La casa di Celina

Scritto da in data Giugno 30, 2021

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Foto di copertina: Francesco Madonia
Soundrack: Centro del Mundo / Radiodervish

di Caterina Puletti

«Non mi sono mai sentita strana qua, c’è sempre il sentimento di casa».
Quante volte è capitato di sentirsi a casa pur essendo distante migliaia di chilometri da quelle quattro mura? Quante volte è bastato un piatto di pasta, una crostata come quella che faceva tua nonna o un suono, anche se in lontananza, a ricordarti che casa tua, vuoi o non vuoi, te la porti sempre addosso? E non si tratta di fare i nostalgici né di voler tornare nella “cameretta” che a un certo punto abbiamo abbandonato perché ci sentivamo soffocare, proprio come quel paio di jeans che mettevi alle elementari: originale, comodo, della taglia perfetta, di un colore blu difficile da trovare, che te lo invidiavano tutti, eppure adesso devi farne a meno, non ti sta più.

Tante, troppe volte ho pensato che mi andasse stretta non solo camera mia ma tutta la casa, e che dovevo andarmene il più lontano possibile per dimenticarla, per lavarmela via dalla pelle, come quando vai a mangiare il sushi e non vedi l’ora di farti una doccia per toglierti quell’odore di fritto che si è attaccato ai vestiti.

Celina ha 24 anni, studia ingegneria civile a Perugia, è palestinese e sono due anni che non riesce a tornare a casa. Fa parte dell’Unione Studentesca Palestinese di Perugia.

Celina, 24 anni, Palestina

«Sono Celina, ho 24 anni e vengo dalla Palestina, da Betlemme. Siamo in cinque in famiglia. I miei genitori, mia sorella e mio fratello. La vita da noi non è tanto difficile, non c’era niente di particolare sinceramente perché siamo pochi in famiglia, una famiglia bellissima».

La tua infanzia è stata felice?

«Sono cresciuta con i miei vicini giocando per strada a calcetto e ho anche fatto tante volte il campeggio con gli scout, quindi sono ricordi felicissimi per me, per la mia infanzia».

Come mai sei venuta a Perugia?

«Perché ho trovato una borsa di studio a Perugia e volevo studiare ingegneria civile, ma purtroppo con il voto che ho preso alla maturità non potevo farlo giù (in Palestina). Ho preso un voto più basso di 0,7 punti di quanto mi serviva per entrare nella facoltà di ingegneria in Palestina, in una città più costosa, e mi conveniva venire a Perugia, sono felice qua».

Ti ricordi di qualche brutto episodio in Palestina?

«L’unica cosa brutta era il check-point per andare a Gerusalemme. Non ci andavo perché non avevo il permesso. Ce lo davano di solito intorno a Natale e a Pasqua, andavamo alla città vecchia, al Santo Sepolcro».

Finiti gli studi tornerai in Palestina?

«Sinceramente vorrei tornare giù per lavorare, ma se c’è lavoro in qualsiasi altro posto del mondo ci vado volentieri. La famiglia è rimasta giù, di solito torno in estate ma da due anni non torno. Mio fratello lavora e mia sorella sta ancora a scuola».

Cos’hai provato appena arrivata in Italia?

«A dire la verità quando ho messo piede in Italia non ho sentito la mancanza di casa, mi sono sentita già a casa perché ci sono tanti palestinesi e ti danno il sentimento della famiglia. Poi è stato un po’ difficile all’inizio per la lingua e anche per fare tutti i documenti, perché avendo 19 anni e stando fuori casa, non avevo mai fatto i documenti da sola, sia per l’università che per altre cose. Ho dovuto imparare tutto da sola, anche con l’aiuto di amici più grandi».

Ti senti più palestinese o italiana?

«Sai… non ho mai pensato a questa cosa. Non mi sono mai sentita strana qua, c’è sempre il sentimento di casa».

E preferisci il cibo palestinese o quello italiano?

«Dopo cinque anni, solo il cibo palestinese. Ho provato anche altri cibi del mondo e ovviamente preferisco il nostro perché è tutto speziato. Ma anche il cibo italiano è buonissimo, per carità, ma è una cosa di abitudine»

In Italia sei mai stata discriminata?

«Un po’ di discriminazione sì, c’era. Magari i professori, ma gli altri no, per niente. Quando dici che sei palestinese, che sei araba, ti guardano un po’ diversamente, ma per il resto ti trattano come uno studente normale».

Smettiamo di parlare e Celina tira fuori dallo zaino una busta con dentro delle palline di carta stagnola, lì per lì non capisco e sorrido disorientata. Sua madre le ha spedito dei dolcetti dalla Palestina e se li è portati dietro per farmeli assaggiare. Ne prendo uno, lo addento e il sapore di cannella combinato ad altre spezie mi esplode in bocca. È una sensazione difficile da spiegare, forse non c’è un perché, ma in quel preciso momento mi sento a casa.

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