo già parlato in alcune puntate precedenti. La retorica ufficiale ci ha ammannito la storia edificante di popoli che dopo essersi massacrati per secoli, improvvisamente, grazie alle illuminate visioni di alcuni intellettuali tra i quali l’italiano Altiero Spinelli, decidono di unire prima i loro cuori e poi col tempo anche i loro portafogli. La realtà storica è un po’ diversa: il progetto europeo e quello dell’euro nascono, in estrema sintesi, dalla paura che i tedeschi, dopo aver scatenato nella prima metà del Novecento ben due guerre mondiali, se non tenuti a freno in qualche modo, possano tornare a far danni. L’Unione Europea prima e l’euro dopo sono in realtà una sorta di “camicia di forza” che viene messa a un malato grave che non si sa come curare altrimenti. I tedeschi stessi ne sono consapevoli e appartenendo a generazioni che, in gran parte, vivono con orrore il loro passato, soprattutto quello nazista, accettano lo scambio. La Germania rinuncia di fatto al suo nazionalismo, che tanti guai ha causato in passato, a condizione che in ambito europeo le venga riconosciuto un ruolo egemonico. Ciò significa che le regole le dettano loro e d’altronde un ruolo egemonico la Germania non può non svolgerlo anche per altre ragioni oggettive.

Innanzitutto la posizione geografica e le dimensioni, sia in termini di popolazione che di grandezze economiche. La Germania è il paese più popoloso e più ricco e si trova proprio nel centro dell’Unione Europea. Molti paesi del centro e del nord Europa sono legati alla Germania dal punto di vista economico in maniera strutturale. Le catene del valore sono integrate. Pensiamo a paesi come Austria, Olanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, i paesi baltici. Tutti questi piccoli paesi dipendono in maniera diretta dalla Germania, le loro catene produttive a livello industriale sono strettamente legate e integrate con quella tedesca e quindi in sede di Unione Europea spalleggiano, per elementari ragioni di interesse, il colosso tedesco.

Il protagonismo tedesco è nei numeri. Pensiamo al rapporto tra Germania e Olanda. L’Olanda è, per sua tradizione storica, una potenza commerciale più che produttiva ma, collocata in una posizione geografica strategica incuneata tra Germania, Francia e a pochi passi dal Regno Unito, è riuscita a diventare negli ultimi decenni la grande piattaforma logistica per l’apparato industriale tedesco che, attraverso l’Olanda, importa ed esporta merci verso ogni destinazione.

Per i paesi mediterranei − Italia, Spagna e Grecia − è più complicato creare forme di integrazione così forti. Sono tre paesi che hanno economie molto diverse, sono relativamente distanti geograficamente, hanno specializzazioni produttive diverse, mentre per alcune produzioni agricole e per il settore del turismo sono addirittura concorrenti diretti: è più complicato quindi creare forme di integrazione economica stretta.

Il ruolo egemonico della Germania

Che la Germania eserciti all’interno dell’Unione Europea un ruolo egemonico è dunque un dato oggettivo, ma di fronte alla crisi del 2008 la Germania ha esercitato la sua egemonia non per far fare all’Unione Europea un passo in avanti nel processo di integrazione: si è invece preoccupata di salvaguardare in maniera, a volte anche prepotente, gli interessi tedeschi a scapito degli altri partner più deboli economicamente e meno determinati politicamente. Sappiamo cosa è successo alla Grecia ma sappiamo anche cosa è successo all’Italia.

Svolgere un ruolo egemonico è cosa diversa da svolgere un ruolo dominante. Il dominio nasce dai rapporti di forza. Io sono più grosso e più forte e quindi tu, che sei più piccolo e più debole, fai quello che dico io altrimenti ti sfondo. I termini della questione sono brutali ma chiari. L’egemonia è un’altra cosa, è qualcosa di più sfumato: ci sono anche i rapporti di forza ma soprattutto c’è l’autorevolezza, la capacità di persuasione, c’è l’esempio. Gli altri sono partner più o meno paritari ma la potenza egemone è quella alla quale si riconoscono le migliori virtù, le maggiori capacità, e dal punto di vista economico la Germania può vantare risultati che nessun altro paese europeo è riuscito a eguagliare. La Germania è la potenza egemone perché è quella con l’economia più forte, è il paese che cresce di più, è il paese con i conti in ordine che può quindi permettersi di tirare le orecchie, per esempio, agli italiani o ai greci che, in quanto a tenuta dei conti, hanno ancora parecchio lavoro da fare. Certo, nei momenti critici la Germania è capace anche di far valere i rapporti di forza quando vede a rischio i suoi interessi, ma non può sempre e solo imporre, deve anche valutare, trattare e qualche volta cedere. È quello che è avvenuto con il Recovery Fund. I tedeschi si sono resi conto che le dimensioni della crisi causata dalla pandemia erano tali che occorreva cambiare passo. Non bastava semplicemente riproporre le vecchie ricette dell’austerità e fare le ramanzine con il ditino puntato agli italiani. Se l’Italia fosse saltata per aria, fosse andata in default a causa della crisi economica, sarebbe saltata l’intera Area Euro e probabilmente sarebbe finita anche l’Unione Europea.

Una prospettiva molto rischiosa e soprattutto poco conveniente per i tedeschi, che dall’Unione Europea e dall’Euro sono coloro che hanno, finora, tratto i maggiori vantaggi. Ecco, quindi, l’appoggio dato dalla Germania alle politiche monetarie espansive della BCE guidata dalla Lagarde, ecco l’appoggio dato dalla Merkel e dalla baronessa Von der Leyen al Recovery Fund che prevede l’Italia come prima destinataria di quei fondi. Se i tedeschi hanno deciso di salvare l’Italia non l’hanno fatto, come una stucchevole propaganda europeista cerca ancora di farci credere, per buon cuore o perché convinti finalmente delle future e progressive sorti dell’Unione Europea. Lo hanno fatto per una ragione più semplice e banale, per mero calcolo, per convenienza. Ma l’aiuto all’Italia non è incondizionato: i soldi del Recovery Fund vanno spesi seguendo le linee guida definite dalla Merkel e da Macron. La partecipazione di Macron in realtà è più formale che di sostanza. Bisogna far credere che l’Europa vada avanti grazie all’intesa franco-tedesca. Un gioco delle parti che torna utile sia ai tedeschi che ai francesi. Infatti una delle principali direttrici degli investimenti europei dovrà essere la transizione ecologica, un termine generico dentro il quale c’è soprattutto la necessità di riconversione dell’industria automobilistica europea, e quindi principalmente tedesca, verso l’elettrico.

Ma per capire meglio cosa stia succedendo dobbiamo analizzare come funziona e come è strutturata l’economia tedesca. Di questo argomento parleremo nella prossima puntata.

Potrebbe interessarti anche:

Il trattato di Maastricht e l’adesione all’euro

E se credete in un giornalismo indipendente, serio e che racconta recandosi sul posto, potete darci una mano cliccando su Sostienici


[There are no radio stations in the database]