Il premier etiope vince il premio Nobel per la Pace

Scritto da in data Ottobre 11, 2019

Il primo ministro Abiy Ahmed ha  vinto il premio Nobel per la Pace 2019, ha annunciato comitato del Nobel dalla Norvegia

E’ stato premiato per aver avviato colloqui di pace con l’Eritrea e stabilito un accordo di pace per porre fine al lungo conflitto tra i due paesi.

“Quando Abiy Ahmed ha allungato la mano, il presidente Isaias Afwerki l’ha afferrata e ha contribuito a formalizzare il processo di pace tra i due paesi”, ha detto Berit Reiss-Andersen, presidente del Nobel Peace Prize Committee .

“In Etiopia, anche se rimane molto lavoro da fare, Abiy Ahmed ha avviato importanti riforme che danno a molti cittadini la speranza per una vita migliore e un futuro più luminoso”.

“Ha trascorso i suoi primi 100 giorni come primo ministro, togliendo lo stato di emergenza del paese, concedendo l’amnistia a migliaia di prigionieri politici, interrompendo la censura dei media, legalizzando i gruppi di opposizione illegali, licenziando leader militari e civili che erano sospettati di corruzione e aumentando significativamente l’influenza di donne nella vita politica e comunitaria etiopica “.

L’ufficio del primo ministro etiope ha dichiarato: “Siamo orgogliosi come nazione” per aver vinto il prestigioso premio.

“Il lavoro del primo ministro Abiy Ahmed è tutt’altro che concluso”, ha invece, dichiarato Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International. “Questo premio dovrebbe spingerlo e motivarlo ad affrontare le eccezionali sfide in materia di diritti umani che minacciano di invertire gli obiettivi realizzati finora. Deve garantire con urgenza che il suo governo affronti le tensioni etniche in atto che minacciano l’instabilità e ulteriori violazioni dei diritti umani. Dovrebbe inoltre garantire che il suo governo rivede il proclama antiterrorismo che continua ad essere utilizzato come strumento di repressione e che tiene conto dei sospetti autori di passate violazioni dei diritti umani “.

Tra i papabili di chi potesse vincere, c’era l’attivista del clima, la sedicenne svedese Greta Thunberg, la cancelliera tedesca Angela Merkel e gli attivisti per la democrazia a Hong Kong.

Dal 1901, 99 premi Nobel per la Pace sono stati assegnati a singoli e 24 ad organizzazioni. E mentre gli altri premi vengono annunciati a Stoccolma, il premio per la Pace viene assegnato nella capitale norvegese, Oslo.

Questa settimana sono stati nominati 12 premi Nobel, di cui 11 uomini.

Con la gloria arriva anche un premio in denaro di 9 milioni di corone ($ 918.000), una medaglia d’oro e un diploma. Anche se il premio per la pace viene assegnato in Norvegia, l’importo viene consegnato in corone svedesi.

I vincitori si riuniranno a Stoccolma e Oslo per le cerimonie, il 10 dicembre prossimo, anniversario della morte di Nobel nel 1896.

Etiopia – Eritrea

Situazione attuale e ultimi sviluppi

Dalla fine della guerra fra Etiopia ed Eritrea, nel 2000, fra i due Paesi c’è stato solo un immutato stallo, per 17 anni, con ricorrenti minacce di nuovi conflitti, tensioni, completa assenza di rapporti e di comunicazione. E d’altro canto, l’immobilismo e l’arroccamento nelle posizioni ha caratterizzato anche i due Governi fino all’inizio del 2018. In Eritrea, per ora, non si scorgono segnali significativi di cambiamento: il regime di Isaias Afewerki semmai ha inasprito ulteriormente la repressione e il controllo poliziesco del territorio. In Etiopia, viceversa, è avvenuta una svolta, con l’avvento al potere il 2 aprile 2018 del nuovo primo Ministro, Abiy Ahmed Ali, e della sua compagine di Governo. In pochi mesi il neo nominato Premier ha dato una scossa sia alla politica interna che estera dello Stato federale africano. I primi atti sono stati, da un lato, liberare molti dei prigionieri politici della guerriglia armata degli oromo – l’etnia più numerosa ma anche più repressa ed emarginata del Paese – cercando di aprire un dialogo anche con le frange più oltranziste della ribellione. Dall’altro, ha da subito affrontato la “questione eritrea”, dapprima gli inviti alla distensione verso l’Asmara, poi, rompendo gli indugi, con le dichiarazioni del 5 giugno 2018 secondo le quali “l’Etiopia accetta quanto stabilito dalla Commissione internazionale sui confini nel 2003” e si appresta a ritirare le sue truppe da Badme e dalla piana circostante la città commerciale che dal 1998 sono al centro della disputa territoriale con l’Eritrea. Non solo. Ha revocato lo stato d’emergenza, che perdurava all’interno dell’Etiopia da febbraio 2018, quando l’allora primo Ministro Hailemariam Desalegn aveva rassegnato le dimissioni, di fronte alle profonde e crescenti divisioni all’interno dell’Eprdf, il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope, al potere dalla caduta di Menghistu. Infine, Abiy ha annunciato profonde riforme in un ambito molto delicato della struttura di potere del Paese: la polizia e la magistratura. Insomma, la leadership politica sembra aver trovato nuova linfa e l’energia per avviare decisi cambiamenti. La strada da percorrere, tuttavia, resta tanta. Non solo per arrivare a una democrazia matura (non va dimenticato che ad ogni elezione si sono ripetute le azioni repressive verso la stampa e la società civile, come pure i frequenti arresti degli oppositori politici), ma anche per affrontare l’endemica povertà. Ancora a metà del 2017, l’arrivo di una nuova carestia aveva messo in allarme le agenzie umanitarie per lo stato di emergenza alimentare che coinvolgeva 8,5milioni di etiopi (poco meno dell’8% della popolazione).

Per cosa si combatte

Quella fra Etiopia ed Eritrea è stata spesso definita “una guerra per un pugno di pietre”. Il conflitto scoppiato nel maggio 1998, infatti, fu causato da un piccolo fazzoletto di territorio desertico intorno alle cittadine di Badme e Shiraro, di circa 400 kmq, che secondo il Governo di Asmara era compreso nel confine coloniale eritreo, ma che nell’interpretazione del Governo etiopico ne era invece al di fuori. In breve, la guerra diventa totale, lungo tutta la frontiera fra i due Paesi. Si svolge per lo più nelle montagne semiaride che fanno da confine. Gli scontri crescono d’intensità, nel corso del 1998 e per tutto il 1999. Alla guerra guerreggiata s’accompagnano le azioni di ritorsione, pagate ovviamente dalla popolazione civile: ad esempio, i tanti eritrei che vivono in Etiopia e gli etiopi (non altrettanti) residenti in Eritrea vengono espulsi in poche ore dalle rispettive autorità. I rapporti di forza fra i due Paesi del Corno d’Africa sono ben lungi dall’essere equilibrati. Il gigante etiopico, che ha un esercito numericamente 20 volte quello eritreo, riprende in breve tempo la piana di Badme e progressivamente (ma con un costo di vite umane impressionante) conquista aree di territorio eritreo. Nella primavera del 2000 le forze armate etiopiche sfondano il fronte: occupano le città eritree di Barentu e Tesseney. Con la mediazione delle Nazioni Unite si arriva a un cessate il fuoco, firmato ad Algeri. Le armi tacciono, ma ad una vera a propria pace, da allora, non si è mai arrivati.

Continua a leggere la scheda su l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti

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