Afghanistan Giorno 2 – Esplosioni, proclami e covid

Scritto da in data Giugno 12, 2021

Kabul − Il quartiere di Dashte Barchi, nella zona ovest della capitale afghana, è diventano uno dei più martoriati di Kabul. Abbastanza distante dal centro, forse reso ancora più lontano dal traffico incessante, lì risiede la comunità sciita del paese, gli hazara, un’etnia dai lineamenti orientali e dai modi gentili, da sempre perseguitati dai talebani (pashtun) e da quelli dell’Isis e di al-Qaida, entrambi sunniti.

Le esplosioni ci sono sempre state a Kabul, hanno colpito tutto e tutti, militanti incuranti di civili, bambini, donne, moschee, palestre, perfino matrimoni, eppure gli ultimi attentati, come quello dell’anno scorso all’ospedale materno di quel quartiere o alla scuola femminile solo qualche settimana fa, hanno alzato il livello della mancanza di scrupoli. Alla scuola sono morte 85 ragazzine delle superiori e 147 sono state ferite, mentre oggi in quello che è stato il terzo e quarto attacco degli ultimi dieci giorni, il nuovo obiettivo dei militanti sono i minivan, piccoli furgoni sgangherati che la gente, uomini e donne, prendono al volo perché spesso non hanno i soldi per una macchina o un taxi. In un traffico sempre congestionato e con le persone che attraversano ovunque, non è difficile attaccare un ordigno magnetico sotto una ruota.

Questione di minuti per trasformare una normale giornata, fatta di scuola, spesa al mercato o ritorno dal lavoro in una strage. Sette morti, diversi feriti, tra le vittime una donna e due bambini.

«Non so se riuscite ad arrivare c’è stata un’esplosione», ci avvisa Layla che stiamo andando a trovare per raccontare della sua palestra per sole donne. L’esplosione è sulla nostra strada. La polizia ha fermato il traffico per permettere ai soccorsi di arrivare, per raccogliere i feriti e i deceduti. In realtà le esplosioni sono state due, una nel distretto 13 e l’altra in quello 6. La prima esplosione intorno alle 14:50, la seconda pochi minuti dopo. «Sfortunatamente queste esplosioni hanno ucciso delle persone e ne hanno ferite sei», ha detto il viceportavoce del ministero degli Interni Ahmad Zia. Tutti civili.

Di solito gli attacchi vengono rivendicati dallo Stato Islamico, che li considera degli apostati, ma il governo afghano punta il dito contro i talebani che negano sempre e che avevano promesso agli americani, negli accordi stipulati lo scorso febbraio, che avrebbe contenuto l’Isis.

Ma nessuno contiene più niente, in Afghanistan. Da quando gli americani hanno deciso di ritirarsi entro l’11 settembre prossimo, la violenza è aumentata, ci sono combattimenti in vari distretti del paese, di questi 9 sono sotto il totale controllo dei talebani. Nelle ultime 24 ore sono morti 152 combattenti talebani, 74 sono stati feriti dai soldati afghani, ha detto il ministero della Difesa nel suo rapporto quotidiano in un tentativo di mostrare che si stanno dando da fare.

Nel frattempo i talebani oggi hanno messo in guardia la comunità internazionale dal lasciare truppe straniere nel paese anche solo a guardia delle loro ambasciate e del principale aeroporto di cui vorrebbero occuparsi i turchi (se ne parlerà lunedì a un vertice dei leader della Nato).

«La presenza di forze straniere sotto qualsiasi nome o da qualsiasi paese nella nostra patria è inaccettabile per il popolo afghano e l’Emirato islamico (talebani). Ogni centimetro del suolo afghano, i suoi aeroporti e la sicurezza delle ambasciate straniere e degli uffici diplomatici è responsabilità degli afghani, di conseguenza nessuno dovrebbe sperare di mantenere la presenza militare o di sicurezza nel nostro paese, né dovrebbero essere presi provvedimenti che potrebbero mettere a dura prova le relazioni tra popoli e paesi, si legge sul comunicato, «Se qualcuno commettesse un errore del genere, il popolo afghano e l’Emirato islamico li considererà occupanti e prenderà posizione contro di loro come l’hanno presa contro gli invasori nel corso della storia, e la responsabilità in tal caso ricadrà anche sulle loro spalle».

L’ambasciata australiana ha già chiuso i battenti, nel pieno del ritiro delle truppe americane e della Nato, e altre missioni straniere stanno considerando la possibilità.
E come se questo non bastasse, il covid, probabilmente al suo apice, continua a mietere vittime. I dati non sono precisi anche perché nessuno è capace di aderire veramente alle precauzioni: le scuole sono state chiuse e i dipendenti pubblici non essenziali possono rimanere a casa.

Ma torniamo a Dashte Barchi, dove sulla scena della seconda esplosione la gente passa dal panico alla desolazione, e a pochi metri qualche ora dopo la vita riprende, non come se niente fosse successo, ma come se non ci fosse niente per poterlo impedire. Gli anziani se ne stanno seduti nelle carriole davanti ai banchi del mercato, le donne si affrettano a fare le ultime spese. Qualcuno butta l’occhio in quella macchia nera al lato della strada dove è bruciato il minivan e ancora dall’asfalto sale un po’ di fumo: ci girano intorno, scuotono le teste, vanno avanti. Questo è quello fanno gli afghani ormai da quarant’anni: vanno avanti, perché non possono fare altro.

 

 

 

 

 

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