“La Russia è dopo il filo spinato”

Scritto da in data Febbraio 18, 2022

Si parte da Kharkiv in Ucraina per il confine. L’addetto stampa militare racconta che da metà gennaio non fa altro che portare giornalisti stranieri, circa 50 viaggi finora. Di colleghi locali, invece, ne vengono pochi. Al posto di blocco classificato “Zhuravlivka”, in direzione Belgorod, in Russia, la strada è animata, i camion merci e le macchine corrono veloci. Si oltrepassa il cartello “Mosca 790 chilometri, Belgorod 60”. La Russia si avvicina, e con lei il rischio delle provocazioni. A ricordarlo è un grande cartello stradale con dei numeri da chiamare, nel caso qualcuno avverta qualcosa di sospetto.

Verso la Russia

Questo tratto di strada è parte dell’autostrada Mosca − Simferopoli. Prima del 2014, dall’inizio della guerra nel Donbass, il tragitto era molto trafficato. I russi passavano di qui per andare in Crimea o verso Odessa, oppure venivano a trovare i parenti. E anche gli ucraini partivano per la Russia lungo questa strada, chi, appunto, per andare dai parenti e chi per commercio o lavoro. I locali raccontano che prima  al posto di frontiera più vicino, Hoptivka, ogni giorno attraversavano circa 14.000 persone, ora solo 2.000. 

La strada era importante per commercio. Lungo il percorso le babushke locali vendevano di tutto e la marea di chioschi, ricchi di cibo di ogni genere o di assicurazioni per le auto dei viaggiatori, spuntavano ovunque. Ma la guerra, e poi la pandemia, hanno cambiato tutto.

Ed ecco il blocco classificato “Zhuravlivka”. La macchina civile viene sostituita da una militare, con solo una porta per uscire, l’autista viene sostituito da soldati armati in mimetica e si riparte. Fuori dal finestrino distese innevate. «La Russia è lì, dopo il filo spinato», dice qualcuno indicando la terra oltre il reticolato. 

La postazione è composta da una trincea e una torre di osservazione con telecamere. Prima le torri erano gestite da militari, ora regna la tecnologia. I militari spiegano che ci sono circa 70 torri lungo il confine, la loro visibilità è di 10 chilometri. Invece il confine con la Russia è stato diviso nel 2015 con un reticolato di filo spinato, dopo l’inizio della guerra nel Donbass e l’occupazione della Crimea. Prima di allora non c’era nulla, solo dei tratti di strada in terra battuta che si intravede appena sotto la neve. 

Vivere vicino al confine

A ridosso della postazione, dopo qualche minuto in macchina, si scorgono delle case abitate. Pavlo, 73 anni, spala il ghiaccio davanti all’ingresso del cortile. Le ultime notizie sul dispiegamento delle truppe russe al confine non lo spaventano. «Di cosa dovrei aver paura? I razzi non volano, i mortai non sparano», ride. «E poi, abbiamo qualcuno che ci protegge», annuisce verso i militari.

Si lamenta che ultimamente arrivano troppi giornalisti, è stato intervistato almeno da una ventina di loro negli ultimi giorni. «Mia moglie è andata in televisione due volte», esclama e si rifiuta di farsi fotografare, ma mostra volentieri la sua piccola “fattoria”. Pavlo alleva api (ha 83 alveari), poi conigli e piccioni. La piccionaia brulica di uccelli e i conigli fanno capolino dalle gabbie. 

L’uomo si lamenta della mancanza di soldi e dei prezzi che crescono come funghi. Gli fanno eco gli abitanti del villaggio vicino, Hraniv, sempre al confine: con case che si affacciano sui pilastri divisori tra i due paesi. Ora sono in tre, tra i sessanta e i settant’anni vicino al pozzo, luogo di ritrovo degli abitanti del villaggio. Di una possibile invasione non ne voglino sentire paralre. «Abbiamo avuto una brutta vita sotto l’Unione Sovietica. E ora anche questo», esclama uno di loro. E la moglie aggiunge in surzhik, un mix tra l’ucraino e il russo, parlato nella aree rurali del paese: «E adesso parlano di questa guerra! Bugie, non ci credo».

Sì lamentano in coro dei prezzi alti, della vita che sta diventando sempre più cara. Prima, nel villaggio c’era una mandria di 20 mucche, ora non c’è più. Il villaggio si sta svuotando. I giovani e chi ne ha l’opportunità se ne va: chi è andato a lavorare in Europa e chi, invece, è partito per la Russia. Nel villaggio rimangono gli anziani, anche se per strada si incontra ancora qualche giovane che spinge un passeggino. Ora sono in 125, almeno così dicono i dati. Gli abitanti di Hraniv temono che con la guerra, la situazione precipiti ancora di più.

Gli anziani del villaggio

All’uscita del villaggio una donna di nome Olha, 76 anni, si dirige verso un’altra donna, ha in mano un rotolo di soldi. È la pensione di Hanna, 84 anni, che ha problemi di salute e fatica a muoversi. «Non abbiamo bisogno di guerra qui», esclama con un sorrisetto furbetto. Racconta che tanti anziani vivono da soli perché i figli sono lontani, e tanti vivono in Russia. Nel 2014 la Russia aveva occupato la Crimea e aveva scattenato la guerra nel Donbas, che dura ormai da otto anni. Se non fosse stato per questo, la vita degli abitanti di Hraniv e anche nei villaggi circostanti non sarebbe stata molto diversa. Prima potevano camminare liberamente fino ai loro parenti, attraverso un semplice posto di blocco pedonale. Bastava mostrare il passaporto con la residenza locale e si attraversava il confine. Il passaggio è stato chiuso, e anche la pandemia ha aggravato la situazione con confini chiusi e quarantena obbligatoria. 

Non vedere i parenti e non poter andare a visitare i cimiteri e le tombe dei cari sepolti è un tema molto doloroso per gli abitanti del villaggio. Hanna si lamenta: «Mia figlia vive a Belgorod, in Russia. E io la vedo poco, una volta all’anno». La donna si è rotta una mano di recente e si strugge che la figlia non può venire ad aiutarla, nonostante sia solo a 40 chilometri di distanza, al di là del confine. 

La gente nei villaggi lungo il confine continua a raccontare. Prima si viveva anche di piccolo contrabbando: la gente del posto portava pezzi di ricambio, sigarette, vestiti, cibo in Russia e da lì riportava benzina da rivendere in Ucraina. Come sempre si fa, sia gli ucraini che i russi cercavano di sfruttare la vicinanza del confine.

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