Un siriano in Turchia

Scritto da in data Ottobre 15, 2019

La Turchia ha sempre avuto intenzione di invadere la Siria, racconta un giovane siriano a Istanbul. Vuole colpire i curdi e liberarsi dei tre milioni di profughi non desiderati. Givari è uno di loro. Uno di quelli che che per molti è solo un foglio di soggiorno temporaneo, invece lui è un’anima artista, uno di quelli che vorrebbe viaggiare e conoscere il mondo. Come chiunque. Francesca Giannaccini lo ha incontrato per Radio Bullets

Turchia

Ci troviamo a Istanbul, la città dove il Bosforo separa due continenti. Sulla sponda asiatica, nel quartiere di Kadikoy si trova un ostello accogliente e recentissimo gestito da un gruppo di ragazzi di ogni provenienza. Qui conosciamo il protagonista della nostra storia, si chiama Givara, molto facile da ricordare se si pensa al Che, mi dice.

Lavora lì, ha un sorriso dolce e un gran senso dell’umorismo. La reception che si apre sulla strada diventa una vetrina di incontro per tutti gli ospiti della struttura. Noi entriamo subito in confidenza fumando una sigaretta davanti a una tazza di tè turco. Dopo poco, sembra di conoscerlo da una vita. È siriano, nato e cresciuto ad Aleppo. Dal momento in cui lo dice mi viene da fargli mille domande, ma è già tardi, e lui vuole tornare a casa che scopriremo poi essere una stanza nel sottoscala dell’ostello. Prima di salutarlo gli faccio promettere di concedermi un’intervista e lui, imbarazzato e lusingato, accetta.

È metà settembre, siamo ancora lontani dall’inizio dell’offensiva militare “Primavera di Pace”, condotta dal presidente turco nel nord est della Siria. La questione dei rifugiati siriani non è nuova: negli anni Erdogan ha chiesto e ottenuto dall’Europa 6 miliardi di euro per gestire e contenere il flusso migratorio entro i confini del suo paese. Ma quando il numero dei rifugiati ha sforato i 3 milioni e mezzo, il malcontento per questa ospitalità forzata ha iniziato a crescere. Erdogan ha così annunciato la sua intenzione di creare una “safety zone” nella zona nord est della Siria dove trasferirne almeno 2 milioni. Una zona controllata dai curdi che lui considera terroristi. Abbandonati dagli americani i curdi si trovano oggi ad affrontare un’offensiva crudele e ingiusta, perpetrata nel disprezzo delle regole internazionali. Le immagini che arrivano a noi raccontano una crisi umanitaria ben lontana dall’azione “misurata e proporzionata”, venduta dalle autorità e dai media turchi.

La storia di Givara

Quando incontriamo nuovamente Givara non possiamo immaginarci la piega terribile che avrebbero preso gli eventi nel giro di poche settimane. Io mi limito a chiedergli la sua storia. Ha 25 anni, da 6 vive in Turchia. Ha attraversato il confine insieme alla sua famiglia alla fine del 2012 quando aveva appena 18 anni ed era ormai impossibile continuare a vivere ad Aleppo. Nel giro di pochi mesi però decide di rientrare in Siria per prendere parte all’azione dei gruppi ribelli cui si era avvicinato prima di partire. Racconta del momento in cui si è trovato, imbracciata l’arma, a mirare verso un obiettivo: lì si è tirato indietro, non ce l’ha fatta, preferendo chiudere definitivamente il capitolo della sua partecipazione attiva alla causa. Rientrato in Turchia, si stabilisce nella città di Gaziantep, al sud, dove lavora 3 anni come grafico e giornalista freelance. Poi arriva a Istanbul.

Mi spiega che da qualche tempo le autorità turche gli hanno concesso un permesso di soggiorno temporaneo anche se non figura la data di scadenza. “Significa che loro possono venire a controllarti, decidere che il tuo permesso non è più valido e rimandarti in Siria”, racconta. “Ormai deportano persone a caso, addirittura anche rifugiati non siriani”. Dice anche che proprio in virtù del suo status di rifugiato è impossibilitato a lavorare legalmente, perché dovrebbero esserci servizi di assistenza e supporto che ovviamente non esistono.

Givara è un artista e come tutti gli artisti vive un po’ nel suo mondo. Il suo è fatto di visioni, linee complesse, ombre e figure allungate su cieli stellati che riporta nei suoi bellissimi disegni in chiaroscuro. Quando la nostra conversazione vira su argomenti come la vita e il destino, mi accorgo che ha una spiritualità profonda, anche se dice di non credere più in Dio.

 Si capisce anche da come racconta la sua decisione, per molti versi estrema, di lasciare la casa della sua famiglia e vivere per strada.

“Era come se avessi delle visioni, come se vedessi tante cose che non riuscivo a gestire razionalmente… così mi sono messo a camminare. Volevo solo continuare a camminare”.

Lo sento parlare di quel periodo durato quasi due anni, come fosse stata un’esperienza di ricerca interiore, densa di significato.

 “Ogni giorno era come un film, succedevano tante cose, era bello in un certo senso. Ho conosciuto tante persone, sono stato in molte case, consideravo il mondo la mia casa. Non volevo che qualcuno mi dicesse chi ero e cosa dovevo fare, essere visto come il ragazzo siriano scappato dalla guerra. Non volevo essere una vittima”.

Quella che mi ero immaginata un’intervista sulla sua esperienza in Turchia, sul suo passato e sul conflitto siriano era diventata una chiaccherata sulle infinite direzioni che può prendere la vita e sull’opportunità che ha ognuno di trovarle un senso proprio. All’ostello dove lavora da qualche mese, racconta di aver trovato finalmente la sua strada, senza mai rinunciare all’arte per lui, unica fonte di pace tra gli uomini.

L’invasione turca

Pochi giorni dopo la notizia dell’invasione turca nel nord est della Siria rimbalza ovunque. Così chiamo Givara.

“Sono molto triste per quello che sta accadendo. Non è solo perché è la mia casa, è che là stanno morendo persone per una guerra ingiusta, senza senso”.

Gli chiedo se si era immaginato una svolta così rapida e violenta di questa situazione.

“Sì. Tutti si aspettavano che sarebbe successo. La Turchia aveva intenzione di invadere la Siria fin dall’inizio. Io personalmente cerco di mantenermi fuor i dalla politica. Di non rientrare in quella logica insidiosa. Ormai non mi aspetto più niente da nessuno. Solo così riesco a sentirmi libero di pensare al mio futuro. Non mi sento neanche più il “ragazzo siriano”, voglio solo costruirmi il mio posto nel mondo. Esprimermi liberamente”.

Quando gli chiedo lo stato dei rapporti tra turchi e rifugiati siriani prima dell’attacco mi parla di episodi di discriminazione e razzismo

“Sì, ho assistito a episodi di razzismo. È successo spesso e in tante maniere diverse. Come rifugiato sei visto come una persona inferiore, è un atteggiamento molto stupido. Sono sicuro che esistono zone in cui succede anche di peggio. È un fatto che dipende molto da come vengono descritti i siriani dai media turchi. Sempre una questione di propaganda”.

Gli domando ancora del suo futuro, so che vorrebbe viaggiare, anche se la sua condizione non glielo consente.

“Sono bloccato, non posso uscire legalmente dalla Turchia e questo sarebbe già un buon notivo per volersene andare. Istanbul è veramente una bella città, potrei passarci 10 anni avendo sempre qualcosa da scoprire ma il solo fatto di sapere di non potermene andare mi fa venire la voglia”.

Se avessi l’opportunità di trasferirmi lo farei di sicuro ma sono bloccato, non posso. Forse è solo perché so di non potermene andare che mi viene la voglia. Vorrei essere libero come qualsiasi persona”.

Sul futuro della Siria, invece, ammette di non riuscire a fare previsioni. Dice che non dipende nemmeno più dalla Siria stessa ormai, è una questione politicamente complessa in cui influiscono interessi economici pericolosi. In più di un momento penso che al suo posto mi sentirei persa, senza una casa a cui tornare. Givara invece è ancora lì, appoggiato al portone dell’ostello che sorride come quando l’ho conosciuto. Disegna e intanto racconta storie che incantano, parlano di mondi senza confini, dove la gente vive libera e finalmente in pace.

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