11 febbraio 2021 – Notiziario
Scritto da Barbara Schiavulli in data Febbraio 11, 2021
Ascolta il notiziario
- #metoo esplode in Kuwait (copertina).
- L’attivista per i diritti delle donne saudita al-Hathloul a casa. Ma decine di donne restano in carcere.
- “Questo, il numero”: il premier israeliano ancora in attesa della telefonata di Biden.
- Germania e Ungheria appoggiano Israele nell’opposizione alla sentenza della Corte penale internazionale sull’indagine per crimini di guerra.
- Myanmar: sanzioni americane ai militari e non si placano le proteste.
- 28 caschi blu feriti in un attacco in Mali.
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets, a cura di Barbara Schiavulli. Musiche di Walter Sguazzin
Yemen
Un aereo civile a terra è stato dato incendiato durante un attacco dei ribelli houthi nell’aeroporto internazionale di Abha, nel sud ovest dell’Arabia Saudita. La coalizione saudita non ha riferito di vittime e non ha reso noto come sia stato effettuato l’attacco, ma all’inizio della giornata aveva riferito di aver intercettato due droni nel sud. La tv saudita Al Ekhbariya ha aggiunto che i vigili del fuoco hanno spento le fiamme. Gli houthi sostenuti dall’Iran hanno rivendicato la responsabilità dell’attacco subito dopo tramite il portavoce militare Yehia Sarea, che ha detto che il gruppo ha utilizzato quattro droni carichi di bombe per colpire l’aeroporto.
Arabia Saudita
La dissidente saudita e attivista per i diritti delle donne Loujain al-Hathloul è stata rilasciata dalla prigione dopo 1.001 giorni di detenzione. A seguito di una campagna concertata dei suoi parenti e dei gruppi per i diritti globali, ad al-Hathloul è stata concessa in libertà vigilata da un giudice di Riyadh e rilasciata alla sua famiglia mercoledì pomeriggio. Sua sorella Lina ha pubblicato una foto di Loujain sorridente su Twitter in prima serata, ora di Riyadh, la prima immagine della prigioniera politica più celebrata nel Regno da quando è stata detenuta, quasi tre anni fa. «Loujain è a casa!!!!!!», diceva il messaggio di accompagnamento.
Loujain is at home !!!!!!
تم الافراج عن لجين pic.twitter.com/fqug9VK6Mj— Lina Alhathloul لينا الهذلول (@LinaAlhathloul) February 10, 2021
Un’altra sorella, Alia ha detto che al-Hathloul è a casa dei suoi genitori e che quello è stato il più bel giorno della sua vita.
https://twitter.com/alia_ww/status/1359544991450882052
Resta inteso che i termini della libertà vigilata di al-Hathloul le impediscono di discutere il suo calvario in prigione. Le viene vietato di lasciare l’Arabia Saudita e la pena sospesa incombe nel caso infranga i termini del suo rilascio. Al-Hathloul, 31 anni, era stata una delle principali attiviste per il diritto delle donne di guida in Arabia Saudita prima di un cambiamento nella legge alla fine del 2017. Le richieste per il suo rilascio da parte della sua famiglia erano state ripetutamente sostenute da gruppi per i diritti umani e governi stranieri. Tuttavia a dicembre dello scorso anno è stata condannata a cinque anni e otto mesi dietro le sbarre e accusata di promuovere un’agenda straniera e di utilizzare Internet per danneggiare l’ordine pubblico. Lucy Rae, portavoce di Grant Liberty, si legge su The Guardian, che si batte per i diritti dei prigionieri in Arabia Saudita, ha detto: «Loujain al-Hathloul lascia la prigione come un’eroina − brutalizzata dal regime, ma non distrutta. Il suo coraggio è un’ispirazione per tutti noi. Ma non è sola: la comunità internazionale non deve commettere l’errore di presumere che il suo rilascio segnali la fine dell’oppressione delle donne difensori dei diritti umani in Arabia Saudita. La comunità internazionale non deve cedere. Non è solo Loujain: ci sono molte altre donne in prigione oggi perché hanno combattuto per i diritti umani in Arabia Saudita. Devono essere liberate, incondizionatamente. Nient’altro andrà bene». Diverse altre attiviste donne rimangono rinchiuse in Arabia Saudita dopo essere state arrestate nel pieno della repressione politica che ha circondato la concessione del diritto di guidare. Al tempo i funzionari sauditi temevano che le campagne pubbliche di donne importanti creassero l’impressione che il cambiamento di legge fosse stato il risultato di pressioni attiviste piuttosto che un’iniziativa dei governanti del Regno.
L’Arabia Saudita ha chiuso il sito web del ministero della Difesa e rimosso i contenuti di odio online in seguito ai rapporti di un think tank con sede a Washington che ha parlato di frasi xenofobe e antisemite di esponenti e piattaforme filo-governative. In un briefing tenuto a febbraio visionato da Middle East Eye, l’Istituto per gli Affari del Golfo (IGA) ha affermato che le sue indagini su sermoni e libri di testo incitanti all’odio hanno spinto il governo saudita a prendere provvedimenti per eliminare i contenuti da Internet. Il think tank IGA ha sostenuto nei suoi precedenti rapporti che gli attacchi terroristici commessi da cittadini sauditi sono radicati in «istigazione istituzionalizzata e indottrinamento» da parte dei ministeri dell’istruzione, della giustizia e della difesa, ponendo una minaccia estremista agli interessi occidentali e statunitensi.
Kuwait
Alcune donne del Kuwait, ricco emirato arabo conservatore, hanno cominciato a partecipare a una campagna sui social media per denunciare le molestie e le violenze a sfondo sessuale. E questo sull’onda della mobilitazione cominciata nel 2017 negli Stati Uniti con l’hashtag e slogan molto diffuso #MeToo. Nelle ultime ore sono apparse su Internet, con l’hashtag #lanasket (in arabo: non starò zitta), decine di testimonianze e racconti di pedinamenti, molestie, aggressioni. La campagna è stata lanciata dalla fashion blogger kuwaitiana Asha al Faraj, seguita da più di due milioni e mezzo di persone sui social media. Il problema descritto da Faraj sono le continue molestie subite dalla donna: «ogni volta che esco, c’è qualcuno che mi molesta o molesta un’altra donna per strada», ha detto la donna nel video. «Non provi vergogna? Abbiamo un problema di molestie in questo paese, e io ne ho abbastanza!», ha aggiunto.
La mobilitazione avviata da Faraj è stata sostenuta nei giorni scorsi anche dall’ambasciata statunitense in Kuwait. La sede diplomatica si è espressa in tal senso sui social media: «Una campagna che vale la pena sostenere. Tutti possiamo fare di più per prevenire le molestie contro le donne, sia negli Stati Uniti che in Kuwait». Le persone che stanno partecipando alla mobilitazione online sottolineano che a essere maggiormente colpite dalle violenze e molestie sono le donne straniere, molte delle quali lavoratrici immigrate e più vulnerabili agli abusi.
Israele e Palestina
Tutti abbiamo avuto amici che non chiamano. A volte sono impegnati. A volte ci evitano. E quando si tratta di leader mondiali, a volte non chiamare potrebbe essere una dichiarazione politica.
Mercoledì, l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Danny Danon ha twittato a Joe Biden quello che ha detto essere il numero di telefono dell’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu. Ha notato che il suo capo non era nella lista crescente di leader mondiali che il presidente degli Stati Uniti aveva contattato da quando è entrato in carica il 20 gennaio. Dopo i quattro anni di sostegno statunitense incondizionato di cui Netanyahu ha goduto sotto Trump, c’è una nuova amministrazione statunitense in città e un’elezione incombente in Israele.
@POTUS Joe Biden, you have called world leaders from#Canada#Mexico#UK#India#France#Germany#Japan#Australia#SouthKorea#Russia
Might it now be time to call the leader of #Israel, the closest ally of the #US?
The PM's number is: 972-2-6705555 pic.twitter.com/OYgPvVga6F— Ambassador Danny Danon | דני דנון (@dannydanon) February 10, 2021
Biden, che è sempre stato un forte sostenitore di Israele in tutta la sua lunga carriera politica, si è impegnato a non imporre mai condizioni all’assistenza militare statunitense a Israele e a mantenere l’ambasciata americana a Gerusalemme. Il Segretario di Stato Tony Blinken ha anche affermato che l’impegno degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele rimane «sacrosanto», mentre l’inviata dell’amministrazione all’ONU, Linda Thomas-Greenfield, ha promesso di proteggere Israele dalle critiche della comunità internazionale. Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha detto che Washington si consulterà con Israele su «tutte le questioni di sicurezza regionale». Nonostante tale sostegno, Biden ha riportato Washington alla soluzione dei due Stati e ha affermato che intende riprendere gli aiuti ai palestinesi e rilanciare l’accordo nucleare con l’Iran.
Le fazioni politiche palestinesi hanno concluso una riunione di due giorni a Il Cairo durante la quale hanno deciso di tenere le elezioni legislative e presidenziali, come precedentemente programmato e decretato dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas. Le fazioni hanno affermato nella loro dichiarazione finale che «rispetteranno il calendario stabilito dal decreto sulle elezioni legislative e presidenziali, con l’accento che le terrà a Gerusalemme, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, senza eccezioni, e impegnandosi a rispettare e accettare i loro risultati».
https://twitter.com/jncatron/status/1359253250453753864
Intanto martedì l’esercito israeliano ha arrestato un importante membro di Hamas, Khaled al-Hajj, nella città settentrionale di Jenin, in Cisgiordania. Al-Hajj, 55 anni, è stato arrestato in diverse occasioni e ha trascorso un totale di 15 anni nelle carceri israeliane. L’ultima volta è stato rilasciato meno di un anno fa. Israele e l’Autorità Palestinese hanno arrestato dozzine di membri di Hamas in diverse aree della Cisgiordania, inclusi ex ministri del governo di Hamas dimesso, legislatori, accademici universitari, giornalisti e sindacalisti. Hamas considera questa una campagna coordinata per impedire la sua partecipazione alle prossime elezioni, che si terranno nei prossimi mesi.
After raiding his home in Jenin city predawn today, the Israeli occupation forces arrested H.amas's senior official Khaled al-Hajj. pic.twitter.com/kR4OF78fPf
— Quds News Network (@QudsNen) February 9, 2021
Mali
Aggressori hanno aperto il fuoco su una base temporanea delle Nazioni Unite nel centro del Mali ieri, in un assalto ben pianificato che ha ferito 28 caschi blu del Togo: lo riferiscono funzionari delle Nazioni Unite. Le Nazioni Unite hanno condannato l’attacco in Mali, che rimane «il più letale» nelle 12 missioni di pace dell’ONU, ha detto il portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric. Solo quest’anno, 5 militari delle forze di pace sono state uccisi e 46 feriti da atti ostili nella nazione dell’Africa occidentale tormentata dalla violenza. Il Mali è in tumulto da quando una rivolta del 2012 ha spinto i soldati ribelli a rovesciare il presidente. Il vuoto di potere che ne è derivato alla fine ha portato a un’insurrezione jidahista e una guerra guidata dalla Francia che ha estromesso i jihadisti dal potere nel 2013. Ma i ribelli rimangono attivi e dal 2015 i gruppi estremisti affiliati ad al-Qaida e al gruppo dello Stato Islamico si sono spostati dall’arido nord al più popolato Mali centrale, alimentando animosità e violenza tra i gruppi etnici nella regione. Il paese è stato anche afflitto da una serie di colpi di Stato, l’ultimo ad agosto che ha rovesciato il presidente Ibrahim Boubacar.
Germania
I ministeri degli esteri di Germania e Ungheria hanno denunciato la sentenza della Corte penale internazionale della scorsa settimana, secondo cui il tribunale ha la giurisdizione per aprire un’indagine su presunti crimini di guerra da parte di Israele e del gruppo di Hamas. Israele ha denunciato la sentenza di venerdì e gli Stati Uniti si sono opposti, mentre i palestinesi ne sono stati felici. Israele e gli Stati Uniti non sono membri della CPI; l’Autorità Palestinese è entrata in tribunale nel 2015. Heiko Maas, il ministro degli Esteri tedesco, ha affermato che «la Corte non ha giurisdizione a causa dell’assenza dell’elemento di statualità palestinese richiesto dal diritto internazionale». Maas ha aggiunto che le posizioni della Germania sulla CPI e sul processo di pace in Medio Oriente in generale «rimangono invariate» e sostiene «l’istituzione di un futuro stato palestinese come parte di una soluzione a due stati negoziata da israeliani e palestinesi».
https://twitter.com/HeikoMaas/status/1359215215913623564
Anche il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha appoggiato l’opposizione di Israele alla sentenza. «Come Israele, l’Ungheria non è d’accordo con questa decisione. Durante il procedimento legale abbiamo già segnalato che, secondo la nostra posizione, la Palestina non ha giurisdizione penale sui cittadini israeliani», ha detto Szijjártó. «Abbiamo sempre sostenuto il diritto di Israele di difendersi», ha detto. «Crediamo che la pace nella regione possa essere raggiunta solo attraverso negoziati basati sul rispetto reciproco. La decisione della Corte penale internazionale non ci avvicina a questo», ha detto Szijjártó. In una decisione importante presa venerdì, una camera preliminare della Corte penale internazionale ha stabilito che L’Aia ha la giurisdizione per aprire un’indagine penale su Israele e sui palestinesi per crimini di guerra presumibilmente avvenuti in Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme Est. Domenica, secondo quanto riferito, il ministero degli Esteri israeliano ha ordinato a dozzine di ambasciate in tutto il mondo di richiedere che i paesi ospitanti trasmettessero un «messaggio discreto» al procuratore capo della Corte penale internazionale. L’ordine ha incaricato gli ambasciatori di iniziare a contattare i capi di governo e i ministri degli esteri nei paesi in cui sono distaccati, per rilasciare dichiarazioni pubbliche di opposizione alla decisione della Corte penale internazionale. In seguito alla sentenza di venerdì, spetta alla procuratrice capo della Corte penale internazionale, Fatouh Bensouda, decidere se avviare un’indagine, e già nel 2019 ha indicato che intende farlo.
Polonia
I media polacchi sono oggi in sciopero per protestare contro una nuova controversa legge sulla pubblicità, ritenuta un attacco alla liberà di opinione. Nel pieno della pandemia, l’esecutivo di Mateusz Morawiecki vuole imporre una tassa del 5% sulle pubblicità, entrando inoltre nel merito dei contenuti e costringendo le imprese (anche quelle straniere) ad ampliare la pubblicazione di materiale dal contenuto nazionale polacco.
Russia
La Russia ha emesso un mandato di arresto internazionale per Leonid Volkov, uno dei più stretti collaboratori dell’oppositore in carcere Alexei Navalny. Volkov, che nei giorni scorsi ha invitato la gente ad accendere la luce del cellulare la sera del 14 febbraio per protestare, è ricercato per «incitamento dei minori a partecipare ad azioni non autorizzate». «Un’accusa falsa, che non esiste, una campagna pubblicitaria del Comitato Investigativo», ha commentato Volkov che si troverebbe all’estero, citato la testata online Meduza.
Stati Uniti
Il chief financial officer di Twitter, Ned Segal, in un’intervista a Cncb rispondendo a una domanda su Donald Trump, ha detto che gli «stop sono permanenti»: quando «si è rimossi dalla piattaforma si è rimossi a prescindere», ovvero «se si è un commentatore, un direttore finanziario, un attuale o un ex funzionario pubblico». La risposta implica che anche nel caso in cui Trump dovesse ricandidarsi non avrebbe accesso al suo account.
Sul fronte legale, giornata dura per l’ex presidente. «Le prove dimostreranno che l’ex presidente Trump non è stato un innocente spettatore ma ha abbandonato il suo ruolo di “commander in chief” ed è diventato l’istigatore in capo» dell’assalto al Congresso, che ha guardato in tv «come fosse un reality show, festeggiando e senza fare nulla per aiutarci». Il secondo processo di impeachment contro Donald Trump è entrato nel vivo con le argomentazioni dell’accusa che ha tirato fuori la carta di inedite immagini violente dell’assalto al Congresso tratte dal sistema di videosorveglianza interna.
Come se non bastasse, la procura della contea di Fulton, in Georgia, ha aperto un’inchiesta sui tentativi di Donald Trump di ribaltare il voto nel Peach State, scrive The New York Times. L’indagine riguarda anche la telefonata in cui l’ex presidente chiese al segretario dello Stato Brad Raggensperger di trovare «abbastanza voti» per cambiare l’esito degli scrutini, favorevole a Joe Biden. La Georgia diventa così il secondo stato, dopo New York, nel quale Trump rischia un processo.
L’editore della rivista Hustler Larry Flynt Jr., che si definiva «venditore ambulante» e che ha usato il suo impero della pornografia e il suo talento oltraggioso per spingere i limiti della libertà di parola e del buon gusto, è morto mercoledì all’età di 78 anni. Flynt, che soffriva di una serie di problemi di salute a seguito di un attentato nel 1978 che lo lasciò paraplegico, è morto «per il recente insorgere di una malattia improvvisa», ha detto Minda Gowen, portavoce della Larry Flynt Publications, che gestisce il business dell’intrattenimento per adulti da lui fondato.
Caraibi
Per oltre un mese si sono nutriti di cocco e insetti dopo aver fatto naufragio su un’isola deserta. Disavventura a lieto fine per tre cubani messi in salvo dalla Guardia Costiera americana durante un’operazione di controllo di routine. I tre, due uomini e una donna, sono stati ritrovati su un isolotto disabitato delle Bahamas dopo che un elicottero ha avvistato delle persone che cercavano di attirare l’attenzione sventolando una bandiera improvvisata. I tre cubani hanno detto di essere arrivati sull’isola a nuoto dopo che la loro barca si è capovolta a causa del mare agitato. Secondo i soccorritori americani il salvataggio dei tre è stato un vero e proprio miracolo.
Haiti
I giornalisti che coprivano una protesta pacifica contro il presidente Jovenel Moïse a Port-au-Prince sono stati attaccati ieri da membri delle forze di polizia nazionale di Haiti con gas lacrimogeni. Secondo i giornalisti, la polizia ha sparato gas lacrimogeni per disperdere una grande folla di manifestanti che marciavano per le strade della capitale gridando: «Il mandato di Jovenel è finito. Abbasso la dittatura!».
Dopo aver interrotto la protesta, la polizia ha attaccato i giornalisti. A un certo punto, un’unità di polizia ha sparato gas lacrimogeni contro un camioncino appartenente a Radio-TV Pacific che trasportava almeno 10 persone, travolgendolo di fumo. Scosso e furioso, il gruppo di giornalisti con telecamere, microfoni, telefoni cellulari e varie altre apparecchiature di segnalazione tenuti in alto, si è recato all’Ufficio del Dipartimento occidentale (Bureau Departmental de l’Ouest) per presentare una denuncia contro la polizia.
Un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato nel settembre 2020 ha affermato che l’aumento della violenza contro i giornalisti che coprivano le proteste era motivo di preoccupazione. Tra le sue raccomandazioni per proteggere gli operatori dei media c’era «il rafforzamento della formazione per la polizia e le forze dell’ordine sulla libertà di espressione e un comportamento appropriato nei rapporti con i media».
Indonesia
Gli acceleratori dei motori del Boeing 737 della compagnia indonesiana Sriwijaya Air, precipitato in mare a gennaio poco dopo il decollo da Giacarta con 62 persone a bordo, hanno mostrato una “anomalia” ed erano già stati riparati più volte prima dell’incidente, rivela il rapporto preliminare pubblicato dal comitato per la sicurezza nei trasporti.
Myanmar
Joe Biden ha annunciato sanzioni Usa contro gli esponenti della giunta militare che ha preso il potere. Verranno congelati i beni di militari ed ex militari coinvolti nel colpo di Stato del primo febbraio. Sanzionate anche alcune società ed entità coinvolte. Intanto anche oggi continuano le manifestazioni contro il colpo di Stato.
Cina
Le questioni relative a Taiwan, Hong Kong e Xinjiang sono «affari interni che riguardano la sovranità e l’integrità territoriale della Cina». È quanto ha detto il presidente Xi Jinping nella prima telefonata avuta con la controparte americana Joe Biden dal suo insediamento alla Casa Bianca. Secondo il presidente cinese, gli «Stati Uniti dovrebbero rispettare gli interessi fondamentali della Cina e affrontare tali questioni con prudenza». Biden aveva espresso preoccupazione per la situazione di Hong Kong e quella degli uiguri, la comunità musulmana cinese. Hanno anche parlato di politiche economiche, spesso ritenute scorrette dagli americani, del covid, dei cambiamenti climatici e della pandemia.
Giappone
Il direttore del comitato olimpico giapponese Yoshiro Mori, 83 anni, si è dimesso dopo una serie di commenti misogini. Aveva detto la settimana scorsa che le donne hanno difficoltà a parlare brevemente e che non andavano bene per le riunioni della commissione olimpica che con loro presenti sarebbero state troppo lunghe.
Nuova Zelanda
La Nuova Zelanda ha diramato l’avviso alla popolazione di allontanarsi dalle coste, dopo l’allerta tsunami diramata in Nuova Caledonia in seguito alla scossa di terremoto di magnitudo 7.7
Sul fronte politico invece, dopo aver cacciato il leader del partito Maori dall’Aula perché indossava un ciondolo in pietra verde al posto della cravatta, il Parlamento della Nuova Zelanda è tornato su suoi passi e ha deciso che quell’indumento non sarà più considerato obbligatorio. «Una vittoria per le generazioni future», ha commentato Rawiri Waititi che ieri aveva definito la cravatta un «cappio coloniale» e allo speaker della Camera che insisteva affinché la indossasse aveva replicato che si trattava di una questione di «identità culturale».
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